Adolescenti fragili: un cannocchiale per cambiare sguardo

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C’è un cannocchiale sulla locandina del convegno “Scrivere il futuro”, promosso dal Servizio Inclusione della Diaconia Valdese a Catania il prossimo 23 gennaio. Quel cannocchiale dice tutto il desiderio di trovare un’altra prospettiva sugli adolescenti e sui giovani, «perché le narrazioni prevalenti o li colpevolizzano o li compiangono con pietismo. Nessuna delle due cose va bene. Ma per trovare un altro sguardo occorre che noi adulti cambiamo punto di vista, ci mettiamo in ascolto, facciamo spazio ad altre parole e ad altre narrazioni», racconta Loretta Malan, direttrice dell’Area Inclusione di Diaconia Valdese.

La giornata del 23 gennaio (qui il programma) ha questo obiettivo: fare incontrare gli studiosi, gli osservatori, chi ha la responsabilità delle azioni politiche e chi è impegnato quotidianamente nell’accompagnare i giovani e le loro famiglie per cercare insieme nuove parole con cui rileggere fenomeni quali la povertà educativa e il malessere degli adolescenti e da lì partire per scrivere un altro futuro.  

Scrivere il futuro è una metafora molto utilizzata quando si parla dei più giovani e della necessità di garantire loro la possibilità di essere pienamente attori della propria vita… Per voi cosa dice concretamente questa immagine?

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Una cosa di cui noi sentiamo l’urgenza è riuscire a metterci in una posizione di autentico ascolto. Le giovani generazioni hanno molto da dire e probabilmente anche molto da insegnarci. Il fatto è che il nostro è un paese di vecchi: vivendo in un Paese in cui la popolazione dei giovani è percentualmente ridotta, tariamo la nostra percezione delle cose, le nostre decisioni e le nostre scelte su una prospettiva che è “altra” rispetto a quella dei più giovani. Creare spazi per uno scambio reale, però, non è così facile anche volendolo. Noi, lo dico con sincerità, con i più giovani non siamo ancora riusciti a trovare un livello di comunicazione e di legame soddisfacente, che funzioni. Eppure si tratta di qualcosa che è indispensabile fare. Non rinunciamo a cercare le parole e i modi per farlo.

È indispensabile creare spazi per uno scambio reale tra adulti e ragazzi. Anche volendo, però, non è così facile. Noi con i più giovani non siamo ancora riusciti a trovare un livello di comunicazione e di legame soddisfacente, che funzioni. Ma non rinunciamo a cercare le parole e i modi per farlo

Cosa serve?

Alcune cose le abbiamo capite: non mettersi in posizione giudicante, non pensare a progetti “per” i ragazzi ma offrire loro momenti di protagonismo, dare spazi sì protetti ma in cui possano fare un po’ quello che vogliono, con tempi più rilassati, non necessariamente sempre pieni di attività strutturate. Però c’è ancora da lavorare.

Quali sono i punti di attenzione della Diaconia Valdese, nel suo lavoro sull’infanzia, l’adolescenza, i giovani?

Secondo noi è molto importante che tutti i minori e giovani possano godere degli stessi diritti: è uno slogan che negli anni Sessanta e Settanta era molto forte e che poi si è un po’ perso. L’idea di non lasciare indietro nessuno e di costruire una scuola e società che siano davvero inclusive. È importante che ognuno possa esprimere al meglio le proprie capacità, che abbia delle possibilità. Non possiamo rassegnarci al fatto che oggi in Italia il nascere in determinati contesti porta i ragazzi a pensare che il loro futuro è già segnato. Noi vogliamo dare il nostro contributo affinché tutti abbiano le opportunità di sperimentarsi, studiare, fare esperienza di sport o di arte… È il tema della povertà educativa minorile. Facciamo laboratori nelle scuole, campi estivi, doposcuola. In particolare a Catania abbiamo delle attività rivolte a ragazzi che si trovano in situazioni di fragilità e a rischio di esclusione, rivolte a contrastare la dispersione scolastica e ad evitare che facciano vita di strada. Non si tratta solo di aiutare nei compiti, ma di creare proposte più strutturate, con la presenza di psicologi e pedagogisti, che possano indagare meglio da dove derivano le forme di disagio. Dove possibile, coinvolgiamo anche le famiglie perché lavorando anche sul disagio dei genitori si aumentano le possibilità di emergere dalla fragilità.

Non possiamo rassegnarci al fatto che oggi in Italia il nascere in determinati contesti porta i ragazzi a pensare che il loro futuro è già segnato

Aver scelto Catania come sede del Convegno annuale che cosa dice?

Catania è una delle città d’Italia con più alta dispersione scolastica. In città di sono quartieri che indipendentemente dall’ubicazione – sono molto periferici dal punto di vista dei servizi attivi e della mancanza di presidio. I ragazzi che si trovano ad abitare luoghi in cui non si sentono protetti e dove è facile che vengano agganciati da giri malavitosi. È un circolo da rompere.

Per i lavori del convegno avete scelto il protagonismo giovanile e la povertà educativa, ma vista dallo sguardo originale di Salvatore Patera, che nel suo recente Povertà educativa. Bisogni educativi interdetti e forme di esclusione (Franco Angeli) afferma che «la nostra lettura della povertà educativa è viziata dal fatto di non saper riconoscere il modo in cui i più giovani vivono la dimensione dell’apprendimento e della partecipazione alla vita sociale e culturale». Insomma, dobbiamo cambiare sguardo anche noi…

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Abbiamo cercato interlocuotori e interventi che provassero a spostare il punto di vista. Torno a ciò che dicevo all’inizio: è troppo facile dirci che i ragazzi sono cambiati, che con loro non ci si capisce. Dire “poveretti, non hanno futuro” così come dire che la situazione in cui stanno “è colpa loro” è un po’ semplicistico. E se fossimo noi adulti a guardare il mondo dalla parte sbagliata?

Foto da Diaconia Valdese

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