La 24enne era diventata famosa durante le rivolte di piazza in Bielorussia contro Lukashenko. Costretta a scappare in Europa, invece di fare la profuga, decise di arruolarsi con gli ucraini e di andare al fronte, dov’è stata uccisa
DAL NOSTRO INVIATO
KIEV – Fra otto giorni si vota in Bielorussia e c’è una buona notizia per il dittatore Aleksander Lukashenko: Maria Zaitseva non ci sarà . Cinque anni fa, quando i bielorussi erano scesi in piazza a contestare le ennesime elezioni taroccate, la foto di Maria insanguinata diventò il manifesto della protesta: lei colpita da una granata stordente e seduta su un marciapiede di Minsk, i rivoli rossi a colarle sulla faccia, a pochi passi dalla Grande Stele Patriottica. Un’immagine che il 9 agosto 2020 fece il giro del mondo, ma senza indignarlo troppo. Il miglior amico di Vladimir Putin riuscì anche quella volta a reprimere la rivolta, in pochi giorni e nella sostanziale indifferenza dell’Occidente: arrestò 65mila persone, chiuse 1.700 ong, bandì tutti i partiti politici tranne il suo. Da quelle giornate rivoluzionarie, un caso unico nella plumbea storia bielorussa, ci sono in carcere ancora 1.300 prigionieri politici, pressoché dimenticati da tutti.Â
Ricoverata in ospedale con gravi problemi d’udito e affaticata nei movimenti, Maria era riuscita a rifugiarsi nella Repubblica Ceca per la riabilitazione. E tutti ormai ce l’immaginavamo là , profuga fra migliaia di profughi. Pochi sapevano che fine avesse fatto: Maria s’era arruolata nella Seconda Legione internazionale dell’esercito ucraino ed è stata uccisa nel Donetsk. Venerdì 17, la mattina dopo il suo ventiquattresimo compleanno. Mentre combatteva intorno a Bakhmut.
«Gloria agli eroi!», scrive sui social un’amica, che ha informato dell’uccisione. Dal giorno dell’invasione in Ucraina, Maria non aveva mai dubitato un attimo sul da farsi: in totale dipendenza dal Cremlino, Lukashenko ha messo da tre anni la Bielorussia a disposizione delle forze di Putin, offrendo le sue basi per l’attacco a Kiev nel febbraio 2022, prestando ai russi autostrade e aeroporti e ferrovia, aderendo alla dottrina atomica di Mosca e schierando nell’estate 2023 le armi nucleari tattiche, quelle che ogni tanto lo Zar minaccia d’usare anche contro l’Occidente.
Per Maria, combattere Lukashenko e combattere Putin era la stessa cosa: di qui, la scelta di non lavorare soltanto per l’opposizione bielorussa all’estero, ma d’andare in prima linea a sparare in una guerra che sentiva sua.
A Minsk, in queste ore, la morte della ragazza-simbolo del 2020 circola clandestina sui cellulari. Nessun organo ufficiale ne ha dato notizia. Lukashenko è al comando dal 1994, quando salì al potere promise di «cacciare tutti gli oppositori sull’Himalaya», poi s’accontentò di rinchiuderli e torturarli. E’ scontato che si faccia rieleggere anche a questo settimo mandato: in novembre, ha messo in galera altri cento contestatori, con le accuse d’estremismo e di terrorismo. «Le elezioni del 26 gennaio in Bielorussia – commenta il segretario di Stato americano uscente, Antony Blinken – non possono essere credibili in un contesto in cui la censura è onnipresente e non esistono più organi d’informazione indipendenti, dove solo i candidati approvati dal regime possono comparire sulla scheda elettorale e dove i membri dell’opposizione sono imprigionati o in esilio».Â
La più importante oppositrice, Svetlana Tikhanovskaya, che nel 2020 era la candidata rivale di Lukashenko, dopo avere denunciato le frodi elettorali s’è rifugiata anche lei in Europa. Dalla Lituania, guida un governo in esilio. E’ a lei che guardano i 500mila in fuga dal regime, più d’un ventesimo della popolazione bielorussa che da cinque anni vive soprattutto in Germania, in Polonia, nei Paesi baltici e in Georgia. Maria era una di loro. Ma una libertà del genere non le bastava: «Una perdita inimmaginabile – la piange la leader Svetlana -. Era l’icona della nostra rivoluzione. Ha dato la vita per la libertà ».
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