Gender e generational gap in Italia, chi guadagna di più?

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Conto e carta

difficile da pignorare

 


Nel panorama del mercato del lavoro italiano, le disparità retributive tra uomini e donne, giovani e anziani, continuano a segnare un divario che si estende in modo imprevisto. Nel 2022, l’Italia ha visto un ampliarsi delle disuguaglianze nel panorama retributivo, con una spaccatura che separa uomini e donne, giovani e meno giovani, lavoratori con contratti temporanei e quelli con contratti a tempo indeterminato. Questo quadro, che emerge dalle analisi dell’Istat, rivela non solo le disuguaglianze salariali di genere, ma anche come la generazione di appartenenza e la tipologia contrattuale influenzino profondamente il reddito. Nonostante i segnali di ripresa dell’occupazione, il divario tra salari e produttività alimenta un paradosso che continua a crescere, e che mostra un’Italia dove chi lavora, talvolta, guadagna meno e produce di più.

Il Gender Pay Gap

Ogni anno l’Istat ci fornisce un report che è come un termometro del nostro mercato del lavoro. E se c’è una cosa che emerge chiaramente è che la parità salariale tra uomini e donne è ancora un obiettivo lontano. Nel 2022, la retribuzione media oraria tra le donne si è fermata a 15,9 euro, ben 0,5 euro in meno rispetto alla media generale, che si attesta a 16,4 euro. E gli uomini? Loro si fermano a 16,8 euro, guadagnando circa 0,4 euro in più. Ma il divario non si ferma qui: i laureati vedono un gap che tocca il 16,6%, e tra i dirigenti il divario è addirittura del 30,8%. Non è un caso che le professioni più alte siano quelle con la più bassa presenza femminile.

Prestito condominio

per lavori di ristrutturazione

 

C’è da chiedersi: perché? La risposta, seppur semplice, è complessa. Le donne continuano a essere concentrate in settori con retribuzioni più basse e in posizioni decisionali meno influenti. Dall’istruzione all’assistenza sociale, passando per il settore sanitario, molte delle professioni più femminilizzate non sono certo quelle che pagano meglio. La disparità non riguarda solo l’importo finale della busta paga, ma anche la distribuzione dei ruoli ai vertici aziendali, dove la presenza maschile resta predominante.

Per fortuna, in alcuni settori, la disparità salariale è meno marcata. Nel comparto pubblico, ad esempio, il differenziale scende al 5,2%, con le donne che, in molti casi, raggiungono retribuzioni orarie più alte rispetto alle colleghe del settore privato. Ma se passiamo all’altro lato della medaglia, quello delle professioni altamente specializzate, la situazione si fa meno rosea. Tra i dirigenti, per esempio, le donne guadagnano circa 15 euro in meno ogni ora, con una distanza che si fa più profonda man mano che si sale nella gerarchia. Non si può fare a meno di pensare a quanto questa realtà tradisca il principio di meritocrazia tanto caro alle politiche aziendali.

Generazioni a confronto

Passando dalla divisione di genere a quella generazionale, scopriamo che il giovane lavoratore italiano è un’altra vittima di una struttura salariale che premia l’esperienza, ma forse troppo. La retribuzione oraria media degli under 30 è infatti inferiore del 36,4% rispetto a quella degli over 50, con un gap che raggiunge il 38,5% per gli uomini e il 33,3% per le donne. A meno di non essere un genio del coding o una mente creativa nell’ambito del marketing, essere giovani in Italia sembra sinonimo di salari bassi e contratti precari.

A parità di condizioni, i giovani non solo guadagnano meno, ma hanno anche maggiori difficoltà a entrare nel mercato del lavoro in modo stabile. Contratti a tempo determinato, stage non retribuiti e lavori sottopagati sono all’ordine del giorno. Eppure, la crescita occupazionale in Italia è ai massimi storici, come racconta l’Istat. Si parla di un tasso di disoccupazione al minimo storico (5,7%), ma questo non corrisponde a una crescita della produttività, che ha subito una flessione del 2,5% nell’ultimo anno. È come se l’occupazione fosse cresciuta “a vuoto”, senza un vero incremento della produzione.

Molti giovani, infatti, si trovano costretti ad accettare condizioni lavorative che non rispecchiano il loro potenziale, spingendo la produttività del lavoro a livelli molto bassi. La “perdita” in termini di salario per i giovani italiani è evidente, e la loro produttività non migliora se non in relazione ad un aumento effettivo dei salari. In altre parole, avere un lavoro oggi non è più un privilegio che ti permette di crescere: è una necessità che ti spinge a fare di più, ma senza un ritorno equo.

Un mercato che punisce il contratto a tempo determinato

Un altro dato che emerge dal report dell’Istat e che merita attenzione è quello che riguarda il tipo di contratto. I lavoratori con un contratto a tempo determinato guadagnano mediamente il 24,6% in meno rispetto a quelli a tempo indeterminato. Un dato che fa riflettere, soprattutto se consideriamo che i contratti precari colpiscono in modo più intenso le donne, le quali percepiscono, in media, una retribuzione inferiore del 15,6% rispetto ai colleghi uomini con un contratto stabile.

Tuttavia, anche in questo caso, ci sono delle variabili che complicano ulteriormente la situazione. Se il lavoratore con un contratto a tempo determinato si trova a operare in settori ad alta intensità di lavoro, come la ristorazione o l’ospitalità, il gap salariale diventa ancora più ampio. Mentre le retribuzioni più alte si registrano nelle attività finanziarie e assicurative (ben 25,9 euro l’ora), quelle più basse sono legate ai settori con una forte presenza di contratti precari, dove la retribuzione media è di 10,9 euro l’ora.

Il risultato? La creazione di un sistema di disuguaglianza che penalizza chi è già in una posizione vulnerabile. I lavoratori precari, di solito i più giovani e le donne, sono costretti a operare in settori meno redditizi e con maggiore incertezza, con salari che non solo sono inferiori, ma che non consentono neanche una vita dignitosa. Come se la crescente precarietà non fosse sufficiente, il settore pubblico si salva, paradossalmente, grazie a un sistema che offre maggiore stabilità economica, ma che, a lungo andare, non cambia molto per chi, appunto, non è ancora entrato in questo mercato.

Conto e carta

difficile da pignorare

 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link