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Il 21 novembre 2024, Northvolt, un produttore di batterie per veicoli elettrici, che si diceva fosse il
futuro dell’energia in Europa, ha presentato istanza di fallimento. Questo insuccesso solleva
interrogativi sulla strategia europea per l’industria automobilistica. A conferma di un trend negativo
per il settore in Europa, i produttori di auto hanno registrato una perdita netta di 56.000 posti di
lavoro tra il 2020 e il 2024, mentre il produttore cinese di automobili BYD ha aumentato la sua forza
lavoro di 415.000 unità tra il 2021 e il 2023 e ha incrementato le vendite di veicoli di 6,5 volte,
affermandosi come leader globale nel segmento dei veicoli elettrici. Il settore automobilistico
europeo sembra lottare con una regolamentazione rigida e un sostegno finanziario limitato,
soprattutto se paragonato agli aiuti significativi forniti dall’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti o al
forte sostegno del governo cinese ai produttori locali. A queste sfide si aggiunge la scarsa domanda
dei consumatori europei per i costosi veicoli elettrici, che ostacola ulteriormente la crescita del
settore.

Il fallimento di Northvolt: un simbolo degli obiettivi europei mancati

Fondata nel 2017 per competere con i giganti asiatici delle batterie (CATL, LG, ecc.), la start-up
svedese è emblematica delle ambizioni europee nella transizione energetica. In breve tempo,
Northvolt si è assicurata finanziamenti significativi, raccogliendo 15 miliardi di euro di debito e
capitale da Volkswagen (azionista al 21%), BMW (2,8%), importanti istituzioni finanziarie (soprattutto
Goldman Sachs) e, in misura minore, fondi pubblici. Alla fine del 2022, Northvolt aveva un
ragguardevole portafoglio ordini di 55 miliardi di dollari, che rifletteva un forte impegno da parte
delle case automobilistiche.

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Sfortunatamente, il management di Northvolt, spinto da obiettivi troppo ambiziosi, ha tentato di
costruire otto fabbriche ad alta tecnologia in otto località su due continenti. Tuttavia, la carenza di
manodopera qualificata, esperta in queste tecnologie avanzate, e l’insufficiente competenza nelle
macchine utensili essenziali hanno fatto sì che la prima fabbrica producesse solo l’1% dell’obiettivo
iniziale. Questo ha portato alla cancellazione degli ordini dei clienti, tra cui BMW, e a una massiccia
perdita di liquidità, che ha lasciato la start-up con 5,8 miliardi di dollari di debiti e solo 30 milioni di
dollari di liquidità alla fine del 2024. Grazie alla revisione del piano di sviluppo, Northvolt ha ancora
un paio di mesi per ottenere nuovi finanziamenti.

Grazie ad altri operatori del settore (Verkor, ACC, PowerCo, ecc.), dal 2017 l’Europa è riuscita ad
aumentare la sua quota nel mercato globale delle batterie dal 3% al 17%, raggiungendo fatturati
annui pari a 81 miliardi di euro nel 2023 dopo aver stanziato più di 6 miliardi di euro del bilancio
dell’Unione Europea a sostegno dell’innovazione e di progetti transfrontalieri sulle batterie. Tuttavia,
il mercato rimane dominato dagli operatori asiatici che ne controllano il 70%. Inoltre, la maggior
parte dei trenta progetti europei di gigafactory (fabbriche che producono batterie per veicoli
elettrici) sono stati progettati e costruiti con l’aiuto di aziende cinesi e coreane. Ad esempio, CATL e
Stellantis hanno annunciato l’intenzione di costruire insieme una fabbrica di batterie al litio in
Spagna, espandendo ulteriormente l’impronta produttiva cinese sul territorio europeo.

L’industria automobilistica europea si sta quindi muovendo con lentezza per portare avanti la
trasformazione industriale necessaria per resistere alle tattiche aggressive degli operatori cinesi,                                                                         che sono stati tagliati fuori dal mercato statunitense a causa di restrizioni geopolitiche. A ciò si
aggiunge la “montagna” di normative sulla CO 2 che incombe sui produttori di auto, con sanzioni
che potrebbero raggiungere miliardi di euro.

Il numero di veicoli venduti in Europa (compreso il Regno Unito) si è ridotto a 13,4 milioni di unità nel
2024, con un calo del 17% rispetto al 2018. La produzione europea al di fuori del Regno Unito ha
subito un calo altrettanto forte pari al 18,5%, scendendo a 12,2 milioni di unità nel 2023. Questi
volumi inferiori hanno esercitato una pressione notevole sulla struttura dei costi dei terzisti. Inoltre, i
costi di produzione sono aumentati a causa dell’inflazione dei prezzi dell’energia, dei costi logistici e
dei salari. Ma soprattutto, secondo Jim Fairley, CEO di Ford Motors, la produzione di un veicolo
elettrico richiede il 40% di manodopera in meno rispetto alla produzione di un veicolo tradizionale. Di
conseguenza, le case automobilistiche europee hanno annunciato riduzioni di capacità produttiva
(Volkswagen, Ford).

Inoltre, gli obiettivi dell’UE per contrastare il cambiamento climatico aggiungono ulteriore pressione.
A partire dal 2025, le emissioni medie di CO 2 delle nuove autovetture dovranno essere ridotte del
15% rispetto ai livelli del 2021, con un obiettivo di riduzione del 37,5% entro il 2030. Per allineare
l’intero mercato automobilistico, la quota di mercato dei veicoli elettrici in Europa dovrebbe
raggiungere almeno il 28% entro il 2025 (rispetto al 21% nella prima metà del 2024). I produttori
devono rispettare questi obiettivi o rischiano sanzioni finanziarie che potrebbero raggiungere un
totale di 15 miliardi di euro.

Un mercato in declino e le pressioni normative spingono a una significativa ristrutturazione del
settore industriale. L’associazione europea dei produttori di auto afferma che dal 2020 si sono persi
circa 56.000 posti di lavoro netti. Inoltre, solo nella prima metà del 2024 sono stati annunciati
ulteriori 32.000 tagli di posti di lavoro.

È solo questione di tempo prima che le case automobilistiche europee comincino a rifornirsi di
componenti dai fornitori cinesi. I processi autorizzativi brevi, la presenza in Paesi a basso costo
(Europa dell’Est, Marocco), il controllo di tutta la catena del valore (dalle batterie alle auto finite), le
strategie commerciali aggressive e una forte capacità di assorbire le perdite nel breve periodo
spiegano perché i costi dei fornitori cinesi siano inferiori del 20%-30% rispetto a quelli dei produttori
occidentali. In questo contesto, nei prossimi tre-cinque anni i nuovi concorrenti hanno ottime
possibilità di conquistare quote di mercato in Europa.

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La partita non è del tutto persa per i produttori europei, in quanto è improbabile che i nuovi arrivati
possano competere ferocemente in tutte le categorie di prodotti. I fornitori cinesi hanno un chiaro
vantaggio competitivo nell’elettronica e nel software, che li posiziona come leader nelle applicazioni
di intrattenimento e nella guida autonoma. Tuttavia, nel caso di componenti complessi e pesanti
(come gruppi propulsori, trasmissioni, telai, sedili), i produttori cinesi non sono all’avanguardia
nell’innovazione tecnologica. Al contrario, su questi elementi i fornitori europei hanno costruito una
vasta esperienza e una reputazione di lunga data per gli elevati standard di qualità e affidabilità.

Al contempo, le case automobilistiche hanno avviato trattative per modificare la normativa europea
che stabilisce un obiettivo di riduzione delle emissioni di CO 2 per le flotte vendute entro la fine del
2025. Stanno anche incoraggiando i consumatori con sforzi per ridurre i prezzi dei nuovi veicoli.
Inoltre, alcuni governi stanno iniziando ad aumentare gli incentivi ai consumatori. Se da un lato il
percorso ambientale dell’Europa verso la neutralità delle emissioni di carbonio entro il 2050 è chiaro                                                                      e ambizioso, dall’altro la sua politica industriale soffre di una mancanza di struttura adeguata, che
porta a un impatto ambientale negativo.



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