Pensioni 2025, continua la lotta tra Governo e lavoratori

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Prosegue il caos sulle pensioni, dopo il caso degli appellativi INPS aggiornati prima che ci fosse un decreto. Era stata la Cgil a evidenziare un’anomalia, cioè il fatto che il simulatore dell’Istituto avesse aumentato di tre mesi i requisiti (sia anagrafici che contributivi) per l’accesso alla pensione dal 2027. É seguita una smentita, e il Governo si è affrettato a tranquillizzare i contribuenti assicurando una sterilizzazione, ovvero un congelamento, degli aumenti dei requisiti pensionistici legati all’aspettativa di vita. Ma una nuova sterilizzazione degli aumenti, sostengo gli esperti di previdenza, metterebbe a rischio con ogni probabilità la tenuta del sistema pensionistico. Con ricadute sopratutto sulle nuove generazioni. Vediamo i dettagli qui sotto.

Pensioni 2025, il pasticcio dell’INPS

Il caos è iniziato per un errore dell’INPS. Come evidenziato infatti dalla Cgil, il simulatore dell’Istituto aveva aumentato di tre mesi i requisiti per accedere alla pensione, dal 2027, prima che vi fosse un decreto del Governo a certificare l’adeguamento. Poi è arrivato il dietrofront quasi immediato, con l’INPS costretto a ripristinare nottetempo tutti i software con i requisiti attuali, ovvero 67 anni per la pensione di vecchiaia e 42 anni e 10 mesi (1 anno in meno per le donne) per la pensione anticipata.

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Anche il ministro dell’Economia Giorgetti si è affrettato a tranquillizzare gli animi. “È semplicemente che ci sono dei documenti tecnici”, ha dichiarato l’esponente del Governo, “adesso dobbiamo aspettare i dati definitivi che darà l’Istat presumo a marzo. Io ho dato indicazione alla Ragioneria di aspettare con i decreti direttoriali perché la politica giustamente avrà tutto il tempo per fare le sue riflessioni e sterilizzare eventualmente questo aumento”. I dati Istat, a cui si riferisce Giorgetti nelle sue dichiarazioni, sono quelli che riguardano l’adeguamento automatico alla speranza di vita, che devono essere aggiornati ogni due anni per legge. E un aggiornamento sostanziale di questi dati comporterebbe ovviamente la revisione (al rialzo) dei requisiti pensionistici.

Il problema dell’adeguamento e la promessa del Governo

Restiamo quindi sul tema dei dati. Alcuni giorni fa, per rettificare il pasticcio INPS, la Ragioneria generale dello Stato ha confermato quanto anticipato dall’Istat già a ottobre, cioè che l’aspettativa di vita ha fatto un balzo di 7 mesi, dopo il doppio calo avvenuto durante il Covid. Quindi a rigor di logica, i requisiti della pensione dovrebbero effettivamente crescere di 3 mesi nel 2027-2028. E poi di altri 2 mesi nel biennio 2029-2030. Alla fine del quadriennio si andrebbe quindi in pensione a 67 anni e 5 mesi, oppure con 43 anni e 3 mesi di contributi (sempre 1 anno in meno per le donne).

Ma quello che promette Giorgetti, e con lui tutto il Governo, è che a prescindere dai dati Istat e dalle conferme della Ragioneria “non c’è e non ci sarà nessun decreto direttoriale finché la politica non si esprimerà e deciderà come comportarsi”. Ergo, l’eventuale aumento dei requisiti verrà congelato fino a data da destinarsi. “Ci impegneremo a bloccare ogni inasprimento dei requisiti, se i dati Istat dovessero evidenziare un aumento dell’aspettativa di vita”, ha poi ribadito per chiarezza Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro e alle Politiche sociali. Però la domanda sorge comunque spontanea: la ‘sterilizzazione’ dei requisiti promessa dall’esecutivo è davvero sostenibile, dal punto di vista economico? O si tratta della solita promessa vuota?

I rischi di una nuova sterilizzazione

Stando al parere degli esperti di previdenza, una nuova sterilizzazione degli aumenti sarebbe piuttosto deleteria per il nostro Paese. Questo perché l’adeguamento dei requisiti pensionistici all’aspettativa di vita serve a tenere in equilibrio il sistema pensionistico, garantendo anche ai giovani una pensione dignitosa. Se invece il Governo decidesse di congelare i 3 mesi extra previsti per il 2027-2028, come suggerisce Giancarlo Giorgetti, i costi per lo Stato sarebbero enormi. Si stimano circa 1,8 miliardi nel 2027, e ben 2,3 miliardi nel 2028, per un totale di oltre 4 miliardi di spesa in più nel biennio 2027-2028. Spesa che ricadrebbe ovviamente anche sui cittadini, seppur indirettamente. Ma può permettersi una mossa del genere questo esecutivo? Non sarebbe forse meglio guardare in faccia la realtà, provando a studiare una soluzione più realistica? Restiamo come sempre in attesa di risposte.


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