La Russia, l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti sono solo tre dei Paesi che stanno finanziando le forze in campo e guadagnando da uno dei peggiori conflitti in corso al mondo e spesso ignorato
Il conflitto catastrofico che ha travolto il Sudan ha ricevuto nel 2024 scarsa attenzione da parte del mondo, ma ci sono segnali che le cose potrebbero cambiare.
Il 7 gennaio gli Stati Uniti, negli ultimi giorni dell’amministrazione Biden, hanno formalmente accusato di genocidio le Forze paramilitari di supporto rapido (Rsf). Poco dopo, le Forze armate del Sudan (Saf) hanno ripreso la capitale Khartoum e la maggior parte del Gezirah, uno Stato strategicamente importante a sud della città.
Giovedì scorso, Washington ha annunciato ulteriori sanzioni, questa volta rivolte al leader delle Saf, il generale Abdel Fattah al-Burhan, le cui forze sono accusate di “bombardamenti indiscriminati di infrastrutture civili, attacchi a scuole, mercati e ospedali ed esecuzioni extragiudiziali”, oltre che di avere utilizzato armi chimiche, illegali secondo il diritto internazionale.
La situazione in Sudan sembra ora avvantaggiare l’esercito regolare
“Penso che sia molto probabile che questo sia un punto di svolta, almeno per le Saf”, ha sottolineato l’analista politico sudanese Kholood Khair.
Khair è stata consulente delle Nazioni Unite e dirige il Confluence Advisory, che descrive come un “think-and-do-tank”. Ha lavorato a Khartoum fino allo scoppio della guerra nell’aprile 2023.
Parlando con Euronews dall’Università di Princeton, ha spiegato che se le Saf sono state state in difficoltà per oltre un anno, i recenti sviluppi hanno significativamente “ringiovanito” e hanno indebolito le Rsf.
Shaza Elmahdi, attivista da tempo impegnata nel movimento pro-democrazia sudanese, la pensa allo stesso modo.
“Direi che alla fine le risorse dell’Rsf si esauriranno. Non riceveranno molto sostegno”, ha dichiarato Elmahdi a Euronews. “Non vedo alcun futuro per loro in termini di governo del Paese”.
Come si è arrivati alla guerra civile in Sudan?
Nel 2019, il dittatore Omar al-Bashir e il suo Partito del Congresso Nazionale, tradizionalista e conservatore, sono stati deposti con un colpo di Stato militare dopo un anno di intense proteste.
Nei turbolenti anni che sono seguiti, il Sudan è oscillato tra un governo civile e uno militare, ma in pratica è stato guidato dall’esercito con sostegno delle milizie paramilitari, responsabili di vari massacri.
L’accordo tra i militari si è rivelato tutt’altro che stabile e le varie forze in campo sono arrivate presto ai ferri corti, secondo Gerrit Kurtz, ricercatore presso il German Council on Foreign and Security Relations.
“Poche settimane prima dello scoppio della guerra… avevo avvertito i diplomatici con cui parlavo e praticamente chiunque volesse ascoltare che la guerra era imminente”, ha detto Khair, ricordando “i carri armati delle Rsf entrare a Khartoum”.
Nonostante questi avvertimenti, molti governi stranieri erano più concentrati sui propri interessi che su ciò che stava accadendo nel grande Paese africano.
“Per gli europei si trattava di migrazione, per gli americani di sicurezza del Mar Rosso”, ha spiegato Khair a Euronews ma “all’epoca stavamo assistendo a tutti questi colpi di stato in Africa occidentale e nel Sahel… che favorivano o inclinavano quei Paesi verso la Russia”.
Quando il 15 aprile 2023 le Rsf hanno condotto una serie di attacchi fulminei contro le basi dell’esercito e contro l’aeroporto di Khartoum, è scoppiata una vasta guerra civile su e non solo tra le due principali fazioni.
Sotto l’ombrello delle Saf infatti si sono riunite una serie di forze minori in tutto il Paese, sebbene i paramilitari rivendichino il sostegno delle milizie del gruppo nomade arabo Janjaweed, noto per i massacri compiuti nel Darfur.
La lotta nel Sudan per il traffico di armi e oro
Mentre le Saf contano da tempo sul sostegno dell’Egitto, dove molti dei suoi ufficiali e leader sono stati addestrati, le Rsf hanno mantenuto un forte rapporto con gli Emirati Arabi Uniti, che ha aiutato nella campagna a guida saudita contro i ribelli Houthi nello Yemen.
“Mentre i sauditi si concentrano principalmente sulla guerra aerea – riuscendo in gran parte a colpire i civili – gli emiratini hanno una presenza di terra più significativa”, ha spiegato Kenneth Roth, un importante avvocato statunitense ed ex direttore di Human Rights Watch.
Come parte della loro presenza di terra, gli Emirati Arabi Uniti hanno fatto affidamento su circa 40mila truppe sudanesi a partire dal 2016.
Gli Emirati Arabi Uniti sono uno dei maggiori importatori di oro al mondo e hanno stabilito un lucroso commercio di decine di miliardi di dollari all’anno di metallo prezioso proveniente dalle aree del Sudan controllate dalle Rsf, pagando in armi e contanti.
Gli Emirati non sono gli unici attori esterni che partecipano alla corsa all’oro sudanese. Vari media hanno evidenziato un fiorente traffico di oro di contrabbando attraverso il confine dal Sudan settentrionale all’Egitto.
L’Egitto ha accolto la maggior parte dei 3 milioni di rifugiati sudanesi dallo scoppio della guerra. La sua economia è in caduta libera dal 2022, da quando la sterlina egiziana è scivolata da 17 a circa 50 contro l’euro, tuttavia i rifugiati sembrano essere una risorsa più che un problema per Il Cairo.
“Ci sono Paesi che ora stanno succhiando il capezzolo dell’economia di guerra del Sudan e non hanno alcun incentivo a cercare una soluzione”, ha spiegato ancora Khair, l’ex consulente delle Nazioni Unite.
Il Sudan ha anche una posizione geostrategica
Non è solo l’oro ad aver tentato attori esterni nel conflitto. Gil esperti contattati da Euronews hanno indicato la posizione strategica del Sudan come una delle ragioni principali del coinvolgimento straniero.
“Il crescente interesse degli Emirati è nei porti”, ha detto l’attivista Elmahdi e l’interesse si spiega con la volontà di indebolire il raggio d’azione saudita.
“È un approccio molto britannico all’imperialismo: un piccolo Paese che ha molti porti in diverse parti del mondo”, secondo Khair.
Per Kurtz del German Council on Foreign and Security Relations anche l’Iran, che sostiene le Saf, ha fatto pressioni per ottenere l’accesso a Port Sudan.
Da parte sua la Russia, che ha finito per sostenere contemporaneamente entrambe le parti del conflitto in Sudan, ricevendo oro in cambio.
Tuttavia, sia Khair sia Kurtz respingono con forza l’idea che la guerra civile sudanese sia una guerra per procura, quando piuttosto una lotta di potere interna sostenuta dall’estero in cambio di vantaggi di vario genere.
Cosa accadrà a breve in Sudan?
Il conflitto sembra destinato a entrare in una nuova fase non solo per i recenti sviluppi sul campo, ma anche per le mutate circostanze dei finanziatori esterni finora coinvolti.
Con la caduta di Bashar al-Assad in Siria, Iran e Russia hanno perso uno dei loro più importanti alleati regionali e, nel caso di Mosca, la sua più importante base navale nel Mediterraneo, Tartus.
Molti analisti ipotizzano che il Cremlino stia guardando a Paesi come il Sudan e la Libia, dove ha già iniziato a trasferire truppe ed equipaggiamenti. Si sa che almeno quattro aerei cargo russi Il-76 hanno viaggiato da Mosca o dalla capitale bielorussa Minsk alla città libica di Bengasi nella settimana successiva alla caduta di al-Assad.
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