“Quelli che accusano il sottoscritto di voler incrementare le differenze, non possono attribuire tutte quelle situazioni che non vanno all’autonomia differenziata perchè non c’è. E di questo ne siamo sicuri, prova ne è che il referendum non è stato accolto: non ci si può esprimere su un’autonomia che non c’è”. E’ un passaggio della lectio magistralis del ministro per le Autonomie, Roberto Calderoli, padre della legge sull’autonomia, oggi all’Istituto criminologia di Vibo Valentia. Dove ha esordito così: “Non facendo io il magistrato, l’avvocato o il professore, l’unica risposta che mi do per il mio essere qui è di esserlo in veste di criminale. E lo sarei se fossero vere le attribuzioni, gli insulti e le accuse che mi vengono rivolte da chi è contrario all’autonomia, partiti politici o comitati”. L’accusa principale è “che voglio spaccare il paese e- prosegue sul filo del ragionamento con un pizzico di ironia- è un reato l’attentato all’unità nazionale. Ma rispetto al fatto che mi viene attribuito di voler dividere l’Italia, io non posso dividere ciò che è già diviso”. L’Italia, ricorda infatti Calderoli, è già divisa nella fruizione dei diritti e basta guardare le differenze che ci sono tra aree metropolitane da una parte e aree periferiche, svantaggiate, di confine o isole dall’altra, per toccarlo con mano. Ci sono “diversità nella fruizione dei diritti che io ho l’obiettivo di superare e non di incrementare”. E invece, racconta, lo si accusa di “attentare” alla “durata media della vita dei cittadini del mezzogiorno” o di “favorire la criminalità organizzata” attraverso l’autonomia. Ma “il mio obiettivo è far crescere nord e sud del paese e quindi tutto il paese”. Però “non bastano le parole”, servono le leggi e “l’autonomia non è una bestemmia”.
Calderoli ricorda che l’autonomia si è fatta largo come prospettiva possibile con la modifica del titolo V della Costituzione, ma era già prevista dalla Costituzione stessa (“Fa parte di quei principi fondamentali che sono intangibili anche da modifiche costituzionali”). E differenziare talvolta è una risposta più efficace, dice facendo l’esempio degli orari di accensione dei termosifoni a Livigno e Lampedusa: stabilire che possono essere diversi “non mi sembra che voglia dire spaccare il paese, ma farlo funzionare meglio”. E ugualmente il “tessuto sociale, culturale e imprenditoriale è fortemente diverso” in Italia, “legato a situazioni territoriali e le diversità sono un grosso patrimonio per il paese che dobbiamo cercare di sviluppare di più”. Tanto che cita le diverse richieste di ambiti su cui ha ricevuto richieste di autonomia da tanti governatori: dove la sanità, dove l’energia, dove i beni culturali… “Non vedo nulla di negativo nella differenziazione se non nella mala-interpretazione di voler penalizzare qualcuno a vantaggio di altri, ma non interessa a nessuno penalizzare qualcuno perchè il Pil nazionale è la somma di tutti i Pil quindi o crescono tutti o a fondo ci si va tutti assieme”. Ma l’autonomia ancora manca “forse per responsabilità di come sono andate le cose fino ad oggi e io dico che le responsabilità sono del centralismo perchè quando verificheremo chi sono i responsabili della cattiva amministrazione” se ne troveranno “a livello centrale e territoriale però lo Stato è uno, e se amministra male qualcosa dev’essere corretto”. In particolare, Calderoli si sofferma su “scarsa responsabilità e trasparenza nell’utilizzo delle risorse: lo Stato spende troppo e spende male”.
Ad ogni modo l’autonomia non è un obbligo. Ma ugualmente, dice il ministro, di fronte alle spinte venute ad esempio da Veneto e Lombardia perchè ci fosse più autonomia, “non potevo girarmi dall’altra parte”. E, in fondo, l’autonomia la voleva anche il Pd: con il Governo Gentiloni, assieme a Veneto e Lombardia firmò anche l’Emilia-Romagna, ricorda. “Quattordici Regioni mi hanno chiesto forme particolari di autonomia anche quelle che oggi sono contro”. E Calderoli torna sugli argomenti sbandierati contro: “Si dice che con questa attribuzione (di autonomia, ndr) si sottraggono risorse alle Regioni che non l’hanno chiesta… E’ il contrario di quello che dice la legge”. Se ci fossero maggiori oneri per il Lep sarebbero coperti e, continua, “nessuno ha mai detto di voler toccare i residui fiscali: solidali eravamo prima e solidali continueremo a essere”, magari migliorando le cose con il fondo perequativo. Insomma, avanti. “E’ un processo ineludibile? E’ una cosa obbligatoria o la facciamo perchè vogliamo divertirci con le riforme? Le riforme spaventano, però se tutti stessimo bene non toccheremmo niente e andremmo avanti come si è sempre andati, ma se ci sono realtà del paese che non stanno bene, io penso che sia il caso di affrontarle in termini di riforme”, conclude
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link