Il ddl sulla partecipazione dei lavoratori alle imprese svuotato dalla maggioranza: “Così distrugge la contrattazione collettiva”

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Le commissioni Lavoro e Finanze della Camera hanno dato via libera alla proposta di legge in materia di partecipazione dei lavoratori al capitale, alla gestione e ai risultati dell’impresa. Le opposizioni hanno votato contro. Il testo è atteso lunedì 27 gennaio, presentato dai relatori Lorenzo Malagola (FdI) e Laura Cavandoli (Lega). Si trattava in origine di una proposta di iniziativa popolare promossa dalla Cisl, come è noto non ostile al governo, che puntava ad attuare l’articolo 46 della Costituzione in base al quale “ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende”. Fin dall’inizio la partecipazione dei lavoratori agli organi di vertice era solo un’opzione. A valle del passaggio parlamentare, durante il quale è stata fusa con altre proposte di parlamentari di maggioranza e svuotata a suon di emendamenti, quel che resta secondo il leader della Cgil Maurizio Landini è un testo che “distrugge la contrattazione collettiva nei luoghi di lavoro, al ribasso rispetto a quanto già concordato sui diritti di informazione e consultazione nei contratti nazionali ed aziendali”. Il Pd concorda (“non è più una legge sulla partecipazione”) mentre Avs parla di un pericoloso tentativo di indebolire il sindacato.

Tra le modifiche volute dalla maggioranza c’è innanzitutto un emendamento che modifica la definizione di “contratti collettivi” in linea con la volontà del governo Meloni di accreditare anche organizzazioni sindacali minori (ben disposte nei confronti dell’esecutivo) e in alcuni casi “pirata: ai “contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” si aggiungono anche quelli stipulati dalle associazioni sindacali “maggiormente” rappresentative: una dizione che spalanca le porte ai sindacati diversi da quelli confederali.

È stata poi eliminata la quota minima di presenza dei lavoratori tra i componenti del consiglio di sorveglianza delle imprese con sistema dualistico (consiglio di gestione e appunto consiglio di sorveglianza), che inizialmente era previsto fosse “non inferiore a un quinto”. La presenza sarà più genericamente assicurata da “uno o più rappresentanti dei lavoratori”. Nelle società che non adottano il sistema dualistico, la partecipazione ai cda di uno o più amministratori rappresentanti gli interessi dei lavoratori non sarà più prevista dai contratti collettivi ma dagli statuti societari “qualora disciplinata dai contratti collettivi”.

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Sostanziali i cambiamenti fatti all’articolo 15, che prevedeva la costituzione negli istituti di credito, nelle imprese che erogano servizi pubblici essenziali e nelle società a partecipazione pubblica debbano costituire commissioni paritetiche di consultazione con i rappresentanti dei lavoratori. L’obbligo è stato soppresso, cosa che per le opposizioni può favorire l’eventuale ingresso di soci esteri nelle partecipate pubbliche visto che potrebbero acquisire quote senza che il parere di un rappresentante dei lavoratori possa creare intralcio. I lavoratori sono poi stati esclusi anche dalla possibilità di avere voce in capitolo nelle politiche gestionali delle banche. Su questo anche il segretario della Cisl Luigi Sbarra si è appellato alla politica perché lo spirito del testo fosse “preservato”.

All’ultimo miglio sono saltati pure i premi per l’innovazione e l’efficienza: resta solo l’ipotesi che le aziende possano “promuovere l’istituzione di commissioni paritetiche, composte in eguale numero da rappresentanti dell’impresa e dei lavoratori, finalizzate alla predisposizione di proposte di piani di miglioramento e di innovazione dei prodotti, dei processi produttivi, dei servizi e dell’organizzazione del lavoro”. Nella versione originale, la norma prevedeva anche che i contratti collettivi potessero stabilire il riconoscimento di premi aziendali ai dipendenti che avessero contribuito collettivamente o individualmente, al miglioramento e all’innovazione di prodotti, servizi e processi organizzativi.

Saltata infine l’istituzione del Garante della sostenibilità sociale delle imprese: per volere della Lega è stato soppresso l’articolo 21 che ne prevedeva l’istituzione, presso il Ministero del lavoro. Doveva operare come “soggetto certificatore della condotta d’impresa responsabile delle società che, su base volontaria, si sottopongono alla valutazione, anche avvalendosi di modelli di sostenibilità sociale gestiti da soggetti indipendenti, al fine di individuare, prevenire, attenuare e rendere conto dei danni esterni derivanti dagli impatti negativi sui diritti umani e dagli impatti ambientali negativi nelle attività che svolgono, nelle loro filiazioni e nella catena del valore cui partecipano”.

“Con la soppressione integrale di ben 7 dei suoi 22 articoli e l’ampia riscrittura di quelli rimanenti, la proposta di iniziativa popolare promossa dalla Cisl è rimasta completamente spoglia”, hanno commentato Maria Cecilia Guerra, responsabile Lavoro nella segreteria nazionale Pd e Arturo Scotto, capogruppo Pd in commissione Lavoro della Camera. “Nulla di nuovo o di meglio rispetto a quanto già si può fare e si fa già in molte imprese attraverso l’autonoma contrattazione tra le parti sociali. Resta solo un’agevolazione fiscale un poco più robusta (fino a 5000 invece che 4000 euro) limitata al solo 2025 a quei pochi lavoratori cui verranno distribuiti utili e, sempre solo per il 2025, un’analoga agevolazione per quei pochissimi che riceveranno dividendi. L’auspicata e attesa attuazione dell’articolo 46 della Costituzione è stata trattata da maggioranza e governo alla stregua di un ordinario emendamento alla legge di bilancio”.

Per Franco Mari, capogruppo di Avs nella commissione Lavoro della Camera, “la legge viene maldestramente sbandierata come attuativa della Costituzione, ma in realtà non è affatto coerente con la nostra carta fondamentale. L’articolo 46 parla non a caso di ‘collaborazione’ tra lavoratori e aziende. Questa proposta è invece, evidentemente, una manipolazione e una interpretazione scorretta del dettato costituzionale: trasforma la ‘collaborazione’ in ‘partecipazione’ e sancisce la possibilità per i lavoratori di partecipare anche agli utili o alle perdite delle imprese per cui lavorano. Un conflitto di interessi che non può portare niente di buono. Una decisione molto pericolosa che indebolisce il sindacato dove è più forte, alterando il rapporto tra le parti proprio laddove la capacità di contrattazione è più elevata”.



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