La frase di Giuseppe Prezzolini “Dovere: è quella parola che si trova nelle orazioni solenni dei furbi quando vogliono che i fessi marcino per loro”, è un pungente spunto di riflessione sul rapporto tra potere, manipolazione e responsabilità individuale. Per approfondire questo tema, abbiamo intervistato il Dottor Gregorio Scribano, social media manager, opinionista politico e pioniere del giornalismo partecipativo in Italia. Scribano offre una visione critica e innovativa sull’attualità di questa frase e sul modo in cui il senso del dovere viene strumentalizzato nella società moderna. L’intervista, che segue, rappresenta un contributo prezioso per chiunque voglia comprendere meglio le dinamiche di potere e comunicazione nell’era digitale.
Dottor Scribano, oggi vorremmo riflettere con te sulla famosa frase di Giuseppe Prezzolini: “Dovere: è quella parola che si trova nelle orazioni solenni dei furbi quando vogliono che i fessi marcino per loro”. Una citazione forte e provocatoria. Come la interpreti nel contesto della società attuale?
La frase di Prezzolini è incredibilmente attuale, soprattutto in un’epoca come la nostra in cui la comunicazione è diventata tanto immediata quanto manipolabile. Prezzolini parla di un meccanismo che è sempre esistito: l’utilizzo di concetti alti e nobili, come il dovere, per spingere le masse a compiere azioni che avvantaggiano una minoranza. Oggi questo meccanismo si amplifica con i social media e con una narrativa che spesso confonde il senso di responsabilità con una sorta di obbedienza cieca.
Crede che questo fenomeno sia particolarmente evidente nella politica italiana?
Assolutamente sì. In Italia, il senso del dovere è stato spesso evocato come strumento di controllo. Pensiamo ai sacrifici richiesti ai cittadini durante le crisi economiche: frasi come “è necessario stringere la cinghia per il bene comune” sono diventate un mantra. E mentre la maggioranza fa sacrifici, chi è al vertice spesso si autoesenta da questo stesso dovere. Questa dinamica crea un circolo vizioso di sfiducia che mina il rapporto tra cittadini e istituzioni.
Quindi secondo lei il problema sta nel concetto stesso di dovere o nel suo utilizzo?
Il concetto di dovere è nobile in sé. Fa parte del patto sociale che ci tiene insieme come comunità. Il problema è il suo abuso e la sua distorsione. Quando il dovere viene imposto in modo unilaterale, senza reciprocità, si trasforma in uno strumento di oppressione. Se chi chiede sacrifici non è disposto a farne, allora non si tratta più di un dovere condiviso, ma di una manipolazione.
Come si collega questo al giornalismo partecipativo, di cui lei è un pioniere?
Il giornalismo partecipativo è uno strumento potente per smascherare queste dinamiche. Permette alle persone di raccontare storie che altrimenti rimarrebbero nell’ombra e di mettere in discussione le narrazioni ufficiali. Quando i cittadini diventano reporter, possono evidenziare le contraddizioni di chi predica il dovere ma non lo pratica. Questo approccio crea uno spazio di dibattito più equo e contribuisce a bilanciare il potere della comunicazione.
Puoi farci un esempio concreto in cui hai visto il giornalismo partecipativo fare la differenza?
Certamente. Pensiamo alle proteste legate alle politiche di austerità degli ultimi anni. In molti casi, i media tradizionali si sono limitati a riportare la narrativa istituzionale: “I sacrifici sono necessari per il bene del Paese”. Grazie al giornalismo partecipativo, però, sono emerse storie di persone che subivano ingiustizie, di sprechi di risorse pubbliche e di privilegi che cozzavano con i sacrifici richiesti. Questo ha contribuito a mettere in discussione la legittimità di certe decisioni e ha dato voce a chi non l’aveva.
Tornando alla frase di Prezzolini, pensa che i “fessi” siano destinati a rimanere tali?
Non credo. I “fessi” di cui parla Prezzolini non sono stupidi, ma spesso vittime di un sistema che li tiene all’oscuro. La chiave per spezzare questo meccanismo è l’informazione. Quando le persone acquisiscono consapevolezza, diventano meno manipolabili. Questo è il motivo per cui credo tanto nel giornalismo partecipativo e nell’educazione critica: sono strumenti per trasformare i “fessi” in cittadini consapevoli e capaci di decidere autonomamente.
In conclusione, quale consiglio darebbe ai nostri lettori per difendersi dai furbi che sfruttano il concetto di dovere?
Il primo passo è imparare a mettere in discussione ciò che ci viene detto. Non accettare mai passivamente concetti come “dovere” o “sacrificio” senza chiedersi chi ne trae realmente beneficio. Il secondo è informarsi da fonti diverse, soprattutto quelle che danno spazio a voci fuori dal coro. Infine, è importante costruire comunità solidali: quando le persone si uniscono, diventano meno vulnerabili alle manipolazioni.
Dottor Scribano, grazie per questa analisi illuminante. Un vero piacere parlare con lei.
Grazie a voi, è stato un piacere contribuire a questa riflessione.
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