Un gruppo di speleologi volontari ha avviato un’operazione di recupero per liberare la Grotta di Jablenza dai rifiuti, riportandola alla sua bellezza naturale e restituendole il suo valore ecologico e storico.
Il Problema della Contaminazione Sotterranea
Nel corso degli ultimi decenni, le grotte, che un tempo rappresentavano luoghi di mistero e bellezza incontaminata, sono diventate vittime di un inquinamento che minaccia seriamente il loro equilibrio naturale.
L’inquinamento sotterraneo è un fenomeno che, per lungo tempo, è stato sottovalutato, ma che ora sta attirando l’attenzione di speleologi e ambientalisti.
La Grotta di Jablenza, situata nella zona carsica vicino Trieste, è un esempio significativo di come il patrimonio sotterraneo possa essere compromesso dall’inquinamento.
La grotta, nota anche come “Il Buco del Diavolo”, è stata per anni un punto di abbandono di rifiuti di vario genere, dalle carcasse di animali a macerie di auto, passando per materiali tossici.
Questa situazione ha creato una grave minaccia per l’ambiente naturale della zona, ma anche per la salute dell’intero acquifero carsico, che rischia di essere contaminato dalle sostanze nocive presenti nelle cavità.
L’Inizio di una Lunga Lotta: Il Ruolo del Club Alpinistico Triestino
Nel 2015, un gruppo di speleologi del Club Alpinistico Triestino (CAT), un’associazione storica della zona, ha deciso di intervenire per recuperare la Grotta di Jablenza, che si trovava in uno stato di degrado avanzato.
La situazione della grotta era talmente critica che molti ritenevano ormai impossibile ripristinarla alla sua forma originaria.
Nonostante le difficoltà, i membri del CAT hanno deciso di intraprendere un’operazione di recupero che si sarebbe rivelata lunga e complessa.
Il primo passo è stato quello di avviare una serie di operazioni di pulizia e recupero, utilizzando tecniche moderne che si erano rivelate efficaci in altre grotte contaminate.
I volontari del CAT si sono subito trovati di fronte a una realtà sconvolgente: strati di rifiuti accumulati nel tempo, che avevano creato una sorta di “archeologia del rifiuto”.
Ogni strato di sporcizia rimosso ne nascondeva uno più antico, con rifiuti che risalivano anche a decenni prima.
Le Difficoltà e le Scoperte: Una Grotta Piena di Storia
Nel corso delle operazioni, i volontari hanno fatto delle scoperte sorprendenti.
Tra i rifiuti rimossi, infatti, si trovava anche la carcassa di una Fiat 500, probabilmente abbandonata negli anni ’60.
Rimuoverla non è stato facile: il veicolo doveva essere smontato pezzo per pezzo e sollevato a mano, utilizzando corde e altre attrezzature.
A questo si aggiungevano le difficoltà legate alla rimozione di tonnellate di rifiuti di vario tipo, tra cui vetri e frammenti di ceramica che si erano incastonati nel pavimento della grotta.
Nonostante gli enormi sforzi, il lavoro non è mai stato completato. Milioni di frammenti di vetro e ceramica sono ancora presenti nel sito, testimoni silenziosi di un’epoca passata e di una gestione irresponsabile dell’ambiente.
Questi rifiuti, sebbene visibili solo sotto una lente molto attenta, sono una delle principali cause del degrado ecologico della grotta e dei suoi dintorni.
Il Recupero Completo della Grotta: Una Meta Lontana ma Possibile
Nel 2017, la maggior parte dei rifiuti più ingombranti era stata rimossa, ma la pulizia non si è fermata.
Ogni anno, i volontari del CAT, insieme ad altri speleologi, continuano a lavorare per riportare la grotta alla sua naturale bellezza, purtroppo, senza mai poter dichiarare il recupero completo.
La rimozione dei rifiuti richiede un impegno costante e una pianificazione meticolosa, ma i risultati sono visibili: la grotta ha iniziato a riprendersi.
Oggi, la Grotta di Jablenza non è solo un luogo di interesse per gli speleologi, ma anche un habitat importante per la fauna locale.
Il suo primo pozzo, alto 55 metri, è diventato la casa di una numerosa colonia di piccioni selvatici.
Questo riflette un successo ecologico, anche se il recupero non può essere considerato totalmente risolutivo.
La Storia e il Fascino del “Buco del Diavolo”
Il nome di “Buco del Diavolo” ha origini nella tradizione locale, legata a racconti popolari che parlano di eventi misteriosi e spaventosi.
Si narra che, nel 1897, un giovane pastore raccontò una storia che parlava di una ragazza scomparsa nel buco della grotta, vittima di forze invisibili.
Sebbene la storia sia stata ritenuta una leggenda, il nome è rimasto legato alla grotta, alimentando l’aura di mistero e pericolo che da sempre l’accompagna.
Oggi, molti esperti ritengono che questo nome non rispecchi più la realtà della grotta.
La vera minaccia, come dimostra il lavoro svolto dal CAT, non risiede nel buio misterioso delle caverne, ma nell’incuria e nell’imperizia umana.
La grotta di Jablenza, infatti, è simbolo di una redenzione possibile, non per il “diavolo”, ma per l’uomo stesso, capace di rimediare ai propri errori e di prendersi cura del proprio patrimonio naturale.
Conclusioni: Un Modello di Recupero Ambientale
La storia della Grotta di Jablenza è una lezione di resilienza e speranza.
La riqualificazione del sito non è solo una vittoria per l’ambiente, ma anche per la comunità locale e per chi si impegna quotidianamente nella tutela e nel recupero del patrimonio sotterraneo.
Questo progetto dimostra che, con impegno e determinazione, anche i luoghi più danneggiati possono essere restituiti alla loro bellezza originaria.
Resta però la consapevolezza che la protezione dell’ambiente sotterraneo è un lavoro continuo e che, in futuro, servirà un impegno maggiore da parte di tutti per prevenire nuove forme di inquinamento e degrado.
La Grotta di Jablenza, ora, non merita più il suo sinistro nome, ma piuttosto di essere vista come una testimonianza della capacità umana di rimediare e salvaguardare un patrimonio unico e fragile, troppo spesso dimenticato.
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