Il direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia:«Abbiamo una propensione al rischio più bassa e dobbiamo cambiare perché non aiuta lo sviluppo. Devi prendere dei rischi per fare cose nuove»
Se gli Stati Uniti hanno presentato al mondo – direttamente dalla voce di Trump – il progetto Stargate con l’obiettivo di consolidare la loro posizione dominante nella corsa tecnologica, per noi europei questo annuncio può rivelarsi un’oppportunità altrettanto preziosa. Un’opportunità per «darsi una svegliata». Per Giorgio Metta, direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia, la nostra risposta a un piano da 500 miliardi di dollari per costruire un’infrastruttura per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale non può che essere che anche noi dobbiamo metterci d’impegno: «Abbiamo costruito il nostro framework con le regolamentazioni, molto condivisibili. Però ci stiamo dimenticando di fare i compiti a casa. Ovvero investire nella ricerca e in un’infrastruttura che abbiamo già iniziato a costruire. Il messaggio che ci arriva è questo: dobbiamo svegliarci. Questo annuncio può rappresentare per noi un bellissimo volano».
Cambiare l’approccio culturale
Giorgio Metta dirige un’eccellenza italiana e uno degli istituti di ricerca più importanti d’Europa. Ed è la ricerca – e gli investimenti per la ricerca – il punto debole del nostro continente rispetto alla battaglia tecnologica che sta coinvolgendo i tre poli del mondo: noi, gli Stati Uniti e la Cina. «Le aziende americane tech stanno portando avanti sia prodotti sia innovazione tecnologica. E allo stesso tempo, come abbiamo visto con Stargate, costruiscono un pezzo della spina dorsale del Paese. In Europa c’è un modello diverso, dove la ricerca è 30 per cento industriale e 70 pubblica». E questo sopratutto perché alla base c’è una differenza culturale: «Abbiamo una propensione al rischio più bassa e dobbiamo cambiare perché non aiuta lo sviluppo. Devi prendere dei rischi per fare cose nuove».
Non solo intelligenza artificiale
Il progetto Stargate, finanziato dai colossi OpenAI, Oracle e Softbank, non rappresenta solo una spinta per l’allenamento dell’intelligenza artificiale. «Si parla di infrastrutture per il calcolo e questo è utilissimo anche per fare altre cose, come stiamo già facendo noi con la nostra rete di supercomputer», precisa Metta parlando del progetto EuroHpc per creare un ecosistema di supercomputer in Europa, come quello di Leonardo a Bologna utilizzato per lo studio metereologico e per l’ottimizzazione industriale. Tra le altre cose: «La tecnologia oggi è una sorta di campo di battaglia. E l’intelligenza artificiale è una sorta di arma, che consente di fare altro. Velocizzare la scoperta di farmaci, progettare nuovi materiali, efficientare processi chimici, fare simulazioni. E poi, ovviamente, l’automazione».
Il punto sensibile dell’industria militare
C’è un altro settore che avrà un grande sviluppo dall’evoluzione dell’intelligenza artificiale ed è quello militare: «Non ci si può fare molto, è come tutte le tecnologie. Nel caso del nucleare c’è stata una moratoria internazionale, che però era basata sul deterrente. Sull’AI temo sarà difficile». I risvolti problematici sono legati soprattutto all’accelerazione esponenziale delle decisioni e dell’analisi dei dati: «Per quanto si possa ipotizzare che ci sia sempre un uomo al comando, nella realtà dei fatti a tale velocità nessun essere umano potrà mai competere nelle risposte. Perché quelli dell’AI sono tempi di reazione non umani, che possono non consentire un’azione politica e rischiano di creare escalation molto rapide». E qui si torna alla necessità di regolamentazioni. Con Trump che ha sospeso l’ordine esecutivo voluto da Biden per dare un primo – timido – sistema di regole di sicurezze allo sviluppo dell’AI, l’Europa può, anche qui, cogliere l’occasione per «fare quadrato. Mettiamoci insieme e sviluppiamo tecnologia. Abbiamo una massa critica, ma le divisioni non hanno aiutato. Forse è il momento di ragionare davvero su una difesa comune. L’allargamento dell’Europa è da portare avanti con la massima velocità, per allargare il mercato ma anche portare nella comunità tanti giovani e tante persone con una spinta verso l’innovazione».
La questione energetica
Nuove infrastrutture, nuovi data center, si traducono in una grande necessità di energia. E infatti Trump, annuciando il progetto Stargate, si è impegnato a fornire tutta l’elettricità di cui questi colossi hanno bisogno. Secondo il direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia, qui c’è un grosso problema che però si può risolvere proprio facendosi aiutare dalla stessa tecnologia: «Il problema del cambiamento climatico è serio e costerà molto di più, secondo i modelli, rispetto alla spesa che si dovrebbe sostenere adesso per avviare la transizione energetica. E per noi potrebbe essere un momento di grande innovazione: vale la pena fare uno sforzo sulle rinnovabili. E poi bisogna fare un pensiero tecnologico, sui nuovi materiali per il fotovoltaico, sulla produzione di idrogeno come vettore energetico». C’è anche il tanto dibattuto nucleare: «Nell’equazione il nucleare ci deve entrare, se no non tornano i conti. Anche qui, bisogna prendersi dei rischi».
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