Terzo Megalotto 106. La Sibaritide è il centro di enormi giochi di potere



L’indagine riguardante i clan e il Terzo Megalotto della 106 non avrà sorpreso i lettori più attenti di Iacchite’. Era maggio 2020, quasi cinque anni fa quando insieme ad Alessandro Gaudio (attivista RASPA che da tempo denunciano e descrivono la situazione sulla Sibaritide), facevamo il punto sui mille annunci su questo mega-cantiere. Tweettava Salvini, ma veniva ammazzato in un classico agguato mafioso Leonardo Portoraro. Il cosiddetto “ministro dei lavori pubblici” del clan locale. L’analisi che emergeva era impietosa. Gli obiettivi del cantiere erano due: risanare i debiti di Astaldi e del gruppo Weibuld (lo stesso del Ponte!) e ridefinire gli equilibri criminali. Ora sappiamo che – come anticipavamo – l’emergere della tensione era dovuto alle tensioni tra le cosche locali.  Per dovere di cronaca riferiamo che a quella mini-inchiesta aveva replicato anche il figlio del boss che sottolineava che era contrario all’opera e che il padre – dalla scarcerazione – non era più operante.

STATALE 106 TER. LA SIBARITIDE E’ IL CENTRO DI ENORMI GIOCHI DI POTERE

di Saverio Di Giorno e Alessandro Gaudio (attivista del Raspa)

Nella prima parte di questa storia si è cercato di fare un viaggio nel territorio nel quale si snoderà la 106 ter, la strada da quasi un miliardo e mezzo il cui inizio dei lavori è stato celebrato qualche giorno fa a Francavilla Marittima (http://www.iacchite.blog/statale-106-ter-il-potere-oggi-abita-qui-di-saverio-di-giorno-e-alessandro-gaudio/).

È emerso un progetto inutile e invasivo che finora è servito solo a sanare i debiti di Astaldi (nel consorzio che ha vinto l’appalto). Allora, per capire perché una buona parte della politica calabrese non vede l’ora che i cantieri si aprano bisogna delineare meglio il contesto criminale ed economico di questa area. Chi sono i padroni di questo territorio?

Il tracciato di questa strada è già colorato di sangue: quello di Leonardo Portoraro, uno dei più importanti boss operanti nella Sibaritide. Portoraro, che risiedeva a Francavilla Marittima (proprio dove è stata allestita il 19 maggio scorso la cerimonia per l’apertura del cantiere della 106 ter), venne crivellato di colpi di kalashnikov davanti al suo bar di Villapiana lido, nei primi giorni di giugno del 2018. Il fatto riaprì una guerra di ‘ndrangheta di lungo corso, legata a doppia mandata con la funzione che Portoraro deteneva sullo Ionio: quella di vero e proprio ministro dei lavori pubblici, evidentemente interessato ai 1.400 milioni di euro previsti per la costruzione del macrolotto. E, adesso, tolto di mezzo uno dei convitati, chi si spartirà la nota tariffa ‘ndranghetista sugli appalti pubblici? Nessuno sembra curarsi di questo aspetto della vicenda: il cantiere deve essere inaugurato e in pompa magna.

Il luogo dell’omicidio di Leonardo Portoraro a Villapiana Lido.

L’omicidio di Portoraro si è consumato secondo i consueti riti della ‘ndrangheta: in pieno giorno, nel suo territorio, in una manciata di secondi. Per queste azioni i killer vengono assoldati altrove, vengono pagati, hanno una rete di appoggi, ecc. ecc. Insomma queste azioni vengono programmate per tempo all’ombra degli eterni colossi alberati dell’Aspromonte e con il permesso dei mammasantissima. E questo è il primo punto: nella Sibaritide non esistono ‘ndrine che hanno la dignità di quelle del reggino e, sul territorio (diviso tra 5 grosse famiglie), Portoraro poteva gestire gli appalti, certo, ma solo per concessione e con la benedizione del Gotha di Polsi.

Quindi cosa è successo? Perché è stata tolta la protezione? A questo omicidio, tra l’altro, seguono una serie di altri omicidi e intimidazioni. Sono cambiati gli equilibri di potere, forse i padroni, ma a questa gente, abituata a passare dai Normanni agli Angioini, dai Borbone ai Savoia l’animo non cambia. Infatti, è stata piuttosto passiva, anzi, del tutto passiva la reazione a un progetto che, di fatto, colonizzerà ulteriormente la fragile economia della Piana (probabilmente dandole il definitivo colpo di grazia). Ancor più debole, quasi inerme, è stata la replica di cittadini e amministratori al fatto che la malavita si spartisca la torta spargendo sangue e terrore nel cuore di una comunità. Ma può definirsi comunità un luogo da troppo tempo privo di identità e coscienza?

Sulla vicenda, secondo fonti attendibili, stava indagando il procuratore Facciolla, prima del suo inspiegabile trasferimento. Tuttavia, prima di parlare delle attività di Facciolla sarà bene ricordare che la 106 non è l’unico boccone ghiotto rintracciabile nell’Alto Ionio. C’è la fusione delle città di Corigliano e Rossano e voluta, ad esempio, dal consigliere Giuseppe Graziano, candidato sindaco e poi sconfitto dall’entusiasmo e dalla novità di Stasi e dal fatto che potesse incarnare una promessa di riscatto. Questo, forse, avrà fatto più rumore degli spari. Graziano troverà un posto in Regione ma comunque, per una terra dove i voti sono fissi e contati, è stato un segnale forte. Un cambio di equilibrio politico parallelo a quello criminale; un potere politico che però ha finito per tradire in parte se stesso visto che anche a Stasi la nuova strada piace proprio.

E poi c’è la promessa di un nuovo ospedale: guarda un po’ anche sui patron della sanità privata ionica, il gruppo iGreco, stava indagando il pm FacciollaLa Sibaritide sembra essere il centro di giochi enormi: è l’epicentro del terremoto della magistratura calabrese visto che anche il procuratore Luberto è stato trasferito proprio per aver insabbiato le intercettazioni riguardanti Aiello, politico del Pd in stretti rapporti, tra l’altro, con il gruppo iGreco.

Le indagini sulla criminalità hanno mostrato chiaramente che il rapporto tra ‘ndrine e politica funziona grazie a garanzie reciproche: una parte garantisce lavori e l’altra voti. E in questi ultimi tempi sono venuti meno (non a caso) entrambi. Si sa che se una delle due parti, per qualche motivo, si indebolisce il sistema si incrina. È chiaro quindi che se un boss cade è perché qualcosa salta sull’altro versante: perché voleva troppo? Perché non era in grado di garantire la realizzazione? Perché qualcun altro deve entrare nella partita? Visto il contesto, sembra che intorno a questa strada bisogna siglare o sia stato già siglato il nuovo patto. Bisognerà stabilire un nuovo equilibrio tra chi ci metterà la firma e chi si papperà i sub-appalti. Ma ora chi vigila?

Al Sud le contraddizioni del potere emergono più forti che altrove perché ripulite da idee sbagliate di progresso. Futuro e sviluppo sono gli specchietti per le allodole di una logica che la classe dirigente uniforma al profitto personale e alla carriera (anche quella criminale, magari). Questa prospettiva, si sa, non consente di andare oltre le prossime elezioni. E non prevede la realizzazione di alcunché. Anzi, gode nel mantenere le persone in uno stato di bisogno, ricattarle con la chimera di un benessere che non arriverà di certo sulla nuova strada. Altrove, le comunità hanno saputo conservare la loro identità e difenderla di fronte a opere altrettanto inutili: TAV, TAP, MUOS, PONTE SULLO STRETTO, ecc.

Qui, nell’Alto Ionio, anni di servilismo non consentono di salvare neanche quelle radici fatte di terra e buon senso, fatte di lotte contadine, di netti rifiuti e contestazioni quando qualcuno provava a prevaricarne l’autonomia. Proprio in ragione di ciò, perché, una buona volta, non troviamo il coraggio di dire, come pure in tempi recenti ha suggerito qualcuno, che la 106 ter andrebbe «ostacolata, impedita e intralciata, dunque sabotata per la legittima difesa»?

2 – (fine)

 



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