Come eravamo femministe: l’evoluzione delle donne vista dalla tv

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Specchio dei tempi, la televisione italiana ha riflesso negli ultimi 70 anni il nostro Paese. E proprio a settant’anni dalla prima trasmissione televisiva ufficiale della Rai il libro “Donne in onda” (Rai Libri) ripercorre alcuni fondamentali momenti della rappresentazione della condizione femminile, in particolare nei programmi della tv pubblica. Ne abbiamo parlato con l’autrice, Lorenza Fruci, giornalista e manager della cultura.

Il libro inizia il suo racconto dall’inchiesta del 1959, “La donna che lavora”. Doveva essere una rappresentazione della condizione della donna lavoratrice alla fine degli anni Cinquanta, ma si rivelò una denuncia della precarietà e dello sfruttamento del lavoro femminile

“E’ un pezzo di storia, che tra l’altro è reperibile su RaiPlay. E’ importante perché fu la prima inchiesta giornalistica, tutta realizzata con interviste, senza materiale di repertorio, raccogliendo le testimonianze delle donne lavoratrici. L’Italia si avviava verso il boom economico, le donne erano entrate nel mondo del lavoro in modo più strutturato, ma il mondo del lavoro non era pronto perché era stato pensato e sviluppato per gli uomini. Poi la politica se ne rese conto e furono fatte leggi a tutela delle mamme lavoratrici. Il programma documentava questo mondo in evoluzione anche con “ingenuità”: ci sono interviste a contadine della Calabria che si stupiscono dell’esistenza di un contratto di lavoro. Le leggi ora ci sono, purtroppo però quel gap non è ancora stato colmato.”

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Il documentario divenne così popolare che produsse anche delle parodie

“Sì la sua popolarità fu tale che colpì anche la fantasia della coppia di attori comici Raimondo Vianello e Ugo Tognazzi, che nel 1959, nel programma “Un due tre”, in cui facevano la satira dei personaggi più popolari della tv, vi attinsero per più di una parodia. Ci riporta oggi la misura dell’impatto di questa inchiesta che durò 2 mesi (8 puntate). Fu la prima rappresentazione del mondo femminile sul piccolo schermo, e la tv, come sappiamo, fa subito parodia di sè.”

La copertina del Radiocorriere tv con “La donna che lavora” del 1959 

Arriviamo agli anni 70: il libro racconta di un programma di Lizzani che comportò dieci mesi di viaggi intercontinentali e 35.000 metri di pellicola girata. Oggi sembra fantascienza.

“Esatto, si trattava di interviste a tredici donne, come Indira Gandhi, Jane Fonda e Carla Fracci, che si erano affermate nel mondo in diversi settori grazie alla loro professionalità. La trasmissione, realizzata nel 1972 insieme a Claudio Nasso e scritta con Emilia Granzotto, comportò appunto dieci mesi di viaggi e 35.000 metri di pellicola girata: ancora una volta la Rai provava a rappresentare il ruolo che la donna aveva nella società attraverso il reportage di viaggio. Era un’Italia in cui c’era solo la Rai e la tv era davvero servizio pubblico. Portava con sè linguaggi della radio, del cinema e molta attenzione alla qualità e si investiva nei progetti. C’era una selezione molto importante, la direzione era formata da intellettuali che la consideravano come uno strumento formativo e di conoscenza.”

La storia delle donne in tv la fece anche una capostruttura, Marina Tartara, che era anche l’unica donna in Rai

“Come capostruttura, la Tartara caratterizzò la rete con produzioni incentrate sulle tematiche femminili e femministe, portando nelle case degli italiani il dibattito interno al movimento di liberazione delle donne. “

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Esempio eccelso, lei scrive nel libro, dell’attività di questa struttura “Marisa della Magliana”

“Anche questa trasmissione è disponibile su Rai Play, e consiglio a tutti di vederla. La nuova Rete Due doveva dare spazio a giovani e donne. Oggi la chiameremmo una docufiction, è la storia di Marisa, una donna reale che racconta la sua storia. E’ una persona autentica, umile e molto intelligente che dimostra di aver sviluppato una sua coscienza e consapevolezza di sè nonostante le vicissitudini della vita. Prende coscienza dei suoi diritti di persona, capisce che può unirsi ad altre persone e lottare per i suoi diritti per ottenere una casa popolare. E’ una ragazza madre lasciata dal compagno mentre è incinta, per mantenersi fa le pulizie e porta dietro il figlio piccolo. E’ un esempio molto positivo, e mette in risalto una tv e una società senza moralismi: l’aiuta anche un prete di quartiere. Veniva dal basso, non aveva strumenti intellettuali ma era cresciuta nelle esperienze. Il suo esempio fu apprezzato dalle intellettuali e femministe dell’epoca”

Altro momento storico ripercorso dal libro è quando la Rai mandò in onda un celebre processo per stupro in cui l’avvocata Tina Lagostena Bassi pronunciò un’arringa decisiva, sul fatto che i processi per stupro spesso si trasformano in processi alle vittime di stupro.

“Una scelta avanguardista da parte della Rai. Gli anni dai ’50 ai ’70 furono avanguardisti. Una Rai coraggiosa che scardinò un tema a cui le femministe lavoravano da anni. Ancora oggi la forza di quel processo resta storica. Dall’attualità, ancora una volta, scaturirono nuove leggi.”

Anni Ottanta: arriva la tv privata e le cose si complicano. Lei cita tre programmi: Drive In, Non è la Rai e Colpo Grosso. Che figura femminile emerge da questa tv?

“Con la moltiplicazione dei canali, emerge una figura femminile più sfaccettata e contraddittoria. Le donne furono, di certo, talvolta strumentalizzate e oggettualizzate. In quegli anni la Rai ha perso la sua identità e si è lasciata influenzare dal modello della tv commerciale.”

Per fortuna ci sono delle eccezioni. Su Raitre, in quegli anni, troviamo La tv delle ragazze

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“Sono le eredi naturali della tv avanguardista degli anni Settanta: personalmente arrivo a loro dopo aver visto tutto il resto e trovo gli stessi temi, ma affrontati con leggerezza e ironia. Hanno avuto questa peculiarità e oltre alla bravura la loro capacità era stata quella di trovare un linguaggio che restituiva il sentiment del momento storico. Le battaglie sui diritti civili erano incentrate sul lavoro e il concetto di pari opportunità.”

Siamo al presente: tra i programmi attuali lei cita Amore Criminale. E’ un esempio di buona televisione?

“Il programma è senza dubbio ben fatto e svolge una funzione di servizio pubblico. Attraverso la docufiction si tenta di sensibilizzare sulla violenza di genere, che è un’emergenza sociale. Ma inevitabilmente la tv è specchio della società e noi attraversiamo un periodo di involuzione. La violenza però non è l’ultimo problema. E’ piuttosto espressione, a mio parere, di una società cambiata a cui certi uomini non sono riusciti ad adeguarsi. E’ la punta dell’iceberg, ma i temi femminili sono ancora tutti aperti e da raggiungere: gli asili nido, la genitorialità, la parità salariale, il soffitto di cristallo.”

Cosa potrebbe e dovrebbe fare la tv, e in particolare il servizio pubblico, per aiutare le donne?

“Qualcosa si sta già facendo, penso al circuito Teche, a Rai Storia, che stanno cercando di dare un risarcimento alla storia delle donne che è mancato, con fiction su figure di spicco e figure comuni ma non stereotipate. Ma per abbattere lo stereotipo devo poter avere più modelli.

Inoltre si potrebbe lavorare molto di più sul tema della leadership: far vedere come la gestione del potere sia spesso diversa da parte delle donne e promuovere questa gestione del potere. Ovviamente questo non riguarda che donne che arrivate al potere si comportano come uomini.

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Bisognerebbe far emergere un modello femminile che si è affermato all’interno di un sistema patriarcale ed è riuscito a affermare la sua leadership. Mi metto nei panni di un’adolescente: vorrei vedere dei modelli, non solo delle vittime femminili.”



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