I dazi servono a Trump per finanziare il taglio delle tasse negli Usa

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C’è poco da parlare o da volersi «sedere ad un tavolo», come ha detto la presidente della Bce, Christine Lagarde a Davos. Trump ha bisogno di mettere i dazi per poter finanziare i tagli fiscali in patria.

I motivi sono due:

  • il debito americano è fuori controllo. Al momento si aggira sui 36 trilioni di dollari e c’è il problema dell’imminente ritorno al “tetto del debito” con le relative conseguenze sulla spesa;
  • C’è la seria preoccupazione di avere tassi di interesse elevati visto che la Fed nel 2025 si è posizionata su un terreno che prevede un numero inferiore se non addirittura nullo di taglio di tassi.

Aspetti che stanno rendendo difficile far diventare l’agenda Trump legge. Il divario annuale tra la spesa pubblica e le entrate ha infatti superato 1,9 trilioni di dollari lo scorso anno fiscale, superando del 6,6% il Pil. Si tratta, scrive il New York Times, di una cifra enorme per un paese che non è né in guerra né alle prese con un rallentamento dell’economia. Preoccupazioni acuite dal fatto che questo aspetto non sfugge agli investitori, che hanno sempre l’ultima parola per quanto riguarda la salute fiscale di Washington. Per decenni, infatti, anche se il deficit cresceva, i tassi di interesse sul debito Usa si sono mantenuti bassi, ma negli ultimi anni la musica è cambiata. Gli investitori sono diventati più sensibili all’acquisto di nuove obbligazioni e questo complica la situazione, soprattutto se si vuole realizzare un così ambizioso taglio fiscale.

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Un piano per trovare più entrate

La delicata situazione economica non è sconosciuta alla politica, tanto che quando i Repubblicani della commissione Bilancio alla Camera si sono riuniti a Capitol Hill per discutere del piano per tagliare le tasse, annunciato dal tycoon, hanno prodotto un documento di 50 pagine, visto in anteprima dal Times, nel quale hanno messo nero su bianco un piano per tagliare la spesa e aumentare le entrate, considerando alcune opzioni come per esempio l’abrogazione delle detrazioni fiscali sui mutui. Ma non solo, perché nel documento, la parte del leone è fatta dalla presenza dei dazi. Nel paper si stimano infatti entrate, da ipotetici dazi al 10%, per 1,9 trilioni di dollari in 10 anni. Mettendo dunque i dazi a bilancio i Repubblicani potrebbero riuscire a compensare le uscite relative al piano di estensione dei tagli fiscali del 2017.

Menzionati in maniera estremamente chiara sono:

  • taglio di tasse sul reddito;
  • diminuzione della corporate tax dal 21 al 15%;
  • taglio di tasse sulle mance.

Le entrate derivanti da dazi fanno gola, ma spaccano i repubblicani

Le entrate derivanti dei dazi risultano dunque essere molto interessanti, ma una parte dei Repubblicani è restia a fare affidamento solo su questi per pagare i tagli di tasse. Il motivo è che, se per esempio la Cina decidesse di “correggere” il suo squilibrio commerciale che ha nei confronti degli Usa, i dazi dovrebbero essere eliminati o diminuiti.  E questo avrebbe come conseguenza meno entrate fiscali per l’amministrazione Trump. Stessa dinamica per l’Ue. Insomma, le entrate derivanti dai dazi fanno sicuramente gola, ma non sono stabili tanto da essere inserite a bilancio come una parte dei Repubblicani vorrebbe. L’idea, secondo la maggior parte del Partito, è che gli Stati Uniti devono avere una struttura fiscale affidabile che può finanziare le misure del governo nel breve e nel lungo termine.

Spunta l’ipotesi «tagli temporanei»

Visto che sui dazi i Repubblicani non sono concordi, si sta valutando la possibilità di estendere i tagli fiscali del 2017 solo per alcuni anni, in modo da contenere i costi. Nel documento si sono infatti resi temporanei (per i primi due anni) molti tagli, in modo da poter realizzare il disegno iniziale e non gravare eccessivamente sul bilancio dello Stato, già precario. Ipotesi che però scontenta la maggior parte dei Repubblicani visto che l’obiettivo è quello di fare di più che estendere temporaneamente i tagli del 2017. E dunque è ufficialmente iniziata la caccia alle entrate. In quest’ottica i dazi, nonostante al momento non convincono tutto il partito, non sono da esclude come misura, se non si dovessero trovare entrate fiscali più appetibili. 

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