Svanito il referendum, la sinistra affronti subito la crisi dei corpi intermedi

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In questi anni i referendum sono stati un metadone per la crisi dei corpi intermedi. Hanno supplito all’incapacità cronica di fare politica da parte di partiti la cui crisi non è mai stata risolta. Ora la questione non si può più rimandare 

Per quelli della mia generazione e delle generazioni immediatamente successive i referendum sono quasi una coperta di Linus cui attaccarsi per non sprofondare in uno stato di depressione politica. Il motivo è semplice: perché solo alcune vittorie referendarie hanno riscaldato l’epoca del grande freddo politico che abbiamo attraversato ultimamente.

Dal referendum sull’acqua pubblica a quello – che aveva una fattispecie del tutto diversa e che ci ha costretti a furiose divisioni tra noi – sulla riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi: il nostro vissuto politico si è assuefatto alla delusione e ha avuto qualche raro attimo di euforia proprio grazie ai referendum. Di altre vittorie – che non siano locali – ne abbiamo perduto le tracce, se mai le abbiamo avute. Da questo punto di vista, gli anni Dieci sono stati un deserto.

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Da cui siamo usciti riconoscendo che la crisi della sinistra è essenzialmente una crisi dei corpi intermedi che la compongono: partiti incapaci di esprimere una linea politica chiara, sindacati che non colgono fino in fondo le metamorfosi del lavoro, associazionismo diffuso che si fa ingolosire da un surplus di professionalizzazione e perde la radice culturale del proprio impegno.

La delusione 

È dentro questo contesto che dobbiamo inquadrare la delusione per la scelta della Corte costituzionale di dichiarare inammissibile il referendum sull’autonomia differenziata. Al di là delle motivazioni in punto di diritto, mi pare evidente che vi siano delle conseguenze politiche all’interno del popolo di sinistra, se ancora esiste. Che in questi mesi su quel referendum ha puntato buona parte delle sue fiches, consapevole di quanto l’autonomia differenziata fosse deflagrante per la nostra democrazia. Purtroppo non sono ottimista.

Perché se è vero che anche la decisione della Corte mette in luce che del progetto regressivo proposto inizialmente dalla destra rimanga ben poco, dubito che la destra smetterà di insistere, piuttosto cercherà in tutti i modi di portare a casa il risultato.

Sono propenso a credere che questa destra non arresti i propri spropositi controriformisti di fronte a nulla. Approfittando anche del fatto che in aree del Pd ancora alberga la scellerata tentazione di credere che possa esistere un’autonomia differenziata buona. Non capendo che non è una questione di misura, ma di principio: dietro quel progetto c’è l’idea che la solidarietà nazionale non sia più un principio costituzionale che vale la pena attuare.

Insomma, la mia sensazione è che la decisione della Corte inibisca la modalità che la sinistra aveva scelto per reagire al pericolo, non ci metta al riparo dal pericolo stesso.

La crisi dei corpi intermedi 

Che fare dunque? Ecco il senso della mia premessa. Con una provocazione, potrei dire che in questi anni i referendum sono stati un metadone per la crisi dei corpi intermedi. Hanno supplito all’incapacità cronica di fare politica da parte di partiti la cui crisi non è mai stata risolta. Ma i referendum sono istituti democratici tanto essenziali quanto costitutivamente inadatti a risolvere le crisi dei corpi intermedi.

Il cui compito si semplifica e diventa unicamente quello di appoggiare le campagne referendarie, bypassando così difficoltà politiche strutturali. Come il metadone i referendum colmano il vuoto della politica, ma solo per un po’. Sventano dei disegni regressivi, ma non aiutano a occuparsi del vero grande problema della sinistra italiana: la crisi strutturale dei corpi intermedi e la loro incapacità di produrre politica.

L’illegittimità decisa dalla Corte è dunque una pessima notizia per la sinistra. Ma non tutti i mali vengono per nuocere. Perché se non abbiamo più l’arma dei referendum, ci rimane da fare quello che non riusciamo a fare da tempo: tornare a fare politica. Non credo sia più tempo di metadone. Non possiamo più rinviare la risoluzione della crisi dei corpi intermedi e del vuoto politico che tale crisi produce.

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Dobbiamo tornare a coltivare la politica come arte della mediazione e a costruire il consenso attraverso la via lunga della connessione tra la politica e la società. Abbiamo bisogno di partiti che tornino a fare i partiti e di sindacati che si occupino dei lavoratori.

Abbiamo bisogno di ripristinare la centralità politica del parlamento, non semplicemente di proclamarla. So bene quanto sia difficile: il compito somiglia a quello degli equilibristi, solo che la Corte ha tolto ogni rete di sicurezza. Se si cade si finisce rovinosamente. Ma il compito insostituibile dei partiti non è esattamente quello di affrontare la fune e portarci indenni al di là del guado?

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