17 custodie cautelari e 30 milioni di euro sequestrati. Due indagati nel Bolognese

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Un consorzio di aziende del settore della carne che faceva da volto pulito all’organizzazione criminale per riciclare denaro attraverso fatture false e arricchirsi con indebite compensazioni e finti crediti. Con i proventi che finivano dritti nelle casse del clan camorristico dei Ponticelli e ad altre cosche nel casertano.

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È l’articolato sistema malavitoso scoperchiato dalla Divisione distrettuale antimafia (Dda) di Firenze, che ha portato all’esecuzione di 17 misure cautelari e al sequestro di beni per 30 milioni di euro. Nella rete delle indagini condotte dai vari comandi della Guardia di Finanza ci sono finiti anche due italiani residenti nel Bolognese tra i dodici in tutta l’Emilia Romagna accusati a vario titolo di false fatture, indebite compensazioni, riciclaggio e associazione a delinquere.

Sono sei i soggetti finiti in carcere e uno agli arresti domiciliari, oltre ad altri dieci interdetti dagli uffici direttivi di persone giuridiche o imprese. Uno smantellamento che riguarda varie province tra Campania, Toscana ed Emilia Romagna, dove i finanzieri hanno anche eseguito una cinquantina di perquisizioni utilizzando anche l’unità cinofila specializzata nello scovare banconote occultate.

Il sistema illegale dietro il consorzio di macelli

L’indagine ha portato la Procura a ipotizzare l’esistenza di una consorteria criminale vicina agli ambienti della camorra operante in Campania ed Emilia-Romagna. La figura centrale era quella di un commercialista di Torre del Greco, attivo a Torre Annunziata e Poggibonsi, che aveva relazioni con pregiudicati anche mafiosi. Dalla sua scrivania partiva la rete di aziende prestanome nel settore della lavorazione della carne: un raggruppamento di varie società che impiegava circa 600 persone tra macelli e centri di lavorazione, e che aveva tra le capofila uno stabilimento di Pontedera.

Stipulando contratti legali con le altre consociate, e controllando ogni aspetto del lavoro e ogni rapporto con i soci dagli uffici amministrativi, dalle intercettazioni degli inquirenti sarebbe emerso che il consorzio toscano era il punto in cui si snodava un’impalcatura fraudolenta su tre livelli: il primo costituito dagli affari delle aziende che lavoravano realmente e garantivano così uno ‘schermo’ di apparente legalità, salvo poi nascondere un secondo livello di imprese intermediarie che dovevano fungere da filtro e mascherare il flusso di denaro prodotto attraverso le false fatture alle società consorziate.

Infine, le società cartiere, caratterizzate da vita operativa breve (imprese apri e chiudi), create con il solo fine di emettere fatture false, garantire la monetizzazione in contanti dei flussi finanziari da queste generati ed eludere le tasse.

I corrieri del denaro e i cinesi

Una volta incassati i proventi della frode fiscale, le somme di denaro sono state, di volta in volta, affidate a “corrieri” che provvedevano al trasporto, principalmente in Toscana. Uno schema talmente assodato da coinvolgere anche soggetti più insospettabili, come un dipendente di una società di servizi a bordo treno che era stato assoldato per fare recapitare i soldi. A riscontro della restituzione del denaro agli organizzatori della frode sono stati eseguiti molteplici sequestri in territorio toscano, per oltre 430.000 euro, sia nei confronti dei principali indagati che dei loro sodali con mansioni di “corriere” di valuta.

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Dalle indagini è emerso come parte dei flussi finanziari derivanti dall’intero sistema di frode sarebbero stati anche canalizzati verso la Cina attraverso il cosiddetto sistema del ‘denaro volante’ che si avvale di fiduciari in territorio cinese.

La lunga catena della frode

Secondo gli inquirenti, il Consorzio e le proprie Consorziate hanno rappresentato lo snodo centrale di una lunga catena di fatturazione fittizia ad opera di società cartiere, disseminate su tutto il territorio nazionale, ricollegabili sempre ai membri del Consorzio ed utilizzate all’unico scopo di evadere le imposte, stimate complessivamente in oltre 28 milioni di euro, e infine monetizzare i proventi illeciti provenienti dalle false fatturazioni anche attraverso condotte di riciclaggio per circa 2 milioni di euro.

Parallelamente, è stato rilevato che, al pari del sistema di frode posto in essere con le false fatturazioni, attraverso le stesse società, ovvero altre società compiacenti e/o di fatto gestite dalla compagine delinquenziale, è stata attuata la sistematica cessione e compensazione di crediti inesistenti stimati in circa 2 milioni di euro, artatamente creati e in parte relativi a costi di “ricerca e sviluppo e innovazione tecnologica 4.0” mai realmente sostenuti.

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