La Regione: saldare entro 30 giorni, un atto dovuto per evitare l’accusa di danno erariale. E chiede al governo l’abolizione della norma
Payback sanitario, la Regione presenta il conto alle imprese fornitrici — da pagare entro 30 giorni — ma allo stesso tempo le rassicura: «Convocheremo il tavolo regionale istituito con le aziende — fa sapere il vicegovernatore Vincenzo Colla, convinto che la norma andrebbe abolita — e, insieme a loro, chiederemo un incontro con il governo per trovare una soluzione diversa. Deve essere lo Stato a garantire le coperture».Â
Confindustria nazionale, però, non perde tempo e avverte di essere pronta a preparare i ricorsi. E dall’intero settore — comprese le 160 aziende rappresentate da Conflavoro Pmi già in pole con i propri avvocati — si sta minacciando una sequela di diffide.
Il quadriennio 2015-2018
La cifra complessiva in ballo è quella richiesta nel 2022, ad attuazione del decreto Aiuti Bis, uno degli ultimi atti del governo Draghi ma riferito a due leggi precedenti, una del 2011 e una —, con alcune modifiche — del 2015. In sostanza, la normativa del payback stabilisce che ogni Regione recuperi una parte dei pagamenti versati alle aziende produttrici di dispositivi medici nel caso in cui la spesa in campo sanitario superi un determinato tetto. Il periodo di riferimento è il quadriennio 2015-2018, e il rimborso preteso sull’eccedenza è di circa il 48%.
Il ricorso al Tar del Lazio
Quando il meccanismo si mise in moto, appunto, nel 2022, l’Emilia-Romagna pretese un conto complessivo di 170 milioni di euro. Confindustria insorse. Molte aziende (2.000 da tutta Italia) fecero ricorso al Tar del Lazio, il Tribunale sollevò la questione di legittimità costituzionale e fermò tutto. Forse qualche impresa con le spalle più larghe ha pure pagato, tanto che non è chiaro qual è la somma contestata oggi. La svolta, l’estate scorsa, con la sentenza della Corte Costituzionale che ha ritenuto legittimo il payback in quanto «contributo di solidarietà », necessario a sostenere il servizio sanitario nazionale. Per questo, spiegano da viale Aldo Moro, l’aut aut per il pagamento è un «atto dovuto», per non rischiare un procedimento alla Corte dei Conti per danno erariale; «ne avrebbe dovuto rispondere il direttore generale». Ciò non toglie che la stessa Regione possa muoversi per scardinare un meccanismo che lo stesso Colla definisce «infernale, che pesa sulle aziende, e sui lavoratori, e finisce per indebolire il sistema sanitario nazionale. Non si può fare affidamento sule aziende fornitrici e poi rischiare di farle chiudere. Non è cosi che si appianano i debiti della sanità ».
L’appello di Confindustria
Confindustria, però, non sente ragioni. «La richiesta di pagamento — affonda Nicola Barni — presidente degli industriali dei dispositivi medici — è un atto grave e non rispetta quanto stabilito dal legislatore» . «Facciamo appello a governo e Regioni — scrivono da via dell’Astronomia — affinché non seguano l’esempio con altri provvedimenti regionali simili: sarebbero migliaia i ricorsi al Tar, col rischio di provocare conseguenze devastanti per l’intero settore, ma anche per i bilanci regionali e per il tribunale amministrativo, generando un caos senza precedenti». Per questo hanno scritto una lettera alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, ai ministeri competenti, alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome e alla Presidenza del Consiglio. E attendono la prima udienza di merito del Tar del Lazio prevista per il prossimo 25 febbraio. Solo in Emilia— Romagna, le aziende del comparto sono circa 520, impiegano 14mila lavoratori e rappresentano il 23% del Pil regionale. In Italia si parla di 4.600 imprese e 13 miliardi di fatturato.
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