Il ritorno del fattore sociale all’interno della logica Esg imposta dall’emergenza climatica è una grande occasione di rilancio per il movimento cooperativo. Ne è convinto Attilio Dadda, presidente di Legacoop Lombardia, che in questa intervista a Economy afferma: «Quando c’è un momento di estrema complessità e incertezza come questo, la risposta umana è sempre la stessa: val la pena affrontare le grandi difficoltà, l’ignoto mettendosi insieme più che facendo i primi della classe da soli».
Come interpreta Lega Coop la rinnovata attenzione al sociale – sotto forma di S di Esg?
Per noi è l’occasione per riprendere i sette principi del movimento cooperativo a livello internazionale, contenuti nella Dichiarazione di Identità Cooperativa firmata dai Probi Pionieri di Rochdale nel 1844 e periodicamente rivista dall’Alleanza Internazionale delle Cooperative. Il settimo riguarda l’interesse verso la comunità, e recita: «Le cooperative lavorano per uno sviluppo durevole e sostenibile delle proprie comunità attraverso politiche approvate dai propri soci». È un punto da monitorare, da misurare e anche da reinterpretare nelle diverse forme. Sono principi che valgono in tutto il mondo, per tutto il movimento cooperativo. Dall’applicazione degli indicatori con l’Sdg alla valutazione del bilancio d’impatto abbiamo trovato il modo per applicare, per rendere un po’ più attuale, coerente ma anche misurabile l’impatto delle imprese cooperative che appartengono a questo movimento, e quindi a monitorarlo.
Quali le partite principali in questo quadro?
Sono due. La prima: avendo nel Dna la caratteristica cooperativa di non terziarizzare e non spostare all’estero la produzione, dal punto di vista dell’impatto sulla comunità si ha però un ritorno importante. Può essere intanto più semplice l’acquisizione o il nuovo inserimento di manodopera quando serve nelle condizioni che servono, se si mantiene un rapporto con la comunità che non è un rapporto di donazione, ma di condivisione di progetti di sviluppo della comunità locale. In questo caso si ha una corsia preferenziale per rispondere in maniera più adeguata alle esigenze del turnover.
E la seconda?
Una questione di diritti, di partecipazione. Noi, a differenza di altre imprese, abbiamo l’obbligo di giustificare sempre la partecipazione democratica alle scelte; e nella partecipazione c’è bisogno di coinvolgere e di tenere insieme i valori economici, con quelli della base sociale dei tuoi soci. Quindi c’è la necessità di non fare narrazione sull’impatto sociale, ma di interpretarlo, quindi di essere coerenti, di dire esattamente quello che si fa. Questo crea un ambiente particolarmente favorevole, soprattutto nelle condizioni di lavoro, ma anche dal punto di vista dei diritti in termini di salario. Non solo con il rispetto dei contratti collettivi, ma con l’aggiunta di qualcosa in più, in termini di impatto ad esempio sulla sanità, che dovrebbe essere integrativa e dovrebbe portarti anche a una forma di sussidiarietà. Ma negli anni la sussidiarietà è diventata supplenza: se penso a tutto il tema dell’integrazione che facciamo con le mutue ai nostri soci lavoratori, in molti casi ci sostituiamo al disastro della sanità pubblica, in termini di liste d’attesa, in termini di prestazioni, si arriva addirittura ad alcuni progetti che stiamo facendo di medicina predittiva.
Quale il valore aggiunto di questa visione?
Tutto questo serve, secondo me, a riportare non in una narrazione come accade per la parte ambientale, ma a riportare valore sul concetto di quello che tu crei come comunità, la tua comunità all’interno dell’impresa. I cui stakeholder sono non solo i lavoratori, quindi i soci, ma anche quelli più di prossimità, quelli legati appunto alla comunità. Per chi ha una mera visione di capitale, invece, questo diventa uno dei tanti modi per rendicontare forme che però non fanno parte della visione aziendale, fanno parte semplicemente del marketing.
Ritiene che l’era dell’Esg sia l’occasione per restituire attualità ai valori delle cooperative?
Si, ne sono convinto. Ce lo dicono anche gli ultimi dati delle analisi che abbiamo fatto anche come centro studi, ad esempio su come ci vedono i giovani, che ormai non valutano più un posto di lavoro solo in termini di stipendio, non lo valutano più neanche in termini solo di mera crescita professionale; hanno bisogno di trovare il termine coerenza, il termine valori, hanno bisogno di avere un concetto di tempo. Il tempo non è sempre legato ai soldi, ma è legato molte volte all’impatto, a quello che uno fa, al tipo di lavoro che fa e quali sono le ripercussioni di quel lavoro. Quindi per noi l’occasione è importante. La ritengo importante dal punto di vista culturale e storico: dobbiamo farlo adesso questo ragionamento, e farlo stando insieme, stando a fianco dei progetti che non sono solo economici ma riguardano anche il riconoscimento di alcune realtà. Per fare un esempio, le cooperative di comunità, che in questo periodo stanno crescendo moltissimo e non solo nelle aree interne, rispondono proprio a questo bisogno, che è proprio il fattore S dei nostri indicatori. Non rispondono a un fattore di capitale, bensì al bisogno di mettere insieme. Quando c’è un momento di estrema complessità e incertezza come questo, la risposta umana è sempre la stessa: val la pena affrontare le grandi difficoltà, l’ignoto mettendosi insieme più che facendo i primi della classe da soli.
Ci fa un esempio di queste cooperative di comunità che stanno crescendo?
Stiamo vedendo la nascita di coop che nascono da risposte particolari al fabbisogno energetico; non alla povertà energetica, ma al bisogno energetico di avere delle fonti rinnovabili certe e autocontrollate come sono le comunità energetiche, le Cer. Le stiamo vedendo nascere dappertutto con una grande presenza di giovani con una scolarizzazione medio alta. Ad esempio in Lombardia – faccio riferimento a una regione che conosco meglio, ma anche il Sud Italia è pieno – ci sono numerosi esempi interessantissimi. È il caso di una cooperativa di comunità a Gargnano del Garda e a Limone del Garda che fa inserimento lavorativo con persone particolarmente svantaggiate. E va a farsi dare in comodato d’uso gratuito e a ricostruire le vecchie limonaie, che sennò diventano semplicemente delle belle dépendance di alberghi a 5 Stelle. Su questa partita si rilancia tutta la filiera di un territorio che ricostruisce a partire da un prodotto agroalimentare unico, fa inserimenti lavorativi ma fa anche bellezza dal punto di vista paesaggistico, recuperando le vecchie limonaie a Gargnano: questo il progetto della cooperativa AgriCoop.
Altri esempi?
Sono non solo nel settore sociale, ma anche in quello del lavoro: penso a cooperative che nascono sui giovani, si legano a un bene culturale per rimetterlo in piedi e permettere loro di trovare un’occupazione in quel Comune senza dover fare per forza il pendolarismo su Milano. In questo modo rilanciano una serie di attività che davamo per perse, che consideravamo dal punto di vista economico di seconda fascia. E invece no: finalmente, ovviamente lo dico interessato da un punto di vista dell’osservatorio cooperativo, siamo di fronte a una nuova interpretazione nel modello partecipato come è il modello cooperativo, per dare risposte a economiche: perché la cooperativa è un’impresa, quindi prima di tutto deve stare in piedi dal punto di vista economico. Ma deve ridistribuire la parte di margini non a una persona in base alle quote, ma ridistribuirle in funzione al lavoro fatto e alla comunità: mi sembra una nuova primavera.
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