L’Europa Che se la Canta e se la Suona e le ONG Ambientaliste

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E’ già finito nel nulla lo “scandalo” dei fondi europei alle ONG ambientaliste. Infatti non si tratta di un problema legale, ma politico. Il che è peggio.
Ripubblichiamo le analisi su questo argomento che gli Amici della Terra facevano già dieci anni fa.

In Copertina: Copyright foto (AP Photo/Peter Dejong, File) 
L’UE determina attraverso i propri bandi, quali scelte farsi appoggiare dalla “società civile” e persino quali provvedimenti farsi contestare e in che misura”.

 

L’accusa del De Telegraaf di un lobbyng non trasparente a sostegno delle politiche della Commissione Europea, a spese dei contribuenti europei e su mandato della stessa Commissione, riguarda le principali ONG ambientaliste e coordinamenti di associazioni presenti a Bruxelles, dal WWF al BEE a TEE ai Friends of the Earth.

Un’accusa che non sembra fondata, visto che riguarda i progetti LIFE che sono pubblici e assegnati attraverso la partecipazione a bandi.

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Sicché, ci si domanda se i partiti e i giornali che hanno sollevato questo finto scoop abbiano dormito in questi anni in cui le decisioni europee del Green Deal erano in formazione e supportate con strumenti pubblici, legali, accettati e approvati dal Parlamento. E se, ora, usando l’indignazione a buon mercato, cerchino solo di riscattarsi dall’aver assecondato – alcuni attivamente, altri passivamente – politiche che, oggi, si rivelano fallimentari.

Lo scandalo, dunque, esiste ed è molto grave, ma riguarda i partiti: acquiescenza acritica verso ogni istanza dipinta di verde, finché popolare; sottovalutazione dei problemi energetici e ambientali e degli effetti prevedibili delle soluzioni proposte; ignoranza sostanziale del merito delle politiche di competenza europea.

Uno scandalo che non è di rilevanza legale, ma politica. Il che è peggio.

Mi permetto queste affermazioni perché, più di dieci anni fa, gli Amici della Terra posero seriamente il problema delle modalità e degli obiettivi dei finanziamenti elargiti dalla Commissione europea alle ONG e di come queste pratiche stessero condizionando non solo il Parlamento e le politiche europee ma la stessa partecipazione democratica dei cittadini attraverso le associazioni ambientaliste e di volontariato.

Per queste nostre opinioni, pagammo un prezzo alto che ancora oggi ci viene rinfacciato, sui social, dall’ambientalismo di maniera: la rottura clamorosa, nel 2014, con Friends of the Earth, l’associazione internazionale di cui Amici della Terra Italia aveva fatto parte fin dalla sua fondazione. Le ragioni contingenti della rottura furono due: l’approccio catastrofista e ideologico al tema del cambiamento climatico (e alle proposte politiche relative) e la subdola ostilità antisemita dei segretariati internazionali verso gli associati israeliani al gruppo FOE- Medio Oriente. Ambedue le ragioni, proprio oggi, sono di stringente attualità.

Per questo, ho deciso di riproporre la mia relazione al XIV Congresso degli Amici della Terra del 2015, pubblicata da l’Astrolabio, che ripercorreva le ragioni della rottura con FOEI e illustrava il merito del nostro dissenso verso i metodi e le politiche della Commissione Europea. Non tutti, allora, compresero il valore delle nostre scelte. Oggi, forse, si può capire meglio quanto fossero lungimiranti.

 

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REWIND – XIV CONGRESSO AMICI DELLA TERRA ITALIA – 21 APRILE 2015

Perché c’è (Sempre Più) Bisogno di un’Associazione Libera.

di Rosa Filippini

Questa volta, il Congresso nazionale degli Amici della Terra è più importante del solito e, per questo, è stato preceduto da un dibattito intenso fra tutti i suoi dirigenti.  C’è da prendere atto di due cambiamenti, il primo avvenuto, il secondo imminente, indipendenti uno dall’altro, di diversa natura, ma entrambi impegnativi per la nostra associazione. Questa, a 38 anni dalla sua fondazione, è una delle più longeve ed originali nel panorama dell’ambientalismo italiano ed europeo, ma è anche fragile nella sua struttura, a causa della scelta di autonomia intellettuale che l’ha caratterizzata in positivo, ma che è pure costata una cronica povertà di risorse economiche che rende necessari sforzi aggiuntivi per la soluzione di ogni problema e per il superamento di ogni momento critico o comunque delicato.   

Il primo cambiamento riguarda l’esclusione dalla rete di FoE International e chiude una fase della nostra storia.  Il secondo consiste nell’elezione di un nuovo presidente, a seguito della mia indisponibilità ad un ulteriore mandato. Si tratta, in questo caso, di un cambiamento che apre invece una nuova fase, rivolta al futuro e adeguata a cogliere più ampie opportunità. C’è da decidere in che modo intendiamo affrontare queste novità e utilizzarle per rafforzare le nostre attività, la nostra identità storica e il senso stesso del nostro sodalizio.

L’esclusione dalla rete di FoE International rappresenta un fatto molto grave, in apparenza per noi, in sostanza e in prospettiva per loro. Infatti, per ciò che ci riguarda, non abbiamo mai nascosto le nostre posizioni e non abbiamo mai avuto paura di dibatterle all’interno e all’esterno dell’associazione. Il Congresso del luglio scorso si è espresso in proposito, approvando una mozione argomentata e il preambolo di Mario Signorino  che ha il valore di un saggio sulla preoccupante deriva ideologica di FoEI.  Tempestivamente, abbiamo reso integralmente pubbliche le informazioni e le lettere (le nostre e le loro), così come il Congresso ci ha impegnati a fare. Dalle pagine dell’Astrolabio, una riflessione importante è stata raccolta anche dal Corriere della Sera, a firma di Danilo Taino, a dimostrazione dell’interesse di tipo politico e intellettuale suscitato dalle nostre analisi, che sono riferibili ad un’ampia parte del movimento ambientalista internazionale.

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FoE International ha avuto l’interesse opposto, quello di tacitare il più possibile la polemica. La notizia dell’avvenuta esclusione non ci è nemmeno stata comunicata ufficialmente ed è comparsa sul sito di FoEI, in poche righe, in modo burocratico, fra le tante delibere votate dall’Assemblea internazionale. Nessuna notizia e nessuna spiegazione è stata data nemmeno per il parallelo, definitivo allontanamento di FoE Medio Oriente. Un allontanamento volontario, in questo caso, ma causato dall’aperta ostilità a cui FoEI aveva esposto questo coraggioso gruppo dove, lo ricordo, lavorano fianco a fianco giordani, israeliani e palestinesi.

Il silenzio su tutto, però, non serve a mascherare -anzi mette in evidenza- l’inadeguatezza di FoE International ad affrontare il confronto di opinioni e l’attitudine ad affidarsi a posizioni precostituite e dogmatiche come in una setta.  Ma che futuro può avere una federazione che non discute più e che pretende “l’allineamento” dei suoi membri come ai tempi del Politburo?

Molte condizioni, anche oggettive, concorrono a spingere in quella direzione il movimento ambientalista. Ad esempio, per la loro veste di stakeholder, in particolare nei negoziati internazionali ma non solo, le associazioni ambientaliste stanno assumendo un ruolo paraistituzionale che favorisce il loro finanziamento strutturale, elargito sia dalle istituzioni, sia dalle fondazioni private. Il processo partecipativo spontaneo di un tempo è finito, ovvero è stato normalizzato e, ora, produce rendite.  Non ci sarebbe niente di male in questo, se l’arrivo di tanti quattrini non avesse finito per trasformare le associazioni in strutture professionali specializzate nella comunicazione di un “pensiero unico ambientalista”, espressione di un massimalismo vano, spesso dannoso, ma incontestabile, come un vangelo.

Tutto è organizzato da professionisti: il volontariato, le firme su referendum e petizioni, la raccolta di contributi e donazioni.  Ci sono anche i professionisti nell’organizzazione delle contestazioni, nello stile che un tempo rappresentava una novità: cartellonate, manifestazioni come rappresentazioni teatrali, sit-in, arrampicamenti vari. Nei congressi si usano tecniche professionali di animazione dell’assemblea e di formazione del consenso. I professionisti sono selezionati dal mercato e passano da un’organizzazione all’altra portando con sé parole d’ordine, posizioni, iniziative e linguaggi uniformati che, infatti, sono gli stessi in Greenpeace, WWF, FoEI, Legambiente ecc..

Per la gran parte delle associazioni, non c’è più alcuna esigenza di elaborare posizioni politiche o di interrogarsi su grandi temi proposti dalla storia o dall’attualità.  I loro associati non hanno più niente da scegliere, perché a discostarsi dallo schema prefissato si rischia di perdere quote di un mercato consolidato.  Infatti, la scelta delle campagne da promuovere è condizionata dai finanziamenti messi in palio da istituzioni e fondazioni che, anch’essi, preferiscono avere interlocutori riconoscibili, sempre uguali a se stessi, già previsti nei budget, come una tassa. L’Unione Europea, ad esempio, finisce per determinare, attraverso i propri bandi, quali richieste farsi fare, quali scelte farsi appoggiare dalla “società civile” e persino quali provvedimenti farsi contestare e in che misura. Come risultato di partecipazione democratica è preoccupante.

La questione dei cambiamenti climatici è emblematica di questa trasformazione. Su di essa si è concentrata l’attenzione del mondo e non c’è più alcun rischio che ne sia sminuita l’importanza e la portata epocale. Ma questa dovrebbe rappresentare una ragione in più per alimentare i confronti sulle politiche da adottare, sulla loro efficacia e congruità. Invece, chiunque osi esporre un dubbio sulle origini e l’andamento del fenomeno o una critica sulle misure adottate viene tacciato di “negazionismo”.  Le figure retoriche come la “giustizia climatica” hanno lo scopo di rivestire di un significato etico (e, dunque, incontestabile) le opinabili tesi di politica internazionale che tendono ad addossare ai soli paesi occidentali il peso della riduzione delle emissioni climalteranti.  Inoltre, si teme che appaia evidente all’opinione pubblica una cosa che, per il momento, sanno solo gli esperti di energia e cioè che l’unica misura su cui governi e ambientalisti hanno puntato con convinzione, ovvero gli incentivi spropositati alle fonti rinnovabili elettriche intermittenti, si è rivelata un costo certo per le comunità, con risultati modesti o nulli per il clima e un beneficio miliardario solo per poche imprese e per alcuni “facilitatori”.

Non voglio percorrere tutta la rassegna di miti e tabù che l’ambientalismo di maniera ha imposto alla cultura e alla società (e che noi abbiamo individuato per tempo).  Cito solo quelli relativi alla questione dei rifiuti, perché sono quelli costati più cari ad una grande parte del nostro Paese, sia in termini economici che di decoro.  L’ossessione contro gli inceneritori ha fatto sì che, in pochi anni, si siano esauriti tutti i siti di discarica e che i rifiuti di mezza Italia viaggino per l’Europa a spese dei cittadini e a beneficio degli impianti di teleriscaldamento del Nord Europa.

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Si dirà: gli Amici della Terra dicono queste cose da molto tempo ma sono sempre stati in minoranza. Già.  A forza di essere isolati ci si scoraggia e si finisce per sottovalutare il fatto che, anche se in ritardo, abbiamo avuto quasi sempre ragione noi.



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