Buongiorno. Non si placa lo scontro politico e istituzionale sul caso Almasri. L’opposizione ha bloccato i lavori del parlamento dopo che il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e quello della Giustizia Carlo Nordio hanno cancellato le previste informative ai parlamentari sul rilascio del generale-torturatore libico Osama Njeem Almasri, in cui avrebbero dovuto spiegare perché l’Italia l’ha riportato in Libia su un aereo di Stato invece di consegnarlo alla Corte penale internazionale che lo voleva per crimini di guerra e crimini contro l’umanità (qui la ricostruzione dei tempi del mandato di arresto da parte della Cpi).
Le conferenze dei capigruppo hanno deciso di sospendere le attività di Camera e Senato fino alla prossima settimana in attesa che il governo faccia sapere se e con chi intenda riferire sulla questione: l’opposizione chiede che sia la premier Giorgia Meloni. Ieri alla Camera alla fine sono stati tre rifugiati vittima delle torture di Almasri a tenere una conferenza stampa, in cui hanno raccontato cosa succede nelle prigioni da lui dirette.
Intanto la premier Meloni, che martedì aveva annunciato con un video sui social l’apertura di un’indagine su di lei, Nordio, Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovani per aver rilasciato Almasri, ieri ha scelto la strategia del silenzio. Si è limitata a uno stringato e generico messaggio sui social («Il nostro impegno per difendere l’Italia proseguirà, come sempre, con determinazione e senza esitazioni») e poi ha nominato come suo difensore, così come hanno fatto gli altri componenti del governo indagati, l’avvocata e senatrice leghista Giulia Bongiorno.
Ci pensano gli altri ad alzare i toni. La ministra del Turismo Daniela Santanché (rinviata a giudizio per falso in bilancio e indagata per truffa allo Stato per altre vicende) definisce «grottesco» e «vergognoso» l’atto dei magistrati — la comunicazione di iscrizione nel registro degli indagati – e dice che «è voluto non dovuto». Arianna Meloni, sorella della premier e capo della segreteria politica del partito, senza citare direttamente la vicenda scrive in un post su Instagram: «Avanti sorella mia, sei il nostro orgoglio». E lancia un appello: «È tempo che le persone perbene di questa martoriata nazione scelgano da che parte stare». Il leader del partito spagnolo di estrema destra Vox Santiago Abascal scrive che: «In tutte le nazioni ci sono strutture dello Stato profondo disposte a perseguitare i governi democratici solo per aver difeso la sicurezza, l’interesse nazionale e il loro popolo. Tutto il nostro sostegno a Giorgia Meloni», mentre Mateusz Morawiecki, presidente dei Conservatori europei afferma: «Contro Meloni c’è il tentativo di una “magistratocrazia”».
Lo scontro più preoccupante però è quello tra il governo e i magistrati. Scrive Adriana Logroscino:
Ma è soprattutto tra governo e magistratura che continua una contrapposizione durissima e su più fronti, mentre il Tg1 mostra, con tanto di carte, il botta e risposta tra Mantovano e Lo Voi: il sottosegretario ha negato al procuratore capo di Roma, che ne aveva fatto più volte richiesta, l’uso dei voli di Stato sulla tratta Roma-Palermo; un no contro il quale Lo Voi ha fatto ricorso. L’Anm, con il segretario generale Salvatore Casciaro, torna a difendere «l’atto dovuto» dell’avviso a Meloni e mezzo governo: «Solo in caso di denunce infondate e fantasiose ci potrebbe forse essere un margine ridottissimo di valutazione per i magistrati — dice —. Non è stato ritenuto questo il caso. Mettere in relazione le critiche della magistratura alla riforma con quanto accaduto è fare disinformazione».
Ma nel frattempo il comitato di presidenza del Csm trasmette alla prima commissione la richiesta di apertura della pratica a tutela, dopo le dichiarazioni di Nordio in Senato sui «pm superpoliziotti». Parole «pronunciate in una sede istituzionale» che integrerebbero «un comportamento lesivo del prestigio e dell’indipendenza» della magistratura. La commissione dovrà discutere la richiesta e, se approvata, trasmetterla al plenum.
In tutto questo però, la cosa più rilevante è che il procuratore di Roma Francesco Lo Voi non ha realmente indagato la premier e i suoi ministri: ha aperto un fascicolo d’indagine come atto dovuto, anzi «obbligato», dopo aver ricevuto una denuncia «non inverosimile» (l’esposto dell’avvocato ex Idv ed ex Msi Luigi Li Gotti) e ha trasmesso gli atti al Tribunale dei ministri, come previsto dalla legge, senza fare nessun tipo di accertamento. Spiega Giovanni Bianconi che Lo Voi non ha archiviato direttamente la denuncia perché per farlo avrebbe dovuto indagare e questo sì, secondo lui, sarebbe stato un esercizio di potere indebito su membri del governo:
Per verificare se dietro le ricostruzioni della stampa ci siano reali indizi a carico degli esponenti del governo, bisogna svolgere accertamenti che secondo il procuratore sono preclusi al suo ufficio; può farli solo il Tribunale dei ministri, come sancito dalla legge costituzionale del 1989 che — in quanto tale — prevale sulla riforma Cartabia.
«Omessa ogni indagine», come prescrive la norma, Lo Voi ha dunque trasferito il magro fascicolo ai tre giudici del collegio sui reati ministeriali; tre donne che ora hanno novanta giorni di tempo per approfondire il caso e trarre le conclusioni. Dovendosi fermare anche loro se emergerà che la liberazione di Almasri e il suo riaccompagnamento in Libia sono derivati da un atto politico del governo insindacabile sul piano penale.
È un altro dei rilievi mossi al procuratore: vuole mettere bocca su decisioni del potere esecutivo senza averne la legittimazione. Tuttavia pure la qualificazione di «atto politico», secondo la sua interpretazione, richiede una verifica che non spetta a lui.
Quello che è certo è che non si può accusare Lo Voi di essere un magistrato avverso al governo per ragioni politiche, visto che proprio dal centrodestra ha ricevuto più volte incarichi e lodi. Scrive ancora Bianconi:
Restano le polemiche sollevate da chi considera l’iniziativa di Lo Voi come un nuovo attacco della magistratura al potere politico. Che però stride con la biografia del procuratore, e con l’alta considerazione che lo stesso potere politico gli ha riservato in passato. Ad esempio quando il governo Berlusconi lo designò rappresentante italiano a Eurojust, l’ufficio di coordinamento tra le diverse Procure d’Europa; o quando tutti i consiglieri «laici» del Csm lo votarono per la guida della Procura di Palermo, nel 2014, dove fu mandato perché si riteneva che fosse in grado di tenere a bada i pm del processo trattativa Stato-mafia meglio degli altri candidati che sulla carta avevano più titoli. Per Forza Italia c’era Elisabetta Alberti Casellati, attuale ministra per le Riforme istituzionali, che tessé le lodi di Lo Voi sottolineandone la «maggiore cultura della giurisdizione» per aver svolto sia le funzioni di giudice che di pm. In barba alla separazione delle carriere voluta ora dal governo di cui fa parte, e considerata — nel cortocircuito delle reazioni a catena — uno dei moventi della presunta invasione di campo.
Qui Gianluca Mercuri ricostruisce la vicenda da principio e spiega perché, nonostante si giochi su cavilli giuridici, il rilascio di Almasri riguarda in realtà la politica migratoria, mentre qui Goffredo Buccini ricostruisce la storia degli accordi italiani con la Libia per fermare gli sbarchi di migranti e rifugiati.
I dieci anni di Mattarella al Quirinale
Sergio Mattarella, 83 anni, è stato eletto presidente della Repubblica il 31 gennaio 2015 e rieletto per un secondo mandato il 29 gennaio 2022: è da dieci anni il Capo dello Stato, «un record mai toccato da alcun predecessore», come ricorda Marzio Breda. In questi anni, scrive Antonio Polito:
Il Quirinale ha assunto un ruolo di equilibratore e di moderatore dei sussulti della Seconda Repubblica e delle stravaganze dei suoi partiti. Un abito che sembra tagliato su misura per questo siciliano che parla a bassa voce, ascolta, comprende e tollera, ma quando lo ritiene necessario interviene eccome, mostrando un’anima fatta di fil di ferro che non gli consente di transigere sui principi. Laddove Napolitano ricorreva all’energico strattone, Mattarella preferisce la spinta gentile.
Addio al nostro Fabio Postiglione
Ieri sera, mentre tornava a casa dopo aver finito di lavorare, il nostro collega Fabio Postiglione è morto in un incidente stradale. Un furgone ha urtato la sua moto sulla Tangenziale Est di Milano, Fabio è caduto ed è finito contro un guardrail. Aveva 44 anni. Lascia un vuoto immenso, come giornalista e come persona. Fabio Cutri, il suo omonimo capodesk alle Cronache italiane, lo ricorda così:
Il primo ad arrivare, sempre l’ultimo a lasciare la redazione: «Uè, ci vediamo domani con chi c’è!», diceva lui napoletano fino al midollo facendo il verso a quei bauscia dei milanesi. Fabio era simpatia pura, profondo sulle cose e sulle notizie. Come i bravi giornalisti, come le persone intelligenti. Sapeva mordere e accarezzare la vita, prendeva tutto con allegria ma anche con il piglio di chi non ha mai avuto niente in regalo. Tutto quello che aveva — la sua storia è lì a dimostrarlo — se l’era conquistato da solo, passo dopo passo. Non era uno che si arrendeva. A noi la vita invece ha regalato Fabio. Fabio aveva un dono, faceva stare bene gli altri. È una cosa preziosa, soprattutto in quei mondi complicati che sono i giornali. Dentro il Corriere era (è, e sarà) popolarissimo come pochi. Chiunque ha avuto da lui un gesto di attenzione, un aneddoto confortante, una cibaria dalla sua Campania o dalla Sicilia (dove si vantava, lui partenopeo, di essere cittadino onorario nel paesino del suocero). Direttore, giornalisti, tipografi: Fabio era lo stesso Fabio con tutti, allo stesso modo.
Era un cronista bravissimo, di quella bravura di chi ama il proprio lavoro. Di chi ci crede. La nuova vita da capo lo affascinava: sarebbe andato lontano, e lo sapeva. Aveva superato tante difficoltà ma non si portava dietro nemmeno un pizzico di risentimento. Anzi: era un testimonial perfetto della gioia di vivere. Bastava sentirlo raccontare uno dei mille aneddoti sulla sua Napoli città mirabolante, oppure del Napoli e di Maradona tatuati sulla pelle e sul cuore. O ancora delle amatissime gatte Gennarina e Ciro (sì, la gatta Ciro, embè?). Ma niente era così bello come sentirlo parlare del suo amore più grande, la moglie Valentina, cronista televisiva che lui incoraggiava da remoto nelle continue trasferte. E dei bellissimi progetti — quelli che gli facevano brillare ancora di più gli occhi — che erano proprio dietro l’angolo (saresti stato un papà fenomenale, Fabio). «Ci vediamo con chi c’è». Noi ci siamo, e tu sei qui con noi. Anche stasera. Per sempre.
Le altre notizie importanti
- Israele ha annunciato che oggi saranno liberati 3 ostaggi detenuti nella Striscia di Gaza in cambio di 110 detenuti palestinesi, in base agli accordi per il fragile cessate il fuoco che mira a porre fine a 15 mesi di guerra con Hamas. Sono la soldatessa Agam Berger, di 20 anni, e la civile Arbel Yehud, di 29, e un agricoltore tedesco-israeliano di 80 anni, Gadi Moses. Saranno rilasciati anche 5 ostaggi thailandesi. Ieri però un funzionario di Hamas ha accusato Israele di ritardare i permessi per l’ingresso degli aiuti, in particolare «carburante, tende, roulotte e macchinari pesanti», e ha detto che questi ritardi potrebbero «influire sulla normale applicazione dell’accordo, compresi gli scambi di prigionieri». Intanto a Gaza è arrivato l’inviato speciale degli Stati Uniti per il Medio Oriente Steve Witkoff, in un momento in cui l’amministrazione Trump moltiplica i segnali di sostegno al premier israeliano Benjamin Netanyahu.
- I russi avanzano ancora in Ucraina, nel Donetsk, mentre le truppe di Kiev sono a corto di munizioni e il governo di Kiev è sempre più diviso. Qui Francesco Battistini racconta lo scontro tra il ministro della Difesa ucraino, Rustem Umerov, fedelissimo del presidente Volodymyr Zelensky e la funzionaria Maryna Bezrukova, capa della corposa Agenzia per l’acquisizione degli armamenti.
- Il presidente americano Donald Trump ha firmato la legge bipartisan Laken Riley (il primo atto legislativo della sua amministrazione) che permetterà di espellere prima di una eventuale condanna le persone che si trovano illegalmente negli Stati Uniti e sono accusate di furto e crimini violenti. Ha anche detto di voler aprire un centro di detenzione a Guantanamo Bay, Cuba, per ospitare fino a 30 mila migranti che vivono illegalmente negli Stati Uniti e che non possono essere deportati nei loro Paesi d’origine.
- La figlia di Jfk, Caroline Kennedy, ambasciatrice in Australia per Joe Biden, ha scritto una lettera ai senatori per chiedere loro di non confermare il cugino Robert F. Kennedy Jr. nel ruolo di Segretario per la Sanità.
- In Germania la mozione della Cdu sui migranti è passata con i voti dell’estrema destra. Ed è la prima volta, al Bundestag, che l’Afd risulta determinante per l’approvazione di una mozione. Le critiche al probabile futuro cancelliere Merz.
- Chiara Ferragni è stata citata a giudizio per truffa aggravata nella vicenda del Pandoro e delle uova di Pasqua. L’imprenditrice e influencer nega ogni accusa. Intanto ha rotto il silenzio sull’ex Fedez con un post di accuse.
- La Procura di Milano ha sequestrato 46 milioni di euro al colosso americano della logistica FedEx Express Italy. L’accusa è di frode fiscale per il ricorso a cooperative, in grado di fornire manodopera sottocosto perché non pagavano regolarmente le tasse né i contributi all’Inps.
- Sono uscite le materie della maturità 2025, con le nuove regole per il 6 in condotta.
- La Champions League. L’Inter ha vinto 3 a 0 contro il Monaco; il Milan ha perso 2 a 1 contro la Dinamo Zagabria e la Juventus 0 a 2 contro il Benfica. Pari (2 a 2) Barcellona-Atalanta.
Il Caffè di Massimo Gramellini
Killa visto
Al lungo elenco delle cose che non capisco, aggiungerei anche questa: perché un rapper autore di prelibatezze del tipo «preferisco vederti morta che con un altro» era stato invitato a cantare a Sanremo? Magari subito dopo il monologo di qualche illustre ospite sui femminicidi. A dirla tutta, questa cosa riesco a capirla persino io: le viscere spacciate per arte fanno notizia, e ascolti. Quel che veramente non capisco è perché Emis Killa, che si vanta di essere alternativo al sistema, volesse andarci, a Sanremo. L’istituzione per eccellenza. A meno di dar ragione a chi sostiene che in Italia anche gli estremisti pretendono di fare la rivoluzione d’accordo con i carabinieri. Quando poi ho letto sul Corriere che era indagato per associazione a delinquere nell’ambito dell’inchiesta sui traffici degli ultrà di calcio, e che in casa gli avevano trovato sette coltelli, tre tirapugni, uno sfollagente e 40.000 euro in contanti, il silenzio degli organizzatori del Festival mi è parso ancora più incomprensibile. Finché a romperlo è intervenuto proprio lui, Emis Killa. Usando, al posto del tirapugni, un comunicato in cui afferma che «preferisce fare un passo indietro» (sempre meglio di «vederti morta», come preferenza) e auspica che «l’indagine faccia il suo corso e la magistratura possa lavorare in serenità».
«Passo indietro». «L’indagine faccia il suo corso». Emis Killa che parla come i Padri Costituenti. E a questo punto davvero uno non ci capisce più niente.
Grazie per aver letto Prima Ora e buon giovedì
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