Massimo Maestrelli, il “babbo” e quegli anni formidabili della Lazio

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Massimo è una bella persona, fuori e dentro. Ha passato i 60 e vive, non può essere diversamente, anche nel ricordo di Tommaso Maestrelli, il tecnico più amato di sempre dai tifosi laziali.

Massimo, vedo che lo chiami sempre “babbo” alla nostra maniera…

“Lo trovo più romantico, ma soprattutto più intimo rispetto a papà. E poi, babbo era nato a Pisa e venivamo dai nonni e dai parenti in Toscana, quindi…”

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Sei stato un po’ il filo conduttore dello splendido docu-film realizzato sulla figura di Tommaso Maestrelli…

“A 61 anni avevo il desiderio di fare ordine nelle mie cose, essendo rimasto l’unico della famiglia. Era un vecchio progetto che poi, per una ragione o un’altra, rimaneva sempre in fondo al cassetto. Credo che alla fine sia venuto fuori un bel lavoro, ma soprattutto un ritratto fedele e autentico della persona: l’allenatore, molto innovativo per l’epoca, e l’uomo, con la sua semplicità e la capacità di fare le scelte giuste, anche se difficili. Come quando partì per andare a combattere con i partigiani durante la guerra: e poi ho scoperto che aveva avuto la responsabilità di 360 uomini a soli 22 anni… Ditemi un po’ voi se oggi tutto questo sarebbe possibile.”

Una vita, la tua, particolarmente segnata dai dolori familiari…

“Eravamo due fratelli gemelli e due sorelle. Patrizia se ne è andata a 48 anni, Maurizio a 49 e, per ultima, anche Tiziana a 69 anni. Alla mamma, per fortuna, sono stati risparmiati gli ultimi due immensi dolori. Ma lo sai che ti dico, Leonardo? Che la cosa bella è che ci siamo sempre voluti tanto bene, mai abbiamo discusso né per interessi né per altre cose. E questo mi pare alleggerisca in parte il dolore, cioè oggi non ho questo rimpianto: perché magari non parli con un fratello o una sorella, e poi quando succede qualcosa di irreparabile ti manca il tempo per recuperare ciò che non hai fatto nella tua vita o come avresti voluto essere.”

Immagini in bianco e nero. Tu e Maurizio insieme al babbo, negli spogliatoi dell’Olimpico o al vecchio campo di allenamento della Lazio a Tor di Quinto, due ragazzini bellissimi e sempre vestiti come Dio comanda…

“Cominciammo a Reggio Calabria, il babbo ci portava sulla poca erba del Granillo. Avevamo un solo anno di età. La nostra nascita lo cambiò in meglio, ci voleva sempre accanto e vicino anche nello spogliatoio. A Roma poi diventammo una specie di portafortuna per la squadra stessa.”

Massimo affida il racconto al proprio cuore, c’è una vita alle spalle intrisa di sentimenti, ma anche di equilibrio e tanto buon senso…

“Non dimentico mai gli insegnamenti del babbo e della mamma, che poi erano il frutto del loro esempio quotidiano, di come hanno vissuto insieme e con noi figli.”

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Perché la Lazio campione del 1974 di Maestrelli è più ricordata, e non soltanto dai tifosi biancocelesti, rispetto a quella dei primi anni 2000 di Cragnotti ed Eriksson? Credo sia un po’ come accade per la Nazionale del 1982 e del 2006, non pensi?

“È tutto giusto ciò che dici, per molti fattori. Gli anni ’70 erano da una parte pieni di speranze, ma anche molto violenti. Roma non faceva eccezione, anzi, qui le differenze sociali e politiche erano molto marcate. Ci si ammazzava per gli ideali, giusti o sbagliati, e in mezzo a tutto questo la cosiddetta delinquenza comune. La Lazio di quel tempo riflette quel periodo così “forte”. Poi la squadra, composta da bravissimi calciatori con una personalità spiccata, e ancora l’aver vinto lo scudetto solo due anni dopo la promozione dalla Serie B (e il titolo venne sfiorato anche nella prima stagione, a dire il vero). Babbo veniva da una bella esperienza a Foggia, ma finita male, con una retrocessione amara e discussa. Pensa che lo aveva chiesto anche la Roma! Lui era stato calciatore giallorosso nei primi anni ’50, ma alla fine scelse l’altra sponda e sai perché? Disse che, essendo retrocesso in Serie B, doveva ripartire proprio da questa categoria per mettersi veramente alla prova come allenatore. Ed è un tratto di sano realismo che ha conservato anche quando venne poi contattato dalla Juve di Agnelli o dalla stessa Nazionale… Poi fammi anche dire come le tante morti premature abbiano certamente contribuito al mito di questa squadra.”

Lazio bella e “maledetta”, formazione da romanzo ed ispiratrice di libri e film. Si è detto di tutto: “matti”, “fascisti”, “fuori da ogni schema”, giocatori che solo Maestrelli poteva tenere a bada…

“In parte è così, ma non esattamente. In politica, per esempio, non tutti la pensavano allo stesso modo: Frustalupi guardava a sinistra, Martini a destra e altri erano più moderati. Ma tutti uomini con una fortissima personalità dentro e fuori dal terreno di gioco. Babbo li assecondava, li faceva sfogare, mai cercando di eliminarne i singoli difetti. Anzi, i difetti stessi diventavano il carburante per i successi della domenica, dove ognuno di loro cercava di dimostrarsi migliore dell’altro mettendosi, al contempo, al servizio della squadra. Giorgio Chinaglia era il leader incontrastato e soprattutto l’emblema del nuovo orgoglio laziale: il suo dito puntato verso la curva Sud romanista rappresenta, per molti aspetti, un cambiamento epocale nella geografia del tifo capitolino e su chi, fino ad allora, appariva dominante.”

Massimo, c’è la fai in due aggettivi a sintetizzarmi Tommaso, allenatore e uomo?

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“Nel calcio, un innovatore. A Reggio Calabria, negli anni ’60, faceva giocare la squadra con il 4-3-3, un modulo pazzesco per l’epoca. Olandese, insomma, prima della grande Olanda. E anche la sua Lazio aveva grande modernità tattica, basti pensare solo agli esterni coi piedi invertiti e alla circolazione della palla. Come uomo… la parola “umiltà”. Vivere sempre coi piedi per terra, il valore della vittoria, ma anche quello della sconfitta come insegnamento e base per ripartire.”

Il calcio di oggi, la Lazio…

“Ho avuto un ottimo rapporto con Simone Inzaghi e anche con il ‘vostro’ Maurizio Sarri, che ha amato la Lazio. Sono anche venuto lì in Valdarno, a casa sua, non molto tempo fa. Pensa che uno dei suoi più grandi desideri sarebbe stato quello di allenare la squadra nel nuovo stadio Flaminio, intitolato a Tommaso Maestrelli. Una persona sincera, dalla schiena bella dritta…”

La Lazio attuale?

“Non va male, dai. E Baroni, un altro delle tue parti, è bravo. Certo, magari l’organico è un po’ corto, ma insomma…”

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Tommaso Maestrelli vinse lo scudetto laziale nel 1974, cinquant’anni fa. Una brutta malattia lo rapì poco dopo dall’affetto dei suoi cari e di tutti i tifosi. Prima di lasciare questo mondo, grazie a una terapia che venne definita all’epoca ‘miracolosa’, fece in tempo a tornare in panchina e a salvare la squadra nella famosa partita di Como. Un ultimo atto d’amore, la chiusura di un cerchio.

“Massimo, grazie di questo racconto… Sei davvero una bella persona.”

“Grazie a te, Leonardo. Magari ci vedremo presto nella tua Toscana… O magari qui a Roma, andiamo anche insieme a trovare babbo.”


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