Serbia: crisi politica e sociale

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Sotto Natale, girava voce che le feste avrebbero calmato gli animi e che col nuovo anno gli studenti sarebbero tornati fra i banchi senza troppe storie. È successo il contrario e martedì 28 gennaio è caduto il governo serbo presieduto dal primo ministro Miloš Vučević.

Negli ultimi due mesi, la Serbia è stata teatro di gravi disordini, a seguito di un tragico incidente che ha scatenato un’ondata di indignazione pubblica e proteste. Il 1º novembre, il crollo di una tettoia alla stazione ferroviaria di Novi Sad ha causato la morte di 15 persone, portando alla luce serie problematiche di corruzione e incompetenza nella gestione delle infrastrutture del paese.

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La tettoia crollata, costruita negli anni Sessanta, era stata oggetto di recenti lavori di ristrutturazione da parte della China Railway International Corporation nel quadro dei lavori di costruzione di una linea ferroviaria fra Belgrado e Budapest finanziata dal governo cinese. Molti sostengono che questi lavori sono stati effettuati al risparmio, evidenziando pratiche di corruzione all’interno dell’amministrazione governativa. Il presidente serbo Aleksandar Vučić ha subito promesso un’indagine per stabilire le responsabilità politiche e penali, e poche settimane dopo la tragedia sono state arrestate undici persone, tra le quali il ministro delle Infrastrutture, ma tutto ciò non ha placato il malcontento popolare.

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Già da metà novembre, la società civile ha cominciato a mobilitarsi, utilizzando il crollo come catalizzatore per esprimere il proprio scontento verso il governo. In particolare, gli studenti universitari hanno guidato una serie di proteste che richiedevano non solo giustizia per le vittime del crollo ma anche un’azione concreta contro la corruzione dilagante nel sistema degli appalti e dei tanti progetti urbanistici realizzati dagli enti pubblici con scarsa trasparenza. “Avete le mani sporche di sangue” è stato lo slogan delle manifestazioni.

Il governo ha reagito arrestando i primi manifestanti, cosa che, a sua volta, ha innescato cortei e blocchi stradali in diverse città, con migliaia di persone che hanno partecipato a silenziose commemorazioni in memoria delle vittime. Col passare delle settimane, si sono uniti agli studenti i professori di scuole e università così come molte personalità in vista della società civile.

Durante feste di fine anno, che in Serbia si svolgono fra il 31 dicembre e il 14 gennaio seguendo il calendario ortodosso, molti media andavano ripetendo che le proteste si sarebbero attenuate. Gli studenti fuori sede sarebbero rientrati nelle loro città, Belgrado avrebbe ritrovato la calma e con la ripresa delle lezioni tutto sarebbe tornato alla normalità. Il passaggio al nuovo anno non ha invece segnato alcuna discontinuità, anzi, il 24 gennaio si è svolto uno sciopero generale cui hanno aderito numerosi settori della società, tra cui scuole, teatri e ristoranti.

Gli studenti si sono radunati davanti all’edificio del governo e hanno sfilato per le strade di Belgrado bloccando il traffico per ore. Durante le manifestazioni, si sono verificate situazioni di tensione: una giovane donna è stata investita da un’auto mentre partecipava a un presidio stradale, alimentando ulteriormente l’ira dei manifestanti. Il fatto, peraltro, ha almeno due precedenti, tutti nel mese di gennaio, ed è stato accompagnato da dichiarazioni minacciose di alcuni esponenti politici, il che ha portato alcuni a ritenere che non si sia trattato solo di episodi di esasperazione, ma che i responsabili abbiano agito secondo un piano ben definito. La stessa caduta del governo Vučević è attribuita all’aggressione subita da un gruppo di manifestanti a Novi Sad, attaccati da uomini armati di mazze da baseball usciti dalla sede locale del partito SNS.

Le proteste hanno anche attirato l’attenzione su questioni di parzialità dei media, in particolare della TV di stato. Molti manifestanti accusano i media di promuovere narrazioni pro-governative mentre sminuiscono l’importanza delle loro richieste. Ma non ci sono solo i media tradizionali a demonizzare le contestazioni.

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La scorsa settimana sono comparsi striscioni anti-protesta che raffigurano un pugno rosso col dito medio alzato nei principali incroci stradali di Belgrado, con una scritta che dice “[questa è] la risposta della nazione serba al tentativo di rivoluzione colorata“. Immagini del dito medio sono apparse anche sui muri di alcuni cortili scolastici. La campagna, sospettata di essere stata organizzata da persone vicine al partito al potere, è iniziata dopo che alcuni funzionari locali hanno condiviso lo stesso simbolo sui loro profili social.

Il presidente Vučić, al potere da undici anni, ha cercato di minimizzare l’importanza delle proteste, affermando che gli studenti agivano sotto l’influenza di potenze straniere. Il 22 gennaio le autorità serbe hanno espulso 13 rappresentanti stranieri di varie organizzazioni non governative, citando “rischi per la sicurezza” senza fornire motivazioni specifiche. Questa azione ha suscitato proteste da parte dei paesi d’origine degli espulsi nonché dell’Unione Europea, sollevando preoccupazioni per le violazioni dei diritti umani e l’effetto intimidatorio sulla società civile. Il giorno successivo alle espulsioni, la Croazia ha esortato i suoi cittadini a posticipare i viaggi non necessari in Serbia, intensificando le tensioni già esistenti tra i due paesi.

Un elemento che non favorisce gli obiettivi dei manifestanti è il sostegno che il presidente Vučić ha ricevuto dal cancelliere tedesco Olaf Scholz la scorsa estate riguardo al controverso progetto di estrazione del litio nella Serbia centrale, gestito dalla multinazionale anglo-australiana Rio Tinto. Questo progetto, fortemente osteggiato dalla comunità locale, era stato già bloccato dal governo serbo nel 2022 a seguito di proteste popolari. Tuttavia, è stato approvato l’anno scorso, andando contro la volontà dei cittadini. Questa approvazione ha permesso a Vučić di accreditarsi internazionalmente come l’uomo in grado di portare a termine un progetto di grande interesse per l’industria europea.

La situazione in Serbia è un riflesso di un malessere profondo verso una governance percepita come autoritaria e corrotta. Le proteste degli studenti, iniziate come una risposta a un tragico evento, sono diventate un movimento spontaneo e ancora privo di una leadership, ma pur sempre capace di sfidare l’attuale regime, con richieste di libertà civili, giustizia sociale e riforme sistemiche. La risposta del nuovo governo alle manifestazioni sarà un elemento chiave nel futuro politico del paese.

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