Anzianità contributiva dei lavoratori più alta: a Nord Est si va in pensione un anno prima

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Prestito personale

Delibera veloce

 


La progressiva crescita dell’età pensionabile verso la soglia fatidica dei 67 anni fissata (salvo ulteriori ritocchi) per la pensione di vecchiaia non conosce eccezioni a livello locale.

La maggiore anzianità contributiva media dei lavoratori tiene però il Nordest leggermente al di sotto dei dati nazionali: in Veneto, nel 2023, l’età media di pensionamento era di 63,6 anni, in Friuli Venezia Giulia di 64,3 anni, rispettivamente 1 anno e 110 giorni in meno rispetto alla media nazionale.

In entrambe le regioni è maggiore rispetto alla media nazionale l’incidenza delle pensioni anticipate (quelle che un tempo si chiamavano pensioni di anzianità), cui hanno accesso le donne e gli uomini che abbiano all’attivo, rispettivamente, almeno 41 anni e 10 mesi o 42 anni e 10 mesi di contributi versati. Nel 1997, l’anno da cui decorrono le serie storiche sulle pensioni liquidate dell’Osservatorio Inps, l’età media di decorrenza della prima pensione era di 57,2 anni in entrambe le regioni.

Finanziamenti personali e aziendali

Prestiti immediati

 

Quattrocentomila baby pensionati? Il dato era emerso qualche settimana fa in occasione della presentazione alla Camera del rapporto “Itinerari previdenziali” relativo al 2023, che parlava di 397 mila pensioni Ivs (di vecchiaia o anzianità, di invalidità da lavoro e ai superstiti) erogate da più di 40 anni. Aggiornandolo ai dati del 2024, recentemente diffusi dall’Osservatorio dell’Inps, e considerando le pensioni Ivs con almeno 40 anni di decorrenza (cioè erogate a partire dal 1984 o prima), il dato è di 549 mila pensioni, 699 mila considerando il totale dei trattamenti, cioè anche pensioni e assegni sociali e i trattamenti di invalidità civile. Ma sono tutti baby pensionati? In realtà non è detto, visto che tecnicamente per “baby pensioni” si intendevano quelle introdotte nel 1973 e in vigore fino al 1995, che consentivano l’uscita dal lavoro con 14 anni e 6 mesi di contributi per le donne con figli, 20 anni per i lavoratori statali e 25 anni per i dipendenti degli enti locali.

Nel calcolo di “Itinerari previdenziali” ci sono anche pensioni ai superstiti e pensioni di invalidità da lavoro, quindi non necessariamente legate all’età di uscita dal lavoro. Non tutti gli assegni ultra-quarantennali in vigore oggi sono baby pensioni. Il loro elevato numero, però, riflette i requisiti estremamente generosi di pensionamento in vigore quantomeno fino alla riforma Dini del 1995. E una stretta ancora più decisa, che oggi colloca il nostro sistema pensionistico sicuramente tra i più rigidi d’Europa, è arrivata con la riforma Fornero, entrata in vigore nel 2012. È in virtù di quella legge, e dei progressivi adeguamenti all’aspettativa di vita che regolano i requisiti di pensionamento, se l’età di pensionamento media, nel 2023, era salita a 64 anni e mezzo, superando i 64 tra gli uomini e i 65 tra le donne. «Non ho l’età», parafrasando Gigliola Cinquetti, è il refrain che tormenta oggi milioni di lavoratori ultrasessantenni e in particolare quelli “beffati” dagli adeguamenti. Un abisso rispetto agli anni 80, quando l’età media di decorrenza della prima pensione nel privato superava a stento i 50 anni, e anche rispetto ai 56 anni medi di trent’anni fa, prima della riforma Dini. Solo nel 2005, dopo la legge Maroni del 2004, l’età media di pensionamento ha superato per la prima volta i 60 anni, per raggiungere i 61 e i 62 nel biennio 2012-2013, come effetto immediato della riforma Fornero. Da allora l’ascesa è continua: nel 2023 si sfioravano i 65 anni, già superati per le donne.

La progressiva stretta sull’età e l’adozione del sistema contributivo, che lega l’importo delle future pensioni esclusivamente ai contributi versati, mira a garantire la sostenibilità del sistema previdenziale nel tempo. L’innalzamento dei requisiti ha consentito di mantenere sostanzialmente stabile il numero dei pensionati, oggi in tutto 16,2 milioni, pur in presenza di un costante innalzamento dell’aspettativa di vita, che ha ripreso a crescere dopo la battuta d’arresto del Covid e oggi si colloca a 82,6 anni. L’altro elemento fondamentale per la tenuta del sistema, però, è la crescita dell’occupazione: oggi il rapporto pensionati lavoratori è di 2/3, si tratta di mantenerlo quantomeno costante e possibilmente ridurlo. Obiettivo non facile, viste le dinamiche demografiche e l’incidenza ancora elevata della disoccupazione giovanile. Disoccupazione giovanile che condiziona negativamente, in prospettiva, anche il valore delle pensioni di domani.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link