Carlantino, Celenza Valfortore e San Marco La Catola vogliono staccarsi dalla Capitanata e passare al Molise

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di Giuseppe Zingarelli

L’articolo 132 della Costituzione italiana sancisce espressamente: “Si può, con referendum e legge della Repubblica, sentiti i Consigli Regionali, consentire che i Consigli che ne facciano richiesta, siano staccati da una regione ed aggregati ad un’altra”. Tre sindaci della Capitanata, Graziano Coscia, sindaco di Carlantino, Massimo Venditti, sindaco di Celenza Valfortore, e Luigi Piacquadio, sindaco di San Marco la Catola, sembrano decisi ad attivare gli iter e le procedure che la Carta Costituzionale mette loro a disposizione per chiedere il distacco dei tre centri montani dalla provincia di Foggia ed ufficializzare l’annessione al Molise. Assillati da molteplici carenze di servizi, alle prese con sempre maggiori e più complessi problemi di viabilità cui si affiancano economie locali precarie e problemi di ogni genere, Coscia, Venditti e Piacquadio si sentono “traditi” dalle pompose e reiterate promesse di sostegno assicurate loro dalla programmazione politica di Bari e Foggia. Quasi che, percependo ormai una condizione di avvilente ed immutabile marginalità, accentuata peraltro da un evidentissimo ed irreversibile disagio sociale, i tre “Primi Cittadini” sembrano aver acquisito la definitiva convinzione di non avere altra possibilità se non quella di passare definitivamente all’attiguo Molise. Regione con la quale, da tempo immemorabile, i tre paesini frontalieri, per numerose comunanze storiche e solide affinità socio-culturali, condividono problematiche ed interessi comuni. Il “feeling” tra Carlantino, Celenza Valfortore e San Marco la Catola da una parte e la Regione Puglia, Bari e Foggia dall’altra, storicamente parlando, non è mai scoccato.

Panoramica Carlantino

Gli stessi rapporti tra la provincia di Foggia e quella di Bari, sono sempre stati in passato burrascosi, estremamente conflittuali, poco collaborativi, dettati da mere ragioni estrinseche, palesemente improntati ad un freddo e distaccato formalismo. Relazioni mai ispirate ad elaborare una vera e propria collaborazione politica volta ad individuare, supportare, sostenere e risolvere efficacemente le reali problematiche affliggenti le aree montano-collinari della Capitanata, onde favorirne crescita sociale e sviluppo economico. Mai è stata finora individuata una sola affinità storica che lega il territorio montano-collinare della provincia di Foggia alla “Terra di Bari”. I tre sindaci, come del resto i loro predecessori, combattono duramente contro i problemi causati da un progressivo isolamento sociale che sta deteriorando le loro comunità. Un isolamento amplificato oltremodo anche dall’inarrestabile fenomeno dello spopolamento demografico. Da tempo i tre amministratori stanno “denunciando” una condizione di evidente emarginazione e di fortissimo disagio sociale. I tre piccoli centri agricoli del foggiano contano complessivamente una popolazione di circa 3.000 abitanti e, in linea d’aria, sono vicinissimi al Molise. Meno di un chilometro. La loro vicinanza a Campobasso, soli 35 chilometri, stride con gli oltre 60 chilometri di distanza necessari a raggiungere il capoluogo di appartenenza, Foggia. Già 43 anni fa il Comune di San Marco la Catola con una delibera consiliare, precisamente la delibera numero 78 bis del 12 maggio 1982, aveva già ufficialmente espresso la volontà di staccarsi definitivamente dalla Puglia e di “unirsi” al Molise. L’allora sindaco sammarchese, il dottor Mario Cicchetti, per molti anni primario del reparto di pediatra all’ospedale “Cardarelli” di Campobasso, attivatosi in tal senso, in presenza del dottor Felice Scarlato, all’epoca Segretario comunale del piccolo centro dei Monti Dauni, convocò il Consiglio comunale in sessione ordinaria ed in prima convocazione al fine di promuovere la discussione monotematica sull’argomento. A seguito di quel lungo dibattito consiliare, 13 dei 15 consiglieri comunali presenti in aula, praticamente tutti i consiglieri partecipanti a quella storica seduta comunale, espressero all’unanimità parere favorevole al passaggio con la provincia di Campobasso, decretando la definitiva rottura dei rapporti con Bari, Foggia e la Puglia. La realizzazione dell’invaso artificiale di Occhito e delle relative gallerie di adduzione dell’acqua alla “Piana del Tavoliere” nel territorio di Carlantino, avevano reso necessario espropriare i migliori terreni del “Fondovalle” del Fortore, causando problemi alle loro rispettive Amministrazioni comunali. Molti contadini avendo subito gli espropri risentirono della conseguente mancanza di lavoro. Con la realizzazione dell’invaso, agli inizi degli anni ’70, non si era provveduto a programmare un’economia alternativa a quella che il lago avrebbe “inghiottito” con le sue acque.

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(San Marco La Catola)

Molta gente contro la propria volontà fu costretta ad emigrare al Nord o all’Estero per mantenere le proprie famiglie. I tre paeselli iniziarono così a subire un sempre più consistente spopolamento che debilitò progressivamente le loro economie fino a fiaccarle totalmente. La zona a confine tra la Puglia e il Molise divenne un’area socialmente ed economicamente depressa. All’economia attiva si sostituì un’economia assistenziale fondata sulle pensioni per invalidi e per gli anziani. La costruzione dell’invaso di Occhito e dello sbarramento in terrapieno fu causa non solo dell’inizio dello spopolamento della zona ma provocò anche un vero e proprio “stravolgimento” ecologico che generò la comparsa di eccesiva umidità. Ciò comportò un sensibile aumento delle malattie reumatiche e dell’apparato respiratorio degli abitanti dei tre centri agricoli. Con il tempo le cose peggiorarono. I contadini sammarchesi, carlantinesi e celenzani iniziarono a patire situazioni di vita sempre più disagiate. La politica tentò di rimediare ai suoi errori tentando di trasformare la zona a confine tra la Puglia ed il Molise in una zona turistica che avrebbe dovuto reggersi sul turismo, l’agricoltura e la piccola industria. Le cose però non decollarono affatto, anzi peggiorarono. I tre paesi del foggiano sprofondarono sempre più nell’isolamento sociale, economico e culturale. Agli inizi degli anni ’90, attraverso una politica discutibile, farraginosa, confusa e poco razionale si cercò di rivitalizzare il territorio attraverso lo stanziamento di fondi regionali ed europei che miravano a favorire investimenti volti a creare piccole imprese, sollecitando in tal modo la redditività economica e la produttività della zona stessa. I risultati furono deludenti e ciò provocò un ulteriore diffidenza degli amministratori dell’area subappenninica dei Monti Dauni nei confronti della politica di Bari, Foggia e della Regione Puglia. Oggi i tre sindaci appaiono determinati ad intraprendere una definitiva azione di rottura la Regione Puglia per aggregarsi a Campobasso.



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