Giuseppe Laterza: «Zygmunt Bauman a 90 anni comprava all’asta iPhone usati. Agnelli fece fare un tuffo a Putin. Poi disse: “È solo un palestrato”»

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di
Paola Pica

Il presidente della casa editrice: «Gli intellettuali? Ci sono ma oggi si vergognano. Scoprii Barbero 30 anni fa»

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Nel villino liberty ai Parioli, sede romana della casa editrice fondata a Bari nel 1901 dal ventottenne Giovanni Laterza e dal filosofo Benedetto Croce, le foto alle pareti raccontano gli incontri con studiosi di fama, italiani e stranieri.

Giuseppe Laterza, ci sono ancora gli intellettuali?
«Ci sono, ci sono. Ma per lo più si travestono da tecnici».




















































E come mai?
«Si vergognano,“intellettuale” pare diventato un insulto. Una che non si traveste è Anna Foa che con Il suicidio di Israele ha sfidato la sua stessa comunità: proprio in questa sala, di recente, ha sostenuto un confronto con persone di orientamento diverso, anche opposto, come Paolo Mieli, Giuliano Amato, Emanuele Fiano».

Lei e Alessandro, suo cugino, siete editori delle «cose gravi» secondo l’idea di Croce. Avreste mai scommesso sul pubblico da «concerto rock», come titolarono i giornali, per le vostre Lezioni di Storia?
«No, affatto. Quando con l’aiuto di Walter Veltroni sindaco di Roma iniziammo con le Lezioni all’Auditorium Parco della Musica ero terrorizzato dall’idea di non riempire una sala da mille posti. Arrivarono duemila persone e i vigili del fuoco a regolare l’afflusso!».

Chi sono i performer della cattedra?
«Ne posso citare alcuni: Alessandro Barbero, straordinario. Luciano Canfora, carisma portentoso. Eva Cantarella e Andrea Giardina, incantano. Stefano Mancuso conquista la platea di Pianeta Terra, il festival che organizziamo a Lucca».

Quando ha intuito il fenomeno Barbero?
«Al primo libro pubblicato con noi, trent’anni fa. E da allora, i suoi lettori sono costantemente cresciuti. Nel lockdown, su iniziativa di mia figlia Antonia, aprimmo un canale TikTok e la prima puntata fu un mio dialogo con Barbero: decine di migliaia di follower in pochi minuti».

Antonia e Bianca, quinta generazione Laterza, vi hanno reso «tech»?
«Non solo, il loro contributo sta dentro a un lavoro di squadra. All’altra mia figlia, Margherita, attrice e cantante dopo una laurea in filosofia, devo l’incontro con il filosofo comunitarista che ha influenzato il mio modo di guardare alla cosa pubblica, Michael Sandel. Di lui apprezzo l’onestà con cui restituisce anche le posizioni più lontane dalle sue».

Qualità che scarseggia nel dibattito pubblico italiano?
«Altroché. Si tende spesso a fare una caricatura di chi la pensa diversamente o, peggio, ad attribuirne le parole a malafede o ignoranza».

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Lei promosse la raccolta di firme contro la «legge Bavaglio».
«Durante un Salone del Libro insieme a due colleghi che stimo, Stefano Mauri e Marco Cassini, mi impegnai contro la legge voluta dal governo Berlusconi per bloccare nei giornali e nei libri la pubblicazione di notizie “scomode”».

Come andò?
«Firmarono tutti, anche le Edizioni Paoline, non la Mondadori. La legge non passò».

La laurea in Economia con Federico Caffè c’entra qualcosa con l’idea di fare della «scienza triste» un festival?
«Credo di sì. Quando ho pensato al Festival dell’Economia mi davano del matto. Fui incoraggiato da Innocenzo Cipolletta che mi presentò a Lorenzo Dellai, allora presidente della Provincia di Trento. Affidammo la direzione scientifica a Tito Boeri. Dopo 16 anni di successi, l’amministrazione leghista ha deciso di sospendere la collaborazione e siamo felicemente approdati a Torino».

Il dono più prezioso ricevuto da suo padre Vito?
«Nei trasferimenti da Roma a Bari, la sua Bmw blu diventava un ufficio viaggiante. Approvò in una di quelle occasioni l’idea del volume l’Uomo medievale. Poi mi mandò da solo da Jacques Le Goff a proporre la cura del volume. Era la mia prima volta. Il grande storico mi ricevette nella foresteria dell’École française, in Piazza Navona. Restò in silenzio istanti interminabili avvolto nel fumo della sua pipa prima di prendere carta e penna e scrivere in un lampo tutto il piano dell’opera. Le Goff diresse poi anche la collana Fare l’Europa, da noi ideata e progettata insieme a quattro case editrici europee. Caso unico».

Come nacque la Storia delle Donne?
«Sulla scia della Storia della vita quotidiana pensammo a questo progetto internazionale, la prima sintesi di tre decenni di studi di genere. Georges Duby e Michelle Perrot la diressero. Vendemmo i diritti in tutto il mondo».

Con le femministe americane se la vide brutta…
«Presentammo il piano a Parigi. In prima fila sedevano le storiche Natalie Zemon Davis, Olwen Hufton, Nancy Green e Joan Scott che chiese subito: “Come mai avete affidato la direzione anche a un uomo?”. Tremai. Michelle Perrot replicò: “Quella che ci accingiamo a scrivere è una storia dei rapporti di genere nei secoli. Ma il titolo è così efficace che andava tenuto” ».

«Modernità liquida» di Zygmunt Bauman è diventata un’espressione simbolo del nostro tempo. Cosa le ha insegnato il sociologo polacco?
«La curiosità verso il presente e l’apertura verso il futuro. Bauman è stato un grande amico, abbiamo condiviso molto più del lavoro e la differenza d’età, 30 anni, non si è mai fatta sentire. Mi torna spesso in mente un episodio curioso: Zygmunt già novantenne a casa sua a Leeds, dove si era trasferito già negli anni ‘60 per sfuggire alle persecuzioni agli ebrei, intento a partecipare a un’asta online di iPhone usati. Lui che non ne ha mai voluto uno! “Non mi serve uno smartphone — disse — mi interessa capire, accadono cose interessanti”».

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Un errore clamoroso che le è toccato ammettere?
«L’aver rifiutato Il secolo breve di Eric Hobsbawm, nostro autore, per l’anticipo stratosferico che ci fu chiesto».

Ma poi con Hobsbawm avete ricucito?
«Qualche anno dopo gli proposi di fare per noi “Intervista sul nuovo secolo” con Antonio Polito. Chiesi appuntamento a Gianni Agnelli, sapendolo un estimatore dello storico inglese. L’Avvocato iniziò la conversazione chiedendo a Hobsbawm cosa ne pensasse di Putin. “Sa — disse Agnelli — è passato qualche tempo fa qui a Villar Perosa. Si è fatto un bagno in piscina con i ragazzi. Ma devo dirle che più che un palestrato non ci è sembrato…”».

Un titolo del quale va fiero?
«Etica per un figlio, un long seller continuamente ristampato. Lo spagnolo Etica per Amador era intraducibile se non con effetti surreali. Amador è il figlio dell’autore, Fernando Savater. Anche lui un amico».

A proposito di autori-amici si narra di serate epiche a casa Laterza…
«Quando iniziai a lavorare, nei primi ‘80, mi resi conto che in ufficio incontravo le persone che passavano le serate dai miei: Ajello, Napolitano, Cederna, Sylos Labini, Bocca. Discussioni accanite che spesso diventavano libri. Si rideva anche tanto. Mia madre Antonella Chiarini, figlia di un uomo di cinema, aveva uno spiccato gusto dello spettacolo e del travestimento. Restò proverbiale una cena del 6 gennaio in cui Tullio De Mauro si presentò a sorpresa vestito da Befana. Ancor oggi le serate con mia moglie Karina, giornalista, e gli autori-amici ondeggiano tra dibattiti furiosi e grande ilarità».

Un tempo gli intellettuali si travestivano da Befana per far ridere, oggi da tecnici per sembrare seri?
«In un certo senso…».

Come sta l’editoria famigliare italiana?
«C’è una generazione di editori di grande qualità».

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Faccia nomi e cognomi.
«Sandro e Sandra Ferri di e/o, Antonio Sellerio, Carlo Feltrinelli, gli Enriques di Zanichelli. Della Passerelli con Sinnos, Emilia Lodigiani di Iperborea. Il già citato Mauri, esponente di una famiglia che ha fatto la storia dell’editoria. Molti di loro hanno figlie in posizioni rilevanti: si prepara, in Italia, una generazione di editrici».

I libri sono in crisi o no?
«Si dice siano in crisi dai tempi di Gutenberg, quindi direi di no».

Arriverà mai un ultimo libro?
«Due qualità essenziali dei libri sono l’immaginazione e l’immedesimazione. L’ultimo libro arriverà quando non riusciremo più a immaginare un mondo diverso e a immedesimarci in chi è diverso da noi».

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