il Canada scopre il nazionalismo economico

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In pochi giorni Donald Trump è riuscito a creare una forza politica inesistente: il nazionalismo canadese. La mossa del presidente Usa di imporre al vicino settentrionale degli Usa dazi graduali sino al 25% a partire dal 4 febbraio ha suscitato un’unanime condanna, a destra e sinistra, nel Paese guidato dal dimissionario premier liberale Justin Trudeau. E se Trump è riuscito, per ora, agitando la leva sanzionatoria, a ottenere l’ok di Gustavo Petro, presidente della Colombia, all’accettazione dei rimpatri dei migranti espulsi dagli Usa e a spuntare concessioni di riequilibrio tra Cina e Usa dal presidente panamense José Raul Molino, con il Canada è andata diversamente.

Trudeau si è mosso con un decisionismo inusuale per un leader dimissionario: dazi immediati su beni per un valore di 20 miliardi di dollari che entreranno in vigore martedì, seguite da imposte aggiuntive su prodotti dal valore di 85 miliardi di dollari pronte a entrare in azione tra tre settimane. “Il Canada domenica ha pubblicato un elenco dettagliato di tutti i beni statunitensi importati che saranno soggetti alla tariffa, tra cui centinaia di prodotti tra cui miele, pomodori, whisky e burro di arachidi”, nota il New York Times, aggiungendo che “nella lista c’erano anche indumenti, prodotti in porcellana come water e vasche da bagno, nonché frigoriferi e lavastoviglie”.

Il nazionalismo economico è stato abbracciato da una grande economia del G7 che ha deciso di reagire alle mosse di Trump contrattaccando con una mossa uguale e contraria e non rifiutando lo scontro. Semmai l’opposto: The Donald vuole ridurre il deficit commerciale americano con i partner spingendo il Canada a comprare più beni americani e sfruttando la regola del trattato Usmca che consente dazi al 25% per ragioni di sicurezza nazionale? Bene, il Paese nordamericano è compatto nell’accettare lo scontro.

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La sfida canadese

Da un lato, l’avversario di Trudeau, il leader del Partito Conservatore Pierre Poilievre, pone l’accento sulla necessità di unificare in forma patriottica il Paese, abbattendo ogni barriera e favoritismo delle province del Canada ai propri prodotti e servizi locali per rafforzare il commercio interno e superare il particolarismo nazionale. “L’anno scorso, beni e servizi per un valore di oltre 530 miliardi di dollari canadesi sono stati movimentati attraverso i confini provinciali e territoriali, rappresentando quasi il 20 percento del Pil canadese”, nota il Financial Times, sottolineando che “l’eliminazione di queste barriere potrebbe potenzialmente aggiungere fino a 200 miliardi di dollari canadesi all’economia canadese”, paradossalmente ancora lontana dall’essere veramente unita

Dall’altro, è il Partito Liberale di Trudeau, progressista, la formazione più aggressiva: Chrystia Freeland, ex titolare delle finanze che si è dimessa in polemica con Trudeau accusandolo di sottovalutare la sfida di Trump, ha invitato a “boicottare i prodotti americani” e a fare un danno a “Trump e i suoi amici miliardari”. Per l’ex giornalista del Financial Times, l’invito è chiaro: “se potete, comprate prodotti canadesi. E fate del vostro meglio per non comprare prodotti realizzati negli Stati Uniti”, ha detto in uno sfoggio di nazionalismo economico non indifferente.

Del resto, la scelta di Trump non sembra, per ora, governata da ratio strategica se non la volontà di mostrare la maggiore competitività americana in termini monetari e commerciali rispetto al resto del mondo. Ottawa ha iniziato a rispondere e sta per ora escludendo le aree dove potrebbe colpire più duramente, soprattutto sul fronte delle materie prime. “Il Canada è la principale fonte di importazioni di minerali degli Stati Uniti, fornendo fonti chiave di uranio, alluminio, nichel, acciaio, rame e niobio”, ricorda il Centre for Strategic and International Studies (Csis). Ottawa lo scorso anno “ha rappresentato 47 miliardi di dollari di importazioni di minerali dagli Stati Uniti”. Il Csis segnala ad esempio che gli Usa assorbono il 75% della produzione di alluminio canadese, che l’uranio di Ottawa alimenta anche i loro reattori e che non hanno una sola raffineria di nichel sfruttando l’interdipendenza col vicino del Nord.

Rischio autogol per gli Usa?

Se il Canada volesse, potrebbe colpire duramente su questo fronte, ragiona il Csis. Colpendo settori critici per gli Usa come quello della difesa se le prossime mosse includeranno stop all’export di materie prime critiche o rincari sulle esportazioni verso Washington: per fare il solo esempio del nichel, la Difesa sarebbe molto impattata perché “le leghe di nichel sono una parte essenziale di munizioni e armi. Il nichel è utilizzato per involucri di missili e sistemi di guida grazie alla loro durevolezza e all’elevata resistenza al calore. È anche una parte importante dell’energia richiesta per applicazioni di difesa: il nichel è utilizzato nelle batterie di livello militare , tra cui batterie al nichel-cadmio e al nichel-metallo idruro” (nel report, consigliato, altri esempi).

In tempi di competizione geopolitica tra l’Occidente e i suoi rivali non c’è dubbio che una guerra commerciale diffusa tra le due economie più integrate tra loro del G7 avrebbe l’effetto di una slavina economica e geopolitica. Il Canada, reagendo alla sfida americana, si mostra coeso come Paese ed è disposto a non cedere: cosa vorrà fare Trump di fronte a un’inattesa reazione? Bisognerà capire se la Casa Bianca agisce tatticamente, mirando a far pesare la competitività americana alzando il costo delle merci esterne, o se la strategia è orientata a ridisegnare gradualmente le catene del valore globali. Se questa seconda strada sarà seguita, una rivalità col Canada potrebbe apparire come un’inattesa novità. Il nuovo nazionalismo canadese, giocoforza, indebolirà la relazione speciale Washington-Ottawa. E di conseguenza rischia di aprire maglie al contenimento di rivali (leggi: Cina) che gli Usa vogliono tenere fuori dalle filiere critiche per economia e sicurezza nazionale. Una conseguenza decisamente inattesa e potenzialmente dannosa per lo sviluppo degli States.

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