Mistificazione | Stefano Bartezzaghi

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«Ritrovate! Un colpo di scena formidabile: ecco le fotografie perdute di Robert Capa, quelle del D-Day. Pareva ne fossero sopravvissute solo undici a quel presunto, leggendario disastro nel laboratorio di sviluppo, invece eccole qui: c’è perfino il provino a contatto di tutto il rullino».

Comincia così un’interessante intervista condotta per Repubblica da Michele Smargiassi (25.XI. 2024). L’intervistato è un artista di New York che con la mostra “We Are at War” partecipava al festival Planches Contact di Deauville. Di quale guerra si parla? In apparenza è quella dello sbarco in Normandia a cui si riferiscono leggendarie fotografie di Capa andate smarrite per un incidente in fase di sviluppo. Ma, aggiunge subito Smargiassi, quelle foto del 1944 in realtà «a Phillip Toledano, fotografo di New York, è bastato commissionarle, con qualche supervisione, all’intelligenza artificiale. È stato facile: “Le ho fatte sul mio cellulare. Quando ti viene un’idea, puoi coglierla al volo ovunque tu sia”». Quella di cui si parla non è insomma la guerra per liberare l’Europa dal nazifascismo: è piuttosto la Guerra del Falso, per citare Umberto Eco che in omaggio al film La Guerre du Feu del suo amico Jean-Jacques Annaud intitolò La Guerre du Faux una raccolta francese di suoi saggi.

Nella situazione geopolitica globale contemporanea la metafora della guerra potrebbe certo apparire macabra e irrispettosa, eppure non pare del tutto inopportuna, se si considera che cosa effettivamente comporti il proliferare non soltanto di falsi fatti ma dei mezzi e delle opportunità di mistificazione messi a disposizione dall’Intelligenza Artificiale.

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La manipolazione delle immagini ha una lunghissima tradizione. Il primo esempio che la mia memoria personale mi suggerisce è quello della fotografia su una copertina di Panorama (annata 2003) in cui l’allora presidente del Consiglio (nonché proprietario della casa editrice del settimanale) Silvio Berlusconi appariva con una capigliatura priva di lacune, a differenza che in altre pubblicazioni della medesima fotografia. A dare sintomatica suggestività fu il modo in cui il direttore del settimanale, Carlo Rossella (che dall’episodio ebbe problemi con l’Ordine dei Giornalisti), respinse l’accusa di avere artificiosamente migliorato l’aspetto del suo editore: disse che lui aveva pubblicato la fotografia com’era, e erano semmai gli altri giornali che avevano cancellato i capelli a Berlusconi.

Di due immagini che non possono essere entrambe vere una lo sarà e l’altra no. Ma come decidere quale? La Gioconda vera è quella coi baffi di Duchamp o quella senza di Leonardo? La risposta è facilissima perché le vicende delle due opere sono documentate, ma anche perché si tratta appunto di una falsificazione, anche se non a fini di contraffazione.

Nel caso della IA è ancora adeguato parlare di falsificazione? Il caso è dubbio, poiché lì non sempre si parte da un manufatto per cambiarne i connotati e quindi falsarlo (come nella foto truccata, o nell’opera di Duchamp). Al prompt di un utente risponde la generazione di immagini (fisse o in movimento) che è resa possibile dall’elaborazione di dati di un immenso database. Ciò che ne esce è una sintesi a cui hanno contribuito apporti molteplici, indecifrabili, non ricostruibili, perfettamente integrati. Ne scaturisce la rivelazione di un mondo possibile (ed equiprobabile per definizione e verosimiglianza visiva) a quello percepibile direttamente o tramite fotografie e video ordinari.

Il video in cui Elon Musk e Giorgia Meloni camminano a Parigi durante la cerimonia di inaugurazione della cattedrale di Notre-Dame e interrompono i loro passi per baciarsi appassionatamente non è soltanto una “falsificazione”: è la costruzione di una realtà alternativa con un ritocco, è qualcosa di diverso. Potrebbe dunque essere più opportuno parlare di “mistificazione”, termine che descrive quell’attività generativa come produzione di “mistero” (il vocabolo nacque per una burla in cui a un sempliciotto fu fatto credere che il re di Prussia gli avrebbe affidato l’educazione del principe). “Mistero”, da cui discende anche “mistica”, il suo etimo allude all’iniziazione a segreti, per cui occorre serrare gli occhi e le labbra, per mostrare di non conoscerli e per non rivelarli (la radice greca “mýein”, chiudere, è la medesima di “miope”).

Potremmo allora considerare la mistificazione come un’attività che certamente contempla aspetti di falsificazione e che come la falsificazione finisce per configurare un piano di realtà non corrispondente a quello oggettivamente verificabile tuttavia agisce non tanto, o esclusivamente, come variazione del reale bensì come costruzione di un reale alternativo e parallelo. È una mistificazione, per esempio, la vicenda, spaventosa, narrata da Emmanuel Carrère nel suo L’avversario: il protagonista ha certamente dovuto operare falsificazioni “puntuali” per farsi credere medico e titolare di un impiego prestigioso, producendo per esempio documenti o bugie circostanziali. Ma ha compiuto queste falsificazioni nel quadro di un segreto ben più ampio: le sue menzogne erano come pennellate di un quadro mistificatorio, espedienti plastici per rivestire un segreto.

La differenza è nota: la menzogna è far apparire ciò che non è; il segreto è non far apparire qualcosa che è. Che segreto nascondono le immagini prodotte dall’IA? Quando non è denunciata per ragioni artistiche, come nel caso di Toledano e delle fotografie attribuite a Capa, o satiriche, la produzione artificiosa di immagini perfettamente verosimili grazie all’IA è mistificante. Non soltanto impone ai nostri occhi un’apparenza menzognera di realtà e ci fa credere che esista qualcosa che non esiste ma cancella le tracce del modo in cui è stata prodotta, non dichiara la propria enunciazione e si presenta come oggettiva. Quando la sua generazione artificiale ci è nota le immagini si caricano di un’aura appunto di mistero: come può un apparato tutto sommato meccanico avere prodotto qualcosa di tanto simile alla realtà? Se nella sua produzione agisce un’enunciazione, questa non appare. I parametri con cui ci arrabattiamo ordinariamente per distinguere il vero dal falso sembrano rispettati. Tutto ci sembra indistinguibile da ciò che consideriamo oggettivo.

Eppure qualcuno ha compilato un prompt per chiedere a un software di produrre un video in cui Meloni e Musk si baciano, così come qualcuno ha predisposto database e algoritmi per catturare, assemblare, sintetizzare immagini dei due personaggi e di baci, e qualcuno ha poi distribuito il video prodotto lungo i canali della comunicazione digitale telematica. Se lo ha fatto per arte, per satira, per orgoglio della propria sapienza e arguzia tecnologia avrà prodotto un falso non diverso dalle prime pagine dei quotidiani emulate dal settimanale satirico il Male negli anni Settanta. Ma se lo ha fatto per far credere che Meloni e Musk si siano effettivamente baciati e anzi per offrire dell’esempio una prova documentale allora la sua menzogna sostiene il segreto: che è il segreto della soggettività dell’enunciazione, celata dietro l’apparente impersonalità della comunicazione telematica che diviene “virale”. Se Umberto Eco aveva definito il segno come tutto ciò che può essere usato per mentire, il suo allievo Claudio Paolucci ha definito “persona” (anche nel senso etimologico, teatrale e semiotico di “maschera”) come “chiunque sia in grado di impiegare segni per mentire”. Quando la menzogna diventa mistificazione la persona è del tutto cancellata: il prodotto della sua enunciazione – falso ma indistinguibile dal reale, artefatto ma senza tracce della sua facitura ad arte, programmato ma senza tracce di intenzionalità umana – appare come qualcosa che è. Non ne è visibile la soggettività, quindi deve essere oggettivo.

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“Ma sei sicuro che Musk e Meloni si siano baciati?”.

“Sì, certo: l’ho visto coi miei occhi”.

Prompt, Chi parla? Voci raccolte da Stefano Bartezzaghi, speciale in collaborazione con MAgIA, Magazine Intelligenza Artificiale. Leggi la rivista qui.

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Stefano Bartezzaghi | Falso



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