Deep Seek perché tanto rumore?

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La scorsa settimana gli argomenti non sono mancati; tuttavia, il nuovo modello di intelligenza artificiale cinese ha dominato la scena da diversi punti di vista, riempiendo le pagine di tutti i media del mondo. Francamente mi sembra che sia uno di quei casi in cui tante piccole notizie ne fanno una grande. Prese singolarmente è difficile considerarle degne di tanta risonanza. Partiamo dalla prima. La start-up cinese Deep Seek rilascia un nuovo modello apparentemente molto più efficiente di quelli di qualsiasi altro concorrente. Perché stupirsi? L’unica buona ragione sembrerebbe essere quella che non ci sono arrivati prima gli Stati Uniti. In effetti la soluzione tecnica è nota perché si tratta di un Mixture-of-Experts (MoE) in cui si suddivide il processo di apprendimento tra più esperti specializzati. In parole povere, invece di funzionare tutto insieme si attivano soltanto le componenti che servono per un dato compito. Il paragone non è del tutto proprio, ma immaginate una casa in cui il riscaldamento e la luce sono attivi soltanto nelle stanze abitate. Altri MoE noti sono quelli delle americane Google e OpenAI e della francese Mistral; quindi, l’unica vera novità sarebbe il miglioramento dell’efficienza, ma dovremmo essere abituati alla rapida evoluzione delle tecnologie informatiche. In fondo, nel secolo scorso siamo passati da computer che occupavano un palazzo a dispositivi molto più potenti che entravano in una valigia in un paio di decenni. La seconda notizia riguardava la censura. Onestamente il fatto che un’intelligenza artificiale cinese non risponda a domande sui fatti di piazza Tienanmen del 1989 mi sembrava piuttosto scontato. Mi limito a citare i “Basic security requirements for generative artificial intelligence service” pubblicati dall’Ente nazionale cinese per la standardizzazione della sicurezza. All’articolo 4 si legge che l’erogazione e l’uso di servizi basati su AI generative erogati in territorio cinese deve: “aderire ai valori socialisti, evitare qualsiasi possibilità di utilizzo per sovvertire o incitare alla sovversione dell’ordine costituito…”. In generale, domandarsi se un’intelligenza artificiale può essere neutrale è come chiedersi se il Ku Klux Klan possa essere tollerante in tema di razza. Veniamo ora alla terza notizia. Sono stati avanzati dubbi sul rispetto della privacy degli utenti. Salvo una svolta epocale di questi ultimi giorni e questa sarebbe decisamente una “Notizia” con la “N” maiuscola, lo stato di Pechino si pone al sopra di qualsiasi norma in materia di privacy e di protezione dei dati e, non a caso, i cittadini cinesi sono ufficialmente quelli di gran lunga più sorvegliati del mondo. Su questo fronte nulla di stupefacente. Procediamo, quindi, con la quarta. Legato al tema della protezione dei dati ci sono stati gli incidenti che hanno coinvolto i sistemi di Deep Seek. Il primo è stato un pacchiano errore di configurazione che consentiva l’accesso senza autenticazione a un database contenente milioni di log degli utenti che accedevano al servizio. Il secondo riguarda una serie di attacchi DDoS che sovraccaricando i sistemi li rendeva instabili o irraggiungibili. Anche in questo caso si tratta di un tema noto per cui la sicurezza cyber arriva sempre dopo e non si capisce perché stupirsi se capita anche a una start up cinese che, come le altre, viaggia forse un po’ troppo veloce. Ultima notizia. Ci sono dubbi di varia natura sul fatto che il modello sia tanto efficienti. Da un lato alcuni dicono che i soli 5,6 milioni dollari di investimento dichiarati da Deep Seek siano incongrui; dall’altro c’è chi come OpenAI accusa la start up di avere indebitamente utilizzato le sue tecnologie. In entrambi i casi mi sembra una storia che sistematicamente si ripete in un mercato capitalista e concorrenziale. Per tali questioni il tempo e forse i tribunali ci daranno una risposta. In realtà qualcosa di particolare lo intravedo perché l’annuncio di un modello di AI iper-efficiente arriva all’inizio dell’anno in cui molte aziende si apprestano a fare i conti per capire se, dopo l’entusiasmo iniziali e il lancio di centinaia di “progetti algoritmici”, vale la pena continuare a investire. Qualche tempo fa proprio qui riferivo di un report di una nota società di analisi di mercato secondo il quale nel 2025 almeno il 30 per cento dei progetti basati sull’IA sarebbe stato abbandonato. Come sempre si tratta di una semplice coincidenza.

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