È possibile eliminare le tasse grazie ai dazi come dice Trump?

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C’era un tempo, prima del 1913, in cui potevi tenerti ogni centesimo guadagnato. Non dovevi presentare la dichiarazione al governo federale, dicendo quanto guadagnavi e dando “allo Stato” la sua parte. Le tue finanze erano solo affari tuoi. Avevi il diritto di guadagnare, possedere e mantenere la tua proprietà. E questo era sacrosanto: garantito dalla legge e dalla tradizione degli Stati Uniti. Non c’erano verifiche, indagini, blocchi di conti correnti, ritenute o altre forme di pagamento. C’eri tu con la tua produttività, punto.

E come si finanziava il governo? Con i dazi. I dazi pagati direttamente dagli importatori e, indirettamente, da produttori e consumatori quando i costi potevano essere trasferiti. Come strategia fiscale, questo è un approccio relativamente non invasivo e che lascia in pace la gente.
A quei tempi, tuttavia, il governo federale degli Stati Uniti quasi non esisteva rispetto a oggi. Più precisamente, in termini reali, nel 1885 il governo federale spendeva in dollari (attualizzati per l’inflazione) circa lo 0,05 percento di quanto spende oggi. E già allora le persone credevano che fosse troppo e  chiedevano che venisse ridimensionato.

Il presidente Donald Trump recentemente sta istruendo le persone sulla storia delle strategie fiscali su qualcosa che non si sapeva: ha spiegato come questo periodo della storia degli Stati Uniti, cioè prima del 1913, abbia visto la più grande crescita economica mai vista in America. Ha ragione su questo. E ha anche ragione sul fatto che quella era l’era dei dazi.

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La causa e l’effetto, tuttavia, sono poco chiari. I temi principali di questo periodo erano la libertà e la moneta sana. Il dollaro era governato dal gold standard e non c’era una Banca Centrale. Il governo federale stesso non era presente nella vita della famiglia statunitense o delle tipiche aziende statunitensi. Questi fatti, più dei dazi, spiegano la differenza tra allora e oggi.

Per inciso: io non ricordo un altro presidente degli Stati Uniti che abbia avuto un’opinione così chiara sulla storia economica del XIX secolo. La maggior parte dei commenti dei presidenti si sono limitati a devozioni sui Padri Fondatori o Lincoln, ma hanno tralasciato dettagli riguardanti fonti di reddito o controversie riguardanti banche nazionali e simili. Trump è chiaramente diverso, molto fiducioso in questi dettagli della Storia che sono persi persino per la maggior parte degli economisti.

Trump ha spiegato che l’imposta sul reddito è arrivata nel 1913 come sostituzione dei dazi. Ciò è corretto nella progettazione, ma la realtà storica era leggermente diversa. I dazi non sono stati aboliti del tutto. L’imposta sul reddito è semplicemente diventata una seconda e aggiuntiva fonte di entrate. Poi è arrivata la prima guerra mondiale, finanziata in gran parte dalla banca centrale (la Federal Reserve) che è stata creata lo stesso anno.

L’imposta sul reddito e la Fed divennero la fonte finanziaria del potere del Leviatano. Entrambe arrivarono nel 1913, insieme all’elezione diretta dei senatori che fece saltare la struttura bicamerale del Congresso e mise le grandi città a capo dell’equivalente statunitense della Camera dei Lord.

La lezione di Storia di Trump apre l’opportunità di esaminare tutto questo più da vicino. Rispetto al XIX secolo, sembra schierarsi con il punto di vista di Alexander Hamilton ereditato da Henry Clay, il senatore della Virginia che sostenne quello che venne chiamato “il sistema americano”, ovvero una politica di dazi protezionistici, una banca nazionale e sussidi federali per miglioramenti interni, e per promuovere la crescita economica e la coesione nazionale.

Questo è un buon riassunto di quella che sembra essere la posizione di Trump. In termini storici, la visione di Clay contrastava con la visione jeffersoniana, che favoriva un governo minuscolo, il libero scambio, nessuna banca nazionale, nessun sussidio industriale e una società di piccoli agricoltori che fungesse da motore economico.

Oggigiorno, i dibattiti tra jeffersoniani e hamiltoniani sembrano molto meno rilevanti per la situazione attuale. Sia Hamilton che Clay sarebbero inorriditi dalle dimensioni e dalla portata del potere del governo e si unirebbero volentieri a Jefferson e John Randolph di Roanoke per ridimensionare la Bestia. Questa sembra essere la vera ambizione di Trump: essere un agente di cambiamento che renda di nuovo gestibile il governo federale.
In tutto questo, Trump ha lanciato l’idea di abolire l’imposta sul reddito. E tutti hanno detto sì! Ma, naturalmente, questo finirebbe per negare enormi quantità di entrate al governo federale. E si possono fare tutti i calcoli che si vogliono, ma è semplicemente impossibile che i dazi possano compensare la differenza. L’unica soluzione, quindi, è quella di fare tagli massicci alla spesa pubblica, cosa che persone come Elon Musk hanno promesso. Ma stiamo aspettando di vedere cos’hanno in mente.

Ripetiamo: l’ultima volta che il governo è stato finanziato interamente da dazi, la spesa pubblica era solo lo 0,05 percento di quella odierna. Se mai riuscissimo a tagliarla così tanto… fantastico! Ma non è mai successo niente del genere nella Storia degli Stati Uniti. Mai. Di solito, quelli che Washington chiama “tagli” sono in realtà solo tagli al tasso di aumento della spesa. Senza tagli reali e con una riduzione o eliminazione dell’imposta sul reddito, gli Stati Uniti finiscono semplicemente con più debito, che poi è finanziato dalla Federal Reserve. E questo si traduce sempre in più inflazione, che poi non è altro che una forma di tassazione diversa e più subdola: invece di toglierti direttamente i soldi, il governo riduce semplicemente il potere d’acquisto della moneta.

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Torniamo all’idea di abolire l’imposta sul reddito: il miglior caso di studio mai realizzato, è stato scritto da un grande giornalista di nome Frank Chodorov (1887-1966) nel suo meraviglioso libro The Income Tax: Root of All Evil, dove parla del 16esimo Emendamento della Costituzione: «[Esso, ndr] non pone limiti all’appropriazione governativa. Il governo può, per legge, prendere tutto ciò che il cittadino guadagna, anche fino al punto di privarlo di tutto ciò che vada oltre la mera sussistenza, che deve concedergli affinché possa produrre qualcosa da confiscare. In qualunque modo si giri questo emendamento, si arriva al fatto che conferisce al governo un privilegio prioritario su tutta la proprietà prodotta dai suoi sudditi. In breve, quando questo emendamento diviene parte della Costituzione, nel 1913, il diritto assoluto di proprietà negli Stati Uniti viene violato».

E ancora: «Di nome, era una riforma fiscale. Di fatto, era una rivoluzione. Perché il Sedicesimo Emendamento corrose il concetto americano di diritto naturale; alla fine ridusse il cittadino americano allo status di suddito, tanto che non ne è consapevole; rafforzò il potere esecutivo al punto da ridurre il Parlamento all’innocuità, e permise al governo centrale di corrompere gli Stati, un tempo unità indipendenti, per sottometterli. Nessuna monarchia nella storia del mondo ha mai esercitato più potere della nostra presidenza, o ha avuto a disposizione più ricchezza del popolo. Noi abbiamo mantenuto le forme e il frasario di una repubblica, ma in realtà viviamo sotto un’oligarchia. E non di cortigiane, ma di burocrati».

L’abolizione dell’imposta sul reddito ripristinerebbe il diritto di proprietà, ripristinerebbe il diritto all’impresa e ripristinerebbe la privacy dei cittadini statunitensi: il diritto di non essere spiati e arbitrariamente spennati dal potere governativo.

“L’elettorato” che favorirebbe una cosa del genere negli Stati Uniti è praticamente chiunque! Perché, allora, nessun presidente ha mai promosso un’idea del genere? Proprio perché farlo è incredibilmente illuminante e accresce la consapevolezza. Costringe il popolo degli Stati Uniti a rendersi conto che il governo sta vivendo a sue spese. Ma, per qualsiasi istituzione politica, spadroneggiare su una popolazione che sia appena consapevole di questo, è pericoloso.

Non si può aggirare la matematica. Se stiamo davvero parlando di eliminare le imposte sul reddito, non esistono dazi abbastanza alti da compensare la differenza. E quindi non c’è altra scelta che tagliare drasticamente la spesa pubblica. Il congelamento del bilancio, il congelamento delle nuove assunzioni, il congelamento delle sovvenzioni in uscita… Tutto questo punta nella giusta direzione. Non possiamo escludere la possibilità che l’amministrazione Trump ci porti nella direzione giusta.

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