PORTA D’ORIENTE Anche Sebastia tra le vittime della violenza in Cisgiordania

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Milano (AsiaNews) – Un patrimonio storico e culturale da riscoprire, preservare e tramandare alle future generazioni per mantenere viva la ricchezza di un passato che testimonia l’avvicendarsi di epoche e dominazioni. Una terra contesa in cui, sull’onda della guerra a Gaza, si registrano tensioni crescenti fra palestinesi e israeliani, con i coloni – sostenuti dall’esercito – che moltiplicano gli attacchi. E a morire sono i più giovani come successo nelle scorse settimane, con l’uccisione di quattordicenne. Un lavoro che vede protagonisti (anche) archeologi internazionali e organizzazioni cristiane, che operano in un contesto critico seguendo direttive ben precise come spiega ad AsiaNews la docente, storica dell’arte e responsabile dei progetti culturali di Pro Terra Sancta Carla Benelli: “Un lavoro faticoso, che funziona. Partendo dai bambini, raccontando loro in modo corretto la storia, utilizzando parole chiave che sono: rispetto, moderazione, equilibrio. Trovare – prosegue – quel giusto compromesso che rispetti e non umili l’altro”.  

Sebastia: ‘caso’ simbolo

Il villaggio di Sebastia, situato circa 10 km a nord-ovest di Nablus in Cisgiordania, rappresenta per molti versi un “simbolo” di ricchezze, drammi e conflitti irrisolti che vede opposti israeliani e palestinesi in una Terra Santa, e martoriata, per cristiani, ebrei e musulmani. Popolata sin dal quarto millennio avanti Cristo dai Cananei, essa è fra i siti più antichi con popolazione stabile nella regione, mentre il nome deriva dal re israelita Omri che si impadronisce della collina e la ribattezza Samaria. Importante centro economico e culturale che incrocia le montagne del nord e la valle del Giordano, nel tempo vede alternarsi le dominazioni assire, babilonesi, persiane, poi Alessandro Magno – che la distrugge e ricostruisce – e l’imperatore romano Augusto che la cede a re Erode di Giudea. Ed è lui a darle il nome di Sebaste, in suo onore. Nella fase successiva si alternano i domini bizantini, abbasidi, crociati, Ayyubidi, Mamelucchi e Ottomani. Poco fuori il perimetro della città antica, vi è poi quella che la tradizione locale identifica come la tomba di Giovanni Battista sulla quale si svilupparono prima una basilica e oggi una moschea, pur essendo rimasta uno dei luoghi più simbolici di pellegrinaggio cristiano nell’area. 

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Contesa per millenni dai vari imperi che si sono succeduti, Sebastia è lo specchio del passato e del presente della Palestina, un lembo di terra fra mare e fiume, luogo di mezzo fra Europa, Africa e Asia, anche oggi è ambito e conteso da israeliani e palestinesi. Fonti diplomatiche di AsiaNews a Gerusalemme, dietro anonimato, ricordano come anche nella zona continui a scorrere sangue e di come, dall’attacco di Hamas a Israele, si siano moltiplicati incursioni e violenze degli occupanti. “Coloni e soldati – racconta – tutte le sere fanno irruzione in alcune parti del villaggio. La scorsa settimana i soldati israeliani hanno aperto il fuoco e hanno ucciso un ragazzino palestinese di soli 14 anni, chiamato Ahmad Rashid Rushdi Jazar. I proiettili esplosi dai militari lo hanno centrato al petto e a nulla è valsa la corsa in ospedale, le ferite erano troppo gravi”. Una vicenda emblematica, ma non certo isolata perché, come denuncia lo stesso sindaco Mohammad Azem, l’esercito è solito fare irruzioni “sparando proiettili, gas lacrimogeni e granate ai cittadini e alle loro case, aprendo il fuoco e uccidendo minori, ferendone molti altri”.

Da Nablus a Hebron, da Ramallah a Gerusalemme est si sta consumando un secondo conflitto oscurato, almeno sinora, dalle devastazioni di Gaza. “La morte del bambino – riprende la fonte di AsiaNews – non fa più notizia” perché alle 48mila vittime circa nella Striscia, si sommano gli oltre 860 morti in Cisgiordania dal 7 ottobre 2023. “Ed è proprio la Cisgiordania – prosegue – il vero interesse di Israele, perché Gaza può valere da un punto di vista economico, per i giacimenti al largo della costa, ma sul piano religioso e spirituale a contare sono ‘Giudea e Samaria’. Questo è il cuore del conflitto: per coloni e religiosi, presenti nell’attuale esecutivo israeliano, sono i luoghi della Bibbia e rivestono un interesse maggiore della Striscia”. 

Archeologia, risorsa e ossessione

In una regione in cui religione, storia e tradizioni diventano elementi di contrasto, anche l’archeologia si trasforma in un fattore di tensione, tanto che alcuni studiosi parlano di “ossessione nazionale” per Israele dopo la fondazione dello Stato nel 1948. Le operazioni di scavo hanno registrato un’accelerata dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, interessando anche Gerusalemme est e Cisgiordania in violazione della Convenzione dell’Aia del 1954 e delle direttive Unesco che tutelano beni culturali sotto occupazione militare. E ancora oggi, spiegano gli osservatori, il governo di Benjamin Netanyahu utilizza l’archeologia come arma per “consolidare” l’occupazione. In particolare, il sito di Sebastia è inserito nella lista dei parchi israeliani dal 1967 e nemmeno gli Accordi di Oslo del 1993 ne hanno modificato la natura, perché parte del sito in area C è stato incluso in una lista di 12 aree si “importanza storica” per lo Stato ebraico. Il congelamento del processo di pace ha bloccato anche la creazione di un comitato congiunto israelo-palestinese per la gestione, lasciandolo in mano israeliana che ha annunciato, nell’ultimo biennio, un piano di investimenti e sviluppo milionario che comprende anche Sebastia. 

La controversia attorno al sito, spiega Carla Benelli, è “sintomatica dell’attaccamento alla terra, di come la storia e l’archeologia, ma soprattutto la religione siano argomenti [utilizzati] per acquisire risorse, anche quelle del passato che sono fra le più importanti”. La Cisgiordania, prosegue la storica dell’arte, che “per gli ebrei radicali è la Giudea e Samaria e ha un legame diretto con la Bibbia” è parte integrante di questo conflitto. È in atto un tentativo, prosegue, di “renderlo un luogo importante per la nazione ebraica, con investimenti milionari di valorizzazione” anche a discapito del villaggio palestinese in cui si registrano con frequenza sempre più crescente gli attacchi di coloni ed esercito. Ciononostante, gli operatori di Pro Terra Sancta – assieme al comune e Mosaic Centre – continuano i progetti valorizzando quanto di prezioso offre l’area: “Dal villaggio di 3mila abitanti abbarbicato sulla collina, al sito che ne domina la cima, la necropoli, la tomba di san Giovanni Battista e i resti del palazzo di re Omri – racconta Carla Benelli – fino al foro romano che rappresenta idealmente la divisione fra villaggio e area C”.

Un patrimonio comune 

L’obiettivo di lungo periodo – o quantomeno la speranza – è che l’archeologia e il patrimonio culturale possano diventare un bene “comune” per israeliani e palestinesi, per cristiani, ebrei e musulmani. Lasciandosi alle spalle abusi, violenze e sopraffazioni, o anche solo accuse pretestuose come quelle mosse da Israele ai palestinesi di Sebastia “colpevoli” di “non valorizzare” i luoghi della Bibbia e, per questo, legittimando un intervento di esproprio e la cacciata dei locali. Un approccio che non riguarda solo lo Stato ebraico perché, sempre in quel contesto, vi sono autorità palestinesi e leader locali che arrivano a negare una presenza ebraica nel passato, commettendo un falso storico anche di fronte alle evidenze.

Per chiarire l’approccio degli studiosi in un quadro così complesso, richiama le parole di p. Michele Piccirillo: “Ho collaborato a lungo con lui – ricorda Carla Benelli – e usava affermare che se vogliamo salvare le comunità cristiane di questi territori, dobbiamo partire proprio dalla condivisione del patrimonio culturale [cristiano e non], che non può essere di esclusiva proprietà”. “Non dobbiamo commettere gli stessi errori – prosegue – perché [i siti] sono un patrimonio di tutte le comunità che oggi vivono questi territori, che vanno conosciuti e valorizzati non solo in una prospettiva di pellegrinaggi e turismo religioso, che pure porta benessere”. A partire dalla tomba di san Giovanni Battista, profeta riconosciuto anche dalla tradizione islamica, nel caso di Sebastia o dei lavori in atto a Betania, sulla tomba di Lazzaro, che si trova sotto la moschea. “Dobbiamo fare in modo che anche la comunità musulmana apprezzi la storia, non la cancelli ma ne consideri il valore culturale, sociale ed economico. Questo – conclude – è l’approccio virtuoso, che unisce cristiani, musulmani ed ebrei in un mondo pacifico, ricordando che il proprio fratello o sorella, seppur di fede diversa, gode degli stessi diritti. La sopravvivenza propria e del patrimonio storico e culturale passa attraverso la condivisione, non l’esclusività”. 

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