VERTENZA VENATOR/ La posizione della Cgil al tavolo di crisi ministeriale

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Cgil e Filctem: «Crisi conclamata. C’è l’impegno a interloquire con Venator Corporate. Abbiamo chiesto l’azienda rompa gli indugi: piano industriale subito, oppure venda l’impianto »

Scarlino: Considerata la rilevanza per l’intero territorio, al tavolo di crisi al Mimit a Roma erano presenti la segretaria generale della camera del lavoro, Monica Pagni, il segretario provinciale di Filctem, Fabrizio Dazzi, il rappresentante Filctem nella Rsu, Riccardo Tosi, il membro la segreteria regionale della Cgil Fabio Berni e il segretario della Filctem regionale Gianluca Persico.

«Questo primo approccio – spiegano gli esponenti di Cgil e Filctem – è stato ovviamente di natura interlocutoria, in vista di successivi sviluppi. Come ci aspettavamo al tavolo non era presente Venator Corporate, mentre si è presentato il management della controllata Venator Italy srl. L’azienda ha descritto le cause della crisi e le modalità che hanno portato al fermo impianto da ormai 18 mesi e ribadito le proprie difficoltà di natura finanziaria che non permettono al momento il mantenimento in stand-by dell’impianto ed i lavoratori in “contratti” di solidarietà” oltre il 30 Giugno. Su questo fronte si attende lo sblocco di un credito verso il ministero dell’Ambiente legato alla rivalutazione dei “certificati bianchi” riguardanti le emissioni di CO 2 che potrebbe portare un po’ di liquidità nelle aride casse aziendali.

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Nella discussione con i rappresentanti del ministero Giampiero Castano, consigliere del ministro, e Mattia Losego, responsabile della struttura per le crisi d’impresa, è emersa la priorità di rilanciare la fabbrica e garantire la produzione del biossido di titanio in Italia e l’occupazione nella provincia di Grosseto. Ma anche come sarebbe stato opportuno attivare il tavolo del Ministero già da molto tempo come Cgil e Filctem hanno più volte sottolineato.

I rappresentanti del Ministero sono apparsi subito ben preparati e interessati ad approfondire tutti gli aspetti della vertenza, hanno dichiarato di volersi avvalere della collaborazione del management di Venator Italy per poi interloquire con il capogruppo inglese Venator Corporate che è il vero nodo della vicenda.

La Multinazionale deve infatti decidere come gestire il proprio impianto produttivo di Scarlino, può decidere tra rilancio, investimento o dismissione, ma non può continuare a “non decidere” come adesso, lasciando al lento declino e degrado sia gli impianti che i lavoratori ancora presenti. Venator ha infatti responsabilità anche verso il territorio e la comunità per cui non potrà permettersi di lasciare un impianto abbandonato senza le opportune e costose opere di ripristino ambientale. Questa ultima ipotesi appare tuttavia al momento molto remota dato il valore industriale che ancora rappresenta il sito di Scarlino e il fatto che dal punto di vista tecnico la fabbrica potrebbe in poco tempo tornare operativa e redditizia. La scalata al livello nazionale della vertenza serve proprio a “stanare” la multinazionale e forzarla ad una decisione, dopodiché si potranno valutare tutti gli scenari possibili, compresa la ricerca di un nuovo soggetto imprenditoriale.

Il necessario piano di rilancio della fabbrica dovrà essere accompagnato anche da un piano preciso di investimenti per ridurre la produzione di scarti, in particolare di gesso rosso. L’Ad Stefano Neri ha illustrato i risultati raggiunti dal team di tecnici che ha lavorato anche in collaborazione con Nuova Solmine, individuando due progetti in buono stato di avanzamento che potrebbero ridurre la produzione di gesso di oltre il 50% in poco tempo.

La crisi della Venator è ormai conclamata, anche se in ritardo sono stati attivati ​​gli strumenti giusti, ma di tempo ce n’è rimasto pochissimo. La scadenza degli ammortizzatori sociali al 30 giugno impone che si prendano decisioni nette. La provincia di Grosseto, che già sconta un peso specifico dell’industria che è poco più della metà della media regionale, non può permettersi il lusso di assistere inerme al ridimensionamento del polo chimico del Casone di Scarlino. Dove oltre a biossido di titanio, Nuova Solmine è in grado di produrre da sola l’80 per cento dell’acido solforico utilizzato nel sistema industriale nazionale». 



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