Crisi ambientale, l’IPBES: “Serve un cambiamento trasformativo a tutti i livelli”

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Nel 2019 l’IPBES (la piattaforma intergovernativa per la biodiversità e i servizi ecosistemici) aveva pubblicato un importantissimo rapporto (il Global Assessment Report) in cui si mappavano le conoscenze scientifiche più aggiornate sul preoccupante stato di salute della biodiversità e degli ecosistemi del pianeta e si sottolineava che, per rispettare gli obiettivi internazionali di tutela della natura da raggiungere entro il 2030 e realizzare la visione per il 2050 delineata dal Global Biodiversity Framework, sarebbe stato necessario un cambiamento trasformativo del modello sviluppo oggi prevalente, delle dinamiche socio-ecologiche, e dei sistemi energetico, alimentare, produttivo.

Nel 2021, l’ottava assemblea plenaria dell’IPBES, composta dai rappresentanti governativi dei Paesi membri (oggi quasi 150), ha dato alla Piattaforma l’incarico di realizzare un rapporto tematico “sulle cause profonde della perdita di biodiversità, i fattori di cambiamento trasformativo e le opzioni per realizzare la Visione per la Biodiversità al 2050”.

Questo compito è stato portato a termine dall’IPBES alla fine del 2024: il 16 dicembre 2024, durante l’undicesima assemblea plenaria dell’IPBES celebrata a Windhoek, in Namibia, i tre co-presidenti del Rapporto hanno presentato il Summary for Policy-Makers (la Sintesi per i decisori politici) dell’esteso “Rapporto sul Cambiamento Trasformativo”, il cui testo integrale sarà pubblicato nei prossimi mesi.

Il documento è stato redatto nel corso di tre anni di lavoro da 101 esperti in diverse discipline scientifiche e umanistiche provenienti da 42 Paesi di tutte le regioni del mondo. Il Rapporto si compone, oltre al Summary for Policy-Makers, di cinque capitoli che affrontano le cause dell’attuale crisi ecologica, le potenzialità di attuazione di un cambiamento trasformativo in tutti i settori, gli ostacoli che potrebbero rallentare o impedire questa trasformazione, e i percorsi che si possono seguire in ambito sociale, economico e politico, nonché a livello individuale e collettivo, per mettere in moto il cambiamento.

Nel corso della conferenza stampa di presentazione del Rapporto, i tre co-presidenti (co-chair) – Arun Agrawal, Lucas Garibaldi e Karen O’Brien – hanno sottolineato innanzitutto l’assoluta novità che questo documento rappresenta non solo in “casa” IPBES, ma in generale nel panorama dei documenti che si pongono all’interfaccia tra scienza e politica.

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Negli ultimi anni, infatti, il focus di questo genere di documenti (di cui fanno parte anche i rapporti sul clima dell’IPCC e i molti rapporti su temi ambientali prodotti periodicamente dal Programma Ambientale delle Nazioni Unite) si è sempre più spostato da un intento meramente descrittivo (restituire una fotografia dello stato dell’ambiente) a un intento che potremmo definire, in un certo senso, normativo: si cerca, cioè, di promuovere un dialogo attivo tra la comunità scientifica e i decisori politici. L’obiettivo è cooperare per progettare risposte politiche adeguate alla complessità e all’estensione delle sfide che dobbiamo affrontare.

Il rapporto dell’IPBES sul cambiamento trasformativo è dunque innovativo sia dal punto di vista concettuale che sul piano empirico, hanno sottolineato i Co-chair: l’obiettivo principale è ravvivare e ampliare la discussione pubblica su argomenti nuovi e forse ancora poco diffusi, come la necessità di ripensare radicalmente ogni aspetto del nostro sistema di vita. I co-chair hanno spiegato come anche il metodo di valutazione usato per la costruzione di questo rapporto sia stato innovativo: i ricercatori hanno scandagliato più di 7.000 articoli e documenti pubblicati nella letteratura scientifica, e hanno inoltre mappato e messo a confronto circa 800 diverse visioni (vedremo a breve cosa si intenda) e 400 casi studio.

La speranza, hanno affermato i 3 co-presidenti durante la conferenza stampa, è che questo documento assuma centralità nei futuri negoziati sulla protezione della natura, e che offra una guida pratica per la realizzazione degli obiettivi internazionali di tutela ambientale al 2030 e al 2050.

Il concetto di cambiamento trasformativo era già presente nel rapporto su biodiversità ed ecosistemi del 2019. Qui, l’IPBES definiva il cambiamento trasformativo come “Una riorganizzazione sostanziale e sistemica delle dimensioni tecnologica, economica e sociale, compresi i paradigmi, gli obiettivi e i valori”. Il rapporto tematico del 2024 riprende questa definizione e la elabora in modo più approfondito, concentrandosi sul massimo obiettivo che questo cambiamento radicale mira ad ottenere: “un mondo sostenibile e giusto”.


Un così profondo cambiamento trasformativo è “urgente, necessario e difficile – ma possibile

IPBES Transformative Change Assessment, Summary for Policy-Makers

Per essere all’altezza dell’estensione e della profondità delle sfide che abbiamo di fronte – scrivono gli autori nel Summary for Policy-Makers – “una semplice riorganizzazione sistemica dei diversi elementi” che compongono gli odierni sistemi socio-ecologici “non sarà sufficiente”, e il cambiamento trasformativo dovrà essere accompagnato da nuove concezioni e nuove strategie che producano risultati positivi per la biodiversità e per la natura.

Un così profondo cambiamento trasformativo è “urgente, necessario e difficile – ma possibile”.

È urgente soprattutto perché, scrivono gli autori, un ulteriore ritardo sulla strada verso la sostenibilità sarebbe oltremodo costoso, soprattutto rispetto ai benefici che otterremmo se agissimo tempestivamente adesso, finché è ancora aperta la finestra di possibilità per evitare il superamento di punti di non ritorno.

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È necessario perché tutti gli approcci adottati finora per fermare o invertire le crisi globali interconnesse di cambiamento climatico, perdita di biodiversità e inquinamento hanno fallito, “con gravi ripercussioni sull’economia globale e sul benessere umano”.

È difficile perché la maggior parte di questi approcci ha puntato a riformare, non trasformare i sistemi esistenti. Il finanziamento agli sforzi di tutela e ripristino della natura è rimasto gravemente insufficiente (ad esempio, la quantità di denaro destinata alla tutela della biodiversità ammonta a circa lo 0,25% del PIL globale, una cifra irrisoria), e non è sorprendente che gli obiettivi che la comunità internazionale si è posta in passato non siano mai stati raggiunti.

Cause della crisi, ostacoli al cambiamento e principî per realizzarlo

Per comprendere l’origine e il dispiegarsi dell’attuale crisi ambientale, non ci si può limitare ad elencarne le cause prossime – pur fondamentali, e già identificate dall’IPBES nel rapporto del 2019 – ma ci si deve spingere a identificarne le cause remote, quelle più profonde e radicate nella nostra mentalità. È quel che fa questo rapporto, che ne individua tre:

Si tratta di cause non strettamente scientifiche, ma sociali nel senso più ampio del termine: questa lista coglie alcuni dei nodi fondamentali della società in cui viviamo, caratterizzata da un’assoluta predominanza dei valori economici e da un approccio antropocentrico e utilitaristico al mondo naturale.

Accanto a queste cause profonde, agiscono anche alcuni ostacoli che rendono più difficile la realizzazione del cambiamento trasformativo – il quale richiede, in alcuni casi, il “mutamento dello status quo”. Sono cinque gli ostacoli principali identificati nel rapporto:

Questi ostacoli, spesso coesistenti e interconnessi, possono bloccare il cambiamento in molti contesti.

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Il primo modo per combattere la crisi ambientale consiste nel rimuovere le cause e gli ostacoli al cambiamento trasformativo. Secondo il centinaio di autori che ha concettualizzato e approfondito il concetto, ci sono quattro principi chiave che possono servire a questo scopo e guidare il processo di trasformazione delle nostre società e della nostra visione del mondo:

  1. Equità e giustizia;
  2. Pluralismo ed inclusione;
  3. Relazioni rispettose e reciproche tra umani e natura;
  4. Apprendimento adattativo e azione.

Questi principi, molto ampi, non sono però sufficienti da soli. Infatti, non basta capire cosa fare, ma anche come farlo: un pluralismo epistemologico e metodologico è essenziale, ed è per questo che nel rapporto si sottolinea con convinzione l’importanza dell’ascolto e dell’inclusione di prospettive radicalmente alternative a quella proveniente dalla cultura occidentale come quelle di diverse popolazioni indigene, la cui cultura e visione del mondo sono interessanti soprattutto perché sono intrinsecamente sostenibili.

Cambiare visione del mondo

Il primo cambiamento deve essere teorico, quasi filosofico. Scrivono gli autori nel Summary for Policy-Makers: “Modificare la visione e i valori dominanti della società in modo da riconoscere e dare priorità all’interconnessione tra esseri umani e natura è una potente strategia per il cambiamento trasformativo. Questi mutamenti possono essere facilitati cambiando le norme sociali dominanti, facilitando i processi di apprendimento trasformativo, co-creando nuove conoscenze e intrecciando sistemi di sapere, visioni del mondo e valori che riconoscano l’interdipendenza tra umani e non-umani e l’etica della cura”.

A dover cambiare sono prima di tutto punti di vista, strutture e pratiche, che sono gli ambiti in cui, più di ogni altro, si riflettono le conseguenze di una determinata visione del mondo.

Ma vi sono anche strategie più pragmatiche – altre quattro:

  • riconoscere la diversità bioculturale e fare grandi sforzi di conservazione per proteggere luoghi che hanno sia un valore biologico, sia un valore culturale per le persone che li abitano;
  • spingere cambiamenti radicali soprattutto nei settori che hanno la maggiore responsabilità della perdita di biodiversità e della degradazione del mondo naturale;
  • trasformare i sistemi economici in modo che diano priorità alla natura e alla giustizia sociale, piuttosto che agli interessi privati
  • trasformare i sistemi di governo privilegiando l’integrazione, l’inclusività, la responsabilità e la capacità di adattamento.

Per modificare punti di vista, strutture e pratiche in modo che supportino e accelerino l’attuazione del necessario cambiamento trasformativo della società, è essenziale che si sviluppino “visioni positive condivise”: queste includono storie che narrino “condizioni future desiderabili per le persone e la natura, intesa anche come Madre Terra, plasmate da valori e visioni del mondo [alternativi a quelli dominanti] e che includano obiettivi definiti e sforzi intenzionali per raggiungere queste condizioni future”. Non si tratta, però, di sostituire un paradigma con un altro: piuttosto, di riconoscere finalmente un pluralismo di approcci al mondo naturale (finora negato), tenendo così insieme valori intrinseci, relazionali e utilitaristici, e applicando diversi valori e prospettive a seconda del contesto specifico.

Tutti i livelli di governo, tutta la società

Come già evidenziato in documenti precedenti, anche in questo caso IPBES mette in luce un altro aspetto essenziale degli sforzi di protezione della natura e di trasformazione della nostra società: la partecipazione di tutti, ad ogni livello – dall’individuale al collettivo – e in qualunque posizione sociale si ricopra. È il cosiddetto approccio “tutti i livelli di governo, tutta la società” (Whole-of-government, Whole-of-society approach), che sottolinea ancora una volta come un cambiamento di così ampia portata abbia bisogno di tutte le forze disponibili e di tutti gli sforzi possibili perché vi sia una concreta possibilità che si realizzi. L’azione dei singoli è inutile se comparata all’agire concertato e coerente di diversi attori che cooperano gli uni con gli altri.

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La politica – finora lenta e inefficace –, il mondo delle imprese, la società civile, le popolazioni indigene, le comunità locali, gli educatori e i media, la comunità scientifica e i singoli cittadini devono sforzarsi, ognuno nel proprio ambito, di mettere in pratica l’auspicato cambiamento trasformativo.





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