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La deindustrializzazione non è più una minaccia, ma una realtà per gran parte dell’Europa. Dal 2008 al 2023 l’Unione Europea ha perso 2,3 milioni di posti di lavoro nel settore manifatturiero, di cui quasi un milione solo dal 2019. Le aziende chiudono e licenziano, le produzioni si riducono e vengono delocalizzate. Una crisi che, secondo le stime più recenti, potrebbe coinvolgere fino a 4,3 milioni di addetti.
Per opporsi a questa deriva che sembra inarrestabile i lavoratori dell’industria continentale oggi (mercoledì 5 febbraio) scendono in piazza a Bruxelles sotto le insegne del sindacato europeo IndustriAll, l’organizzazione che federa le sigle manifatturiere a livello sovranazionale.
“L’Unione Europea e i governi devono agire ora per l’industria e il lavoro, sono necessarie risposte concrete e urgenti per governare e non subire la transizione ecologica”, dicono Fiom e Filctem Cgil, Fim e Femca Cisl, Uilm e Uiltec Uil, partecipando alla manifestazione.
L’appuntamento è alle 10.30 sotto la sede del Consiglio europeo (in place Jean Rey). Si alterneranno sul palco delegate e delegati delle realtà industriali europee più rappresentative e saranno presenti i segretari generali di Fiom (Michele De Palma) e Filctem Cgil (Marco Falcinelli), Fim (Ferdinando Uliano) e Femca Cisl (Nora Garofalo), Uilm (Rocco Palombella) e Uiltec Uil (Daniela Piras).
IndustriAll: “Serve moratoria sui licenziamenti”
“Serve un piano industriale forte e proattivo per mantenere e creare posti di lavoro di qualità”, scrive IndustriAll. Per farlo, dunque, occorrerebbe una robusta dose di investimenti. “Ma in un atto di autosabotaggio – prosegue – l’Ue sta inasprendo le regole fiscali, riducendo le possibilità di investimento proprio quando ce n’è più bisogno”.
Per il sindacato europeo “un ritorno all’austerità è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno ora. La maggior parte dei Paesi non ha piani industriali nazionali. Di conseguenza, i lavoratori stanno sopportando i costi di una scarsa pianificazione aziendale e governativa. E diventano furiosi quando vedono che i limitati finanziamenti pubblici a disposizione delle aziende finiscono direttamente nelle tasche degli azionisti e dei dividendi, invece di essere investiti in strumenti e tecnologie di produzione decarbonizzati e orientati al futuro”.
IndustriAll Europe chiede, anzitutto, una “moratoria sulla rottamazione degli asset industriali e sui licenziamenti forzati, attraverso la creazione di Sure 2.0 per proteggere la forza lavoro” e di “rivedere le regole fiscali per consentire investimenti nelle esigenze sociali e di transizione pulita”.
Il sindacato europeo, inoltre, sollecita l’utilizzo sia delle condizionalità sociali negli appalti pubblici per garantire la domanda e gli investimenti nei siti, sia dei fondi di ripresa Ue rimanenti e dell’attuale bilancio Ue (2019-24) per colmare il divario di investimenti. Infine, IndustriAll reclama “azioni volte a garantire la resilienza delle industrie europee, comprese misure per contrastare la sovracapacità globale e il commercio sleale, per garantire gli investimenti nelle industrie in trasformazione”.
Fiom-Filctem: “È il momento di forti investimenti pubblici”
“A causa della mancanza di una chiara strategia e di un piano industriale europeo, di decisioni aziendali sbagliate e di ritardi negli investimenti nell’industria, la deindustrializzazione non è più una minaccia, ma una realtà”, scrivono i sindacati italiani.
I sindacati italiani chiedono, anzitutto, di “investire nella formazione delle lavoratrici e dei lavoratori per garantire una giusta transizione ed evitare licenziamenti”, nonché di “prevedere una politica industriale con forti investimenti pubblici per una crescita inclusiva a condizionalità sociali integrate in tutti gli investimenti pubblici”.
Per Fiom, Fim, Uilm, Filctem, Femca e Uiltec occorre inoltre “investire in reti e infrastrutture moderne per un’energia stabile, conveniente, affidabile e a basse emissioni di carbonio”. Necessario, infine, è “rafforzare la contrattazione collettiva e la partecipazione dei lavoratori al processo decisionale e garantire pratiche di acquisto eque e la due diligence sui diritti umani lungo le catene di fornitura”.
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