Se durante un weekend d’inverno si passa dopo le tre del pomeriggio per un locale nelle località sciistiche più di moda in Italia (posti come Courmayeur, Sestriere, Cortina d’Ampezzo, Madonna di Campiglio), è probabile che a un certo punto si sentirà una canzone che fa così: «Metto giù gli sci, vado al super G/ Fuori fa freschino, faccio l’après-ski/ Sole e whisky, la libidine è qui». Si chiama “Settimana Bianca”, l’ha pubblicata nel 2018 il gruppo pop milanese Il Pagante, ed è diventata la colonna sonora di un fenomeno che negli ultimi dieci anni ha attirato un crescente interesse, soprattutto tra le persone che hanno tra i 18 e i 35 anni e una certa disponibilità economica: l’après-ski, appunto.
La parola in sé vuol dire soltanto “dopo lo sci”, e storicamente è stata utilizzata per riferirsi a tutte le attività che si possono svolgere dopo una giornata sulle piste, dal bersi un bombardino con gli amici a rilassarsi nella spa più vicina. C’è chi la usa ancora in questo senso, soprattutto all’estero. In Italia, però, negli ultimi anni il termine è diventato sinonimo di un tipo di situazione più specifica ed esclusiva.
Gli après-ski a cui i più giovani si vantano di partecipare sui social network sono sostanzialmente degli aperitivi sulla neve spesso costosi, a base di spritz, cocktail o “bollicine”, organizzati da locali con viste particolarmente scenografiche, spazi curati, effetti speciali e luci led, una selezione musicale con dj talvolta internazionali e performer. Eventi pensati per attirare e far divertire una clientela che ha voglia di far festa e non si preoccupa particolarmente di quanto le verrà a costare. Una clientela per cui, molto più spesso che in passato, saper sciare è secondario: i locali che offrono questi après-ski sono quasi sempre raggiungibili con seggiovie e funivie, utilizzabili poi anche per tornare a valle, oppure direttamente a piedi.
La popolarità di questi eventi tra determinate fasce d’età e di reddito è particolarmente visibile online, dove come su molti altri temi si scontrano narrazioni e preoccupazioni diverse. Da una parte, da tempo un certo numero di persone si interroga sull’opportunità di continuare a praticare sport invernali come lo sci da discesa in un contesto in cui sempre più spesso manca la neve naturale ed è necessario ricorrere alla neve artificiale, consumando risorse e prolungando artificialmente un tipo di attività dal forte impatto sulla montagna. Dall’altra, nelle ultime settimane TikTok si è affollato non solo di video che mostrano persone che ballano al tramonto in abbigliamento tecnico e scarponi, ma anche di quelli che rivendicano la volontà di vivere la montagna come una località esclusiva, con didascalie sprezzanti come: «Sei all’après-ski, non c’è nessun terrone in vista, nessun comunista, sei felice e lo sai».
Nella gran parte dei casi i locali che organizzano questo genere di après-ski si trovano in località di montagna che già dagli anni Ottanta vengono considerate destinazioni desiderabili non solo per le piste ma soprattutto per la vita mondana e le feste, e dove quindi gli abitanti del posto (sempre meno numerosi dei turisti che arrivano in alta stagione) si sono ormai piuttosto abituati al caos dei mesi invernali.
Questo non vuol dire che gli après-ski non sollevino regolarmente lamentele riportate dalla stampa locale: soltanto il mese scorso a Tre Ville, nel comprensorio trentino a cui appartiene anche Madonna di Campiglio, c’è stata una grossa discussione sull’opportunità di trasformare la montagna in una «discoteca a cielo aperto». E nella stessa Madonna di Campiglio è stata molto criticata l’apertura di un locale del brand Super G – forse quello più associato al concetto di après-ski in Italia – ai confini del parco naturale Adamello Brenta e di una struttura che ospitava per l’inverno alcuni bambini malati di cancro e le loro famiglie.
Un’avvocata di Madonna di Campiglio, Elisa Fangareggi, ha detto al quotidiano locale il Dolomiti che gli abitanti si aspettavano «una proposta simile a un rifugio, qualcosa di accettabile e non un locale di questo tipo». «La Zangola (uno storico locale di Madonna di Campiglio) era una discoteca ma era al chiuso: qui siamo in presenza di una discoteca a cielo aperto. È insostenibile e deturpa tutta la zona: la musica si sente dal lago Nambino e le luci invadono completamente la valle. Non è stata eseguita una valutazione di impatto ambientale e questo è indicativo», ha aggiunto l’avvocata. Così, dice, «si trasforma la Perla delle Dolomiti in una zona qualunque, non c’è differenza con Milano o Riccione».
Il formato proposto da Super G, a cui poi si sono ispirati molti altri locali “da après-ski” italiani negli ultimi anni, è modellato effettivamente a partire dagli aperitivi in spiaggia proposti da anni da club come il Papeete di Milano Marittima o il Blu Beach sulla Costa Smeralda. «Il momento dell’aperitivo è il più interessante perché è legato al tramonto, è un momento un po’ romantico, il più instagrammabile di tutti: stiamo lì con la musica, il sole che scende, e siamo presi bene», spiega Andrea Baccuini, CEO della 5 Club, società che gestisce il brand Super G.
Secondo Baccuini, il cliente tipo di un locale come il Super G (che al momento ha sedi a Courmayeur, Cervinia e Madonna di Campiglio) non è soltanto lo sciatore che si ferma dopo una giornata sulle piste, ma anche chi arriva sulle piste proprio per fare aperitivo. «Farei sempre un parallelismo con la spiaggia. Io vado a fare l’aperitivo in uno stabilimento balneare, ma non è detto che sono andato lì a nuotare o a prendere il sole. Prendo, esco di casa e vado a farmi l’aperitivo sulla sabbia», continua Baccuini. «L’aperitivo non si nega a nessuno e non possiamo pensare che la neve in alcuni posti sia finalizzata solo al gesto sportivo».
Il Pagante suona al Club Moritzino, in Alta Badia (Roberta Marciello)
Una cosa simile la dice anche Roberta Branchini, cantante del Pagante, uno dei gruppi che più spesso vengono chiamati a suonare live agli après-ski. «Negli ultimi mesi online ho trovato vari video di montanari “real” che percepivano l’après-ski con negatività», racconta. «Io questa cosa non la capisco, perché la montagna è di tutti, sia che ti piaccia sciare sia che non ti piaccia sciare. È bello che possano arrivare tutti in un posto dove poi possono divertirsi, stare sulla neve, anche chi non scia. Perché una persona che vuole semplicemente salire in montagna per bersi una birra e prendere il sole dovrebbe essere criticata?».
Quello degli après-ski è un fenomeno abbastanza esemplare di come sulla montagna si scontrino questioni di classe e sensibilità diametralmente opposte. Gli organizzatori vorrebbero estenderli anche a chi non scia, pur mantenendo una clientela con la capacità di spesa di chi normalmente frequenta le piste, e cioè particolarmente alta. Questo genere di discorsi fa accapponare la pelle a chi vede la montagna come un luogo sacro e da frequentare con grande attenzione e rispetto, e soprattutto gratuitamente.
In un certo senso, i recenti affollamenti di Roccaraso, la località sciistica in Abruzzo, hanno segnalato dei limiti in entrambi gli approcci: perché mostrano da una parte che la turistificazione della montagna può creare situazioni evidentemente fuori controllo; e dall’altra che anche la frequentazione popolare della montagna può essere molto problematica, se è di massa.
Negli ultimi anni varie località sciistiche hanno investito molto sulla costruzione di impianti e infrastrutture che permettano anche alle persone che non sanno sciare di raggiungere altitudini elevate, se possono permetterselo. Dieci anni fa, per esempio, a Courmayeur fu costruito l’impianto di risalita Skyway Monte Bianco, che per una sessantina di euro porta in venti minuti a Punta Helbronner, a più di 3400 metri, anche chi sta in scarpe da ginnastica. Per accogliere questa nuova clientela, vicino al vecchio rifugio pensato per alpinisti e sciatori è stato costruito un ristorante piuttosto lussuoso, con tanto di ampia terrazza panoramica con vista sul Monte Bianco.
Sono investimenti che cercano di garantire un futuro economico a luoghi che potranno contare sempre meno sugli sport invernali. Come prevede una ricerca terminata nel 2023 da un gruppo di scienziati francesi e austriaci, in uno scenario in cui la temperatura media globale supererà di almeno 2 °C quella dell’epoca preindustriale, cioè prima che le emissioni di gas serra dovute alle attività umane causassero l’attuale surriscaldamento del pianeta, più della metà delle stazioni sciistiche europee si troverà in condizioni di scarsità di neve un anno su due.
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In questo contesto, effettivamente, «è molto probabile che si romperà l’equazione tra montagne e sport invernali, o quanto meno che entri in grande crisi», dice Riccardo Ramello, autore di una newsletter, Secchiate, in cui parla di nightlife a partire dal suo impatto sociale ed ecologico. «Anche da un punto di vista economico semplicemente non sarà possibile innevare le piste continuamente per cercare di replicare l’effetto degli impianti sciistici di trenta o quarant’anni fa», continua.
«Al contempo abbiamo questi promoter di eventi, perlopiù provenienti da contesti urbani, che cercano nuovi mercati e vedono in queste location molto scenografiche degli sfondi giusti per organizzare feste ad alto impatto visivo, che possano essere spettacolarizzate e condivise sui social. Si estrae valore dall’estetica della montagna senza pensare particolarmente all’impatto sociale, culturale e sulla comunità di ciò che si organizza».
Baccuini, il CEO, dice che a suo avviso locali come il suo «sono la risposta» ai problemi che arriveranno quando sarà difficile trovare le condizioni per sciare in molte località che oggi basano la propria economia sul turismo, soprattutto invernale. «La neve ci sarà sempre, anche se non sarà adatta a sciare: in montagna a quelle altitudini la trovi ancora ad aprile, a volte anche a fine maggio», dice. «A maggio il mare è bellissimo anche se non puoi buttarti in acqua: in spiaggia puoi comunque fare tante cose, mangiare, organizzare matrimoni, farti un aperitivo. Se tu convinci le persone che l’elemento fondamentale dell’essere in montagna non è saper sciare, ma è lo stare in montagna in sé, non solo aumenti i flussi turistici, ma differenzi anche il target».
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