Un pomeriggio di riflessioni, testimonianze con la visione del docufilm su don Oreste Benzi, pioniere nel contrasto alla tratta di esseri umani, si terrà sabato 8 febbraio in provincia di Massa Carrara, a Mulazzo. Qui dal 2010 la Comunità di don Benzi ha avviato una Casa Bakhita, un luogo di accoglienza per le vittime di tratta. In questi anni ne sono passate più di 40, per la maggior parte madri con minori a carico, donne vittime di sfruttamento sessuale ma anche costrette a matrimoni forzati, vittime di abusi nell’adolescenza.
Casa Bakhita. La speranza del riscatto e la rete col territorio
«Questa casa è dedicata proprio a Santa Giuseppina Bakhita – spiega la responsabile Ilaria Nasini che coordina i percorsi di recupero e integrazione delle accolte che sono per lo più madri – perché la storia di questa suora canossiana di origine sudanese è paradossalmente un grido di speranza. Da bambina ebbe un infanzia terribile: fu rapita a sette anni da mercanti di schiavi, per essere poi più volte venduta. A causa del trauma subito dimenticò il suo nome. I suoi rapitori la chiamarono Bakhita, che in arabo vuol dire “fortuna”. È incredibile come nonostante la sua triste infanzia si ritenne davvero “fortunata”, perché tali vicissitudini l’hanno condotta una volta in Italia, liberata dal console che l’aveva nella sua casa come domestica a conoscere Gesù ed abbracciare la fede cristiana. Bakhita ha avuto la sfortuna di nascere in un epoca in cui il mercato degli schiavi era fiorente, eppure nonostante siano passati quasi 200 anni, le cose non sono poi così diverse. Oggi le ragazze che si mettono in viaggio, per lasciare una realtà fatta di povertà e violenza, sono talmente vulnerabili che diventano facile preda dello sfruttamento sessuale e lavorativo. Il sogno europeo ben presto diventa un incubo, picchiate e violentate durante il viaggio, costrette a prostituirsi per molte ore al giorno, guadagnando pochissimi soldi, per pagare il debito contratto. Le continue minacce ai familiari sono uno dei principali motivi per cui, non riescono a sottrarsi al volere di chi le costringe a prostituirsi. Le storie delle ragazze che giungono a Casa Bakhita spesso sono molto simili a quelle della Santa, hanno vissuti dolorosi che lasciano sulle loro anime cicatrici alle volte indelebili, eppure anche loro, si ritengono “fortunate” di essere giunte in un porto sicuro nella nostra casa di accoglienza».
Il percorso di riscatto e reintegrazione socio-lavorativa che le aspetta è possibile per la rete costruita negli anni con il Sistema Antitratta Toscano di Interventi Sociali (SATIS), capitanato dal Comune di Viareggio e in rete a sua volta col Numero Verde nazionale antitratta (800290290) del Dipartimento per le Pari Opportunità. Un progetto regionale prezioso che garantisce dal nord al sud della toscana una rete di relazioni costanti tra soggetti pubblici e privati attivi nei territori e offre possibilità concrete a chi vuole uscire dallo sfruttamento: tirocini, misure di supporto alla maternità 102 programmi di protezione attivati nel 2024 e più di 3500 contatti delle unità mobili toscane che intercettano le potenziali vittime in strada e al chiuso.
La storia di Nancy, dalla Lunigiana a Roma
Quasi tutte le vittime di tratta hanno rischiato la vita nel deserto, sono state smistate in Libia dopo aver subìto vessazioni, stupri e botte da militari e intermediari dei trafficanti, uomini senza scrupoli. Perché la violenza sulle donne destinate alla tratta non avviene solo a Mitigata, ma anche a Misurata, a Zuara, le tante città di cui ascoltano storie raccapriccianti da diversi anni le operatrici antitratta della Comunità Papa Giovanni XXIII.
Così è stato anche per Nancy. Una donna intrappolata nel vortice della prostituzione da giovanissima, è tra le testimonianze dell’evento internazionale all’Università S.Croce a Roma il 6 febbraio, promosso dalla rete ecclesiale mondiale Talita kum, attraverso una performance artistica con la danza terapeuta Daniela Russo Krauss della Comunità di don Benzi, che ne ha raccontato anche il lungo cammino di guarigione perchè con queste giovani donne vive ogni giorno. Avvenuto proprio in Lunigiana.
«Come una piuma, fragile e sola, mi sono persa. Impaurita, ho attraversato una lunga strada fatta di deserto e di mare, tradita da mio fratello, proprio colui che mi aveva rassicurata prima di partire… Lui mi aveva venduta alle persone che mi hanno portato in Italia costringendomi a prostituirmi. Ero vergine, pura, leggera… Quanto avrei voluto scomparire, volare via… Invece quell’uomo, quel primo uomo mi ha rubato l’anima, la vita, l’intimità… una volta, dieci, cento… Lui, un altro e un altro ancora… Non era questa la vita che sognavo. Nessuna donna sogna questa vita». Le parole tuonano pesanti, un grido di dolore che però diventa speranza per altre donne, per i giovani che desiderano un mondo senza schiavitù.
L’incubo finisce quando Nancy conosce una giovane nigeriana a cui racconta la sua storia. Una storia che la connazionale conosceva già molto bene… E grazie a lei è entrata nel progetto antitratta, e quindi in casa Bakhita. Quell’incontro le ha restituito la vita. Oggi Nancy è finalmente libera, è madre, ha una sua famiglia, nonostante le ferite psichiche richiedano un tempo lungo per guarire. Ha lavorato come addetta alla cereria nella cooperativa Il Pungiglione della Lunigiana. Il ricordo più bello. «Il lavoro in cereria è un lavoro molto importante e delicato – spiega a chi non conosce l’eccellenza di quella terra, il miele. Nella cooperativa ho avuto modo di capire l’importanza dei prodotti biologici fondamentali per garantire la biodiversità dell’ecosistema, grazie alle piccole ma laboriose api alleate dell’ambiente e dell’uomo».
E proprio da qui si alza il grido per la libertà e la speranza delle giovani donne che, come Santa Bakhita sono rinate, perchè sopravvissute alla tratta di esseri umani.
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