Nel 2018 un imprenditore del Potentino, prossimo a ricevere decreto ingiuntivo a causa del mancato pagamento del saldo passivo del proprio rapporto di conto corrente, rivolgendosi alla SoS Utenti Aps, ottenne la proposta di agire in prevenzione e di condurre in contenzioso la Banca senza aspettare il successivo decreto ingiuntivo, allo scopo ottenere una riduzione del debito ed evitare la ingiunzione di pagamento con il conseguente pignoramento. Dopo 7 anni di giudizio e due integrazioni di Ctu, il Tribunale di Potenza ha riconosciuto la fondatezza delle contestazioni della parte attrice e ridotto il debito del correntista di due terzi: dagli originari 72 mila e 236 euro pretesi dalla Banca alla diversa somma di 23 mila e 784 euro con un recupero, come sottolineato dal consulente contabile Gennaro Baccile e dai legali del Foro del capoluogo Savino Genovese e Bianca Bronzi, che ne hanno dato notizia, «pari a quasi 50 mila euro per il correntista». Il risultato, ha spiegato il team di Sos Utenti Aps, è stato possibile grazie ad una certosina e puntale contestazione dei contratti che hanno governato il rapporto: contestazioni che sono state riconosciute esistenti dal Consulente Contabile del Giudice dopo ben 2 integrazioni della Ctu chieste dalla parte attrice e concesse dal Tribunale. In sintesi, la contestazione ha riguardato la nullità dell’anatocismo trimestrale degli interessi del correntista, cioè la prassi storica bancaria di calcolare ogni trimestre interessi sugli interessi, la nullità delle Commissioni di Massimo Scoperto (Cms) e lo scorretto esercizio dello ius variandi (modifica uni- laterale del tasso di interesse) da parte della banca nel corso del rapporto di c/c. In aggiunta, il Tribunale ha dichiarato che la presunta cessionaria del credito, nel frattempo inter- venuta in giudizio, «non ha alcun diritto di procedere verso il debitore vista la mancata prova dell’esistenza della cessione». Buona aorte analoga è toccata ad un altro imprenditore lucano il quale nel 2019, al fine di prevenire un’azione esecutiva della banca in danno della sua società ha intentato azione di accertamento negativo del credito. La Banca in questo caso aveva quantificato debito in capo alla società correntista pari ad 91 mila euro e stava per notificare all’imprenditore un decreto ingiuntivo per il recupero della detta somma. Il Tribunale in accoglimento delle domande formulate dalla società attrice ha rideterminato il detto debito nella misura notevolmente inferiore pari ad 31 mila e 415 euro «con un risparmio per il correntista di quasi 60 mila euro». In questo secondo caso la contestazione ha riguardato la nullità degli interessi debitori non pattuiti per assenza di contratto, dell’anatocismo trimestrale degli interessi del correntista, la nullità delle Commissioni di Massimo Scoperto (Cms). Per il presidente onorario della SoS Utenti Aps, nonché consulente di parte dei correntisti, Gennaro Baccile, «nei rapporti creditizi qualificati da aperure di credito in Conto Corrente, specialmente se avviati prima del 2000 o subito dopo, è sempre possibile individuare carenze informative ai sensi di legge che non hanno messo il correntista in condizione di sapere il vero costo del credito». «In queste situazioni – ha aggiunto Baccile – può essere consigliabile citare in giudizio la Banca oppure difendersi da richieste coattive. La giurisprudenza Potentina, e lucana in generale, è molto attenta e scrupolosa a cui ogni avente diritto può rivolgersi con fiducia per vedersi accertare le proprie ragioni. Agire in prevenzione è sempre meglio: il correntista impegnando l’avversario, la banca, in battaglia fuori dalla città, agendo in prevenzione, ha evitato di trovarselo in casa all’improvviso, decreto ingiuntivo a mezzo del quale la banca può procedere a pignoramento. La contestazione puntuale delle invalidità contrattuali va difesa con tenacia in Tribunale: nel primo caso ci sono volute due Ctu per ottenere il risultato che il Tribunale ha poi ritenuto corretto, la ipotesi migliore per la correntista tra le 4 elaborate dal Consulente del Giudice. Nei casi citati, la lunghezza dei due giudizi si è tradotta in un vantaggio per i debitori che hanno potuto lavorare tranquilli senza il rischio del pignoramento per ben 7 anni nel primo caso e 6 anni nel secondo caso».
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