Educare all’imprenditorialità: ecco le competenze per il futuro del lavoro

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In un mondo del lavoro sempre più dinamico e competitivo, caratterizzato da una trasformazione digitale senza precedenti, quali competenze saranno davvero richieste ai professionisti del futuro? La risposta, sempre più evidente, punta verso un profilo professionale che sappia coniugare competenze tecniche con una spiccata attitudine all’innovazione e alla risoluzione di problemi complessi. Ed è proprio in questo contesto che l’educazione imprenditoriale emerge come un elemento chiave per lo sviluppo delle nuove generazioni.

Lo scenario europeo

Il 2025 si preannuncia come un anno cruciale per l’imprenditorialità in Europa, con la Commissione Europea che ribadisce la centralità delle startup e dell’innovazione nella propria agenda strategica. In un contesto globale di rapidi cambiamenti economici e tecnologici, l’istituzione di un gruppo di progetto dedicato a startup e scaleup rappresenta un passo significativo verso la creazione di un ecosistema imprenditoriale più competitivo e maturo.

La Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha sottolineato che questo gruppo mira a creare condizioni favorevoli per la crescita e la scalabilità delle imprese innovative, con un approccio integrato, che include supporto finanziario, semplificazione normativa e attrazione di talenti.

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Questo impegno si riflette in una serie di iniziative strategiche, che mirano a consolidare il ruolo dell’Europa come leader globale nell’innovazione e nell’imprenditorialità. Tra cui ad esempio lo Startup Europe, l’iniziativa della Commissione Europea volta a connettere startup tecnologiche, scaleup, investitori, acceleratori, università, network aziendali e media. O ancora l’EU Startup Nation Standard, lanciato nel 2020, si propone di mobilitare gli Stati membri dell’UE nell’adozione di pratiche politiche innovative per sostenere le startup nell’affrontare sfide cruciali come la creazione di impresa e l’attrazione dei talenti. Attualmente, Ministri di 26 Paesi dell’UE hanno assunto impegni per implementare tali pratiche a livello regionale e nazionale. Le politiche promosse includono:

  • Facilitare la creazione di startup e la loro espansione transfrontaliera;
  • Semplificare i processi di visto e residenza per talenti provenienti da Paesi terzi;
  • Rendere più attraente l’assegnazione di stock option ai dipendenti;
  • Aumentare l’accesso ai finanziamenti per lo scale-up delle imprese.

Per sostenere i Paesi membri nell’attuazione di questi impegni, è stata istituita nel dicembre 2021 la Europe Startup Nations Alliance (ESNA). Questa entità operativa fornisce supporto ai decisori politici e facilita la condivisione e l’implementazione delle migliori pratiche.

Altra iniziativa importante è l’Innovation Radar, un’iniziativa guidata dai dati, volta a identificare innovazioni e innovatori di alto potenziale nei progetti di ricerca e innovazione finanziati dall’UE. Attraverso piattaforme come Dealflow.eu e Innovation Radar Bridge, l’obiettivo è rendere accessibili a cittadini, funzionari pubblici, professionisti e imprese i risultati del finanziamento all’innovazione dell’UE. Infine “StepUp Startups” è un’iniziativa finanziata dall’UE che punta ad accelerare la crescita e l’impatto dell’ecosistema europeo delle startup. Entro la fine del 2025, il progetto prevede di produrre 12 rapporti di approfondimento per fornire raccomandazioni concrete ai decisori politici sulle principali sfide affrontate dalle startup europee.

Lo scenario italiano

Anche per le startup innovative del nostro Paese, il 2025 si presenta come un anno ricco di opportunità grazie ad una serie di novità legislative pensate per incrementare gli incentivi e le agevolazioni per la nascita e la crescita di imprese ad alto valore tecnologico. La Legge Centemero – conosciuta come “Disposizioni per la promozione e lo sviluppo delle startup e delle piccole e medie imprese innovative mediante agevolazioni fiscali e incentivi agli investimenti”, entrata in vigore a novembre 2024, si concentra sulle agevolazioni per favorire investimenti privati e istituzionali nelle startup e PMI innovative, prevedendo, ad esempio, un aumento delle agevolazioni fiscali per chi investe in startup e PMI innovative, portando la detrazione IRPEF al 65% a partire dal 2025 e credito d’imposta per incubatori e acceleratori certificati, incentivando il loro coinvolgimento nel finanziamento e nella crescita delle startup.

Dal 2025, la definizione di startup innovativa si allinea ai nuovi standard europei e include criteri più selettivi:

  • Devono essere micro, piccole o medie imprese con un fatturato inferiore a 50 milioni di euro o un bilancio massimo di 43 milioni di euro;
  • L’attività principale deve essere lo sviluppo di prodotti o servizi ad alto valore tecnologico, escludendo quelle prevalentemente di consulenza;
  • È obbligatorio destinare almeno il 15% del fatturato o dei costi operativi annuali a progetti di ricerca e sviluppo;
  • La componente tecnologica deve essere dimostrata attraverso brevetti, software sviluppati o personale altamente qualificato. La permanenza nel registro speciale delle startup innovative è stata estesa fino a un massimo di 7 anni (3 + 2 + 2), a condizione che siano rispettati requisiti di crescita e innovazione.

Le agevolazioni fiscali si concentrano sulle startup innovative, con misure specifiche: i) Detrazioni IRPEF/IRES: Gli investimenti nel capitale sociale di startup innovative godono di una detrazione IRPEF del 40% per le persone fisiche e di un’esenzione fiscale per i soggetti passivi IRES; ii) Credito d’imposta per incubatori: Gli incubatori certificati che investono in startup innovative possono usufruire di un credito d’imposta dell’8% sugli investimenti, con un tetto di 500mila euro annui.

Tuttavia, il contesto italiano presenta ancora sfide significative se guardiamo il fenomeno da una prospettiva diversa ovvero da coloro i quali dovrebbero creare le nuove imprese. Secondo l’ultimo rapporto del Global Entrepreneurship Monitor (GEM), l’Italia nel 2023 si posiziona al 36° posto su 46 economie per tasso di nuova imprenditorialità. Inoltre, il National Entrepreneurship Context Index (NECI) evidenzia come la formazione imprenditoriale rimanga un punto critico, sottolineando l’urgenza di un cambiamento culturale e sistemico che deve partire dall’educazione.

Educare all’imprenditorialità: l’imprenditorialità come competenza trasversale

Nello scenario appena descritto e in un’epoca di cambiamenti rapidi e imprevedibili dove la tecnologia avanza a passi da gigante, il mercato del lavoro è in continua evoluzione e le sfide globali richiedono soluzioni innovative, educare all’imprenditorialità significa acquisire un bagaglio di competenze che vanno ben oltre la creazione di una startup.

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L’imprenditorialità, infatti, secondo la definizione dell’EntreComp è definita come la capacità di agire su opportunità e idee per creare valore per gli altri, che può essere sociale, culturale o finanziario. EntreComp riconosce la possibilità utilizzare la competenza imprenditoriale in qualsiasi contesto: dalla formazione scolastica all’innovazione sul luogo di lavoro, dalle iniziative comunitarie all’apprendimento applicato in ambiti universitari. Nel quadro EntreComp, l’imprenditorialità è dunque una competenza per la vita. Essere creativi o impegnarsi per innovare sono ugualmente rilevanti per progredire nella propria carriera professionale o progettare nuove idee imprenditoriali. Se interpretata in questo modo educare all’imprenditorialità offre una risposta strategica alla crescente domanda di competenze del futuro. Tra le più richieste ad esempio emergono:

  1. Problem solving e pensiero critico: comprendere e analizzare una situazione problematica, individuando e attuando la soluzione migliore. Questa è l’essenza stessa del processo imprenditoriale, dove la creazione di startup nasce spesso dalla capacità di affrontare sfide complesse in modo innovativo;
  2. Lavoro di squadra: la predisposizione al lavoro collaborativo è cruciale per creare coesione tra colleghi e promuovere il sostegno reciproco. Prima ancora dell’idea di una startup, ci sono le persone e la loro capacità di lavorare insieme. Partecipare a percorsi imprenditoriali favorisce lo sviluppo di questa competenza;
  3. Capacità comunicative: saper comunicare – con colleghi, soci, manager, clienti o investitori – è indispensabile. Gli aspiranti imprenditori affinano le loro capacità di ascolto, interazione ed empatia, elementi chiave per convincere stakeholder e costruire relazioni solide;
  4. Flessibilità: l’abilità di adattarsi a nuovi contesti e affrontare situazioni inedite, gestendo lo stress e lavorando in ambienti diversi. Essere flessibili significa anche saper “pivottare”, ossia modificare la propria strategia per rispondere al meglio alle sfide del mercato.

In un mercato del lavoro sempre più dominato dall’automazione e dalla trasformazione digitale, le competenze trasversali (soft skills) stanno assumendo un’importanza cruciale. Una ricerca condotta da McKinsey evidenzia le principali lacune in queste competenze, individuando tre aree fondamentali: “Problem solving, pensiero critico, innovazione e creatività”, “Capacità di gestire la complessità e l’ambiguità”, e “Comunicazione”. Questi aspetti sono essenziali per affrontare le sfide del futuro, dove l’adattabilità e la capacità di lavorare in modo efficace in contesti dinamici sono sempre più determinanti.

Nonostante il potenziale, in Italia, l’educazione all’imprenditorialità deve ancora affermarsi come pilastro del sistema formativo. Occorre promuovere un approccio che non si limiti a trasmettere conoscenze teoriche, ma che stimoli attivamente la mentalità imprenditoriale, integrando esperienze pratiche e interazioni con il mondo delle imprese.

Come insegnare l’imprenditorialità

Educare all’imprenditorialità non è semplice, e si possono identificare tre approcci principali:

  • Insegnamento “sull’imprenditorialità”: Questo approccio è prevalentemente teorico e mira a fornire una comprensione generale del fenomeno imprenditoriale. Gli studenti acquisiscono una solida base di conoscenze che li prepara a comprendere il contesto in cui operano le imprese. Sebbene sia fondamentale per costruire le basi, è spesso insufficiente a stimolare una mentalità imprenditoriale pratica.
  • Insegnamento “per l’imprenditorialità”: Orientato all’occupazione, questo approccio è focalizzato sul trasferimento di competenze pratiche. Gli studenti imparano a redigere un business plan, gestire la finanza aziendale e sviluppare strategie di marketing. L’obiettivo è fornire strumenti concreti per avviare e gestire un’impresa, avvicinando i partecipanti a esperienze reali.
  • Insegnamento “attraverso l’imprenditorialità”: Questo è l’approccio più esperienziale e processuale. Gli studenti vivono un vero e proprio percorso imprenditoriale, partecipando a progetti reali o simulazioni. Questo metodo non si limita a insegnare come sviluppare idee imprenditoriali, ma stimola anche la creazione di valore, sia personale che collettivo. Gli studenti acquisiscono competenze chiave per il mercato del lavoro, come problem solving, lavoro di squadra e resilienza, e hanno l’opportunità di riflettere se l’imprenditoria sia la strada giusta per loro.

Limiti e opportunità: il ruolo delle Università

L’Italia, storicamente, ha dedicato scarsa attenzione all’educazione imprenditoriale, sia nei curricula scolastici che universitari, limitando in questo modo lo sviluppo di competenze essenziali per affrontare le sfide di un mercato globale sempre più competitivo. Sebbene negli ultimi anni ci siano stati segnali di cambiamento, con l’introduzione di iniziative come laboratori, hackathon e programmi di supporto, il sistema educativo italiano non ha ancora pienamente integrato l’imprenditorialità come componente fondamentale della formazione. Questo divario ha rallentato la crescita di una cultura imprenditoriale diffusa, necessaria per rispondere alle rapide trasformazioni economiche e tecnologiche del nostro tempo. Inoltre, è fondamentale dotare tutti gli attori, compresi i docenti, di un linguaggio comune e di conoscenze, che siano funzionali ad un processo innovativo, che possa riguardare non solo il settore privato ma anche quello pubblico. Se infatti guardiamo alle istituzioni pubbliche, vediamo come serva un cambio di mentalità, un approccio più orientato all’azione e al risultato, simile a quello dell’imprenditore. Un imprenditore, infatti, non aspetta che tutti i pezzi siano al loro posto per agire, ma si assume il rischio, la responsabilità e la spinta per fare. È un leader che lavora per il bene comune, non solo per il profitto, e riesce a motivare e a ispirare gli altri. Allo stesso modo, chi lavora nella pubblica amministrazione dovrebbe avere il coraggio di fare, con un forte senso etico e la determinazione di ottenere risultati concreti, anche se difficili. Non basta modificare le regole; serve competenza, passione e flessibilità per tradurre le riforme in azioni utili per tutti i cittadini.

Tuttavia, i dati del Global University Entrepreneurial Spirit Students’ Survey (GUESS) evidenziano che circa il 70% degli studenti italiani aspira a una carriera da dipendente, considerando l’avvio di un’attività in proprio solo come opzione di lungo periodo (dopo 5 anni dalla laurea). Questo atteggiamento riflette un gap culturale e formativo, aggravato dalla scarsa presenza di corsi specifici sull’imprenditorialità nelle università. Tuttavia, proprio le Università possono giocare un ruolo cruciale nel creare un clima favorevole all’innovazione, come dimostrato dai programmi ed iniziative che incentivano lo sviluppo di idee imprenditoriali e startup. Progetti editoriali come “Essere Startupper” non solo guidano all’approfondimento teorico e stimolano lo sviluppo di competenze pratiche, ma giocano anche un ruolo fondamentale nel modificare la percezione culturale dell’imprenditore, trasformandolo in una figura centrale per il progresso economico e sociale. Inoltre, promuovendo un maggiore coinvolgimento tra università e imprese, tra docenti e professionisti, ed un approccio integrato sul tema iniziative di questo tipo possono trasformare le sfide odierne in opportunità concrete per le future generazioni.

L’importanza di formare cittadini e professionisti con una mentalità imprenditoriale

L’educazione imprenditoriale non è solo una leva per stimolare la creazione di imprese, ma una risposta strategica alle esigenze del futuro. Formare cittadini e professionisti con una mentalità imprenditoriale significa preparare individui capaci di affrontare l’incertezza, guidare il cambiamento e contribuire attivamente alla crescita economica e sociale. Una “svolta imprenditoriale” necessaria per trasformare le sfide di oggi nelle opportunità di domani.

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