Il fallimento dell’economia russa, e la guerra silenziosa dei fedelissimi di Putin

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Il Centro russo per l’analisi macroeconomica ha previsto un’ondata di fallimenti aziendali in Russia, presentando dati che mettono sul banco degli imputati gli elevati tassi di interesse imposti dalla Banca centrale russa per fermare l’inflazione. Lo studio è in buona parte strumentale, dal momento che il direttore del centro è Dmitry Belousov, fratello del ministro della Difesa, Andrej Belousov, economista di stampo sovietico e consigliere di Vladimir Putin, un tecnocrate del Cremlino che vorrebbe un maggior controllo dello Stato sull’economia.

Negli ultimi mesi il centro studi dei fratelli Belousov – noto all’estero come Center for macroeconomic analysis and short-Term forecasting (Camac) – è diventato uno dei principali gruppi di pressione all’interno della cerchia del potere di Mosca contraria alla politica monetaria della governatrice della Banca centrale Elvira Nabiullina, che per contrastare la crescita dell’inflazione – alimentata dalle abnormi spese militari – ha applicato una dura politica di aumento del tasso d’interesse base, alzandolo fino al ventuno per cento dal 7,5 di luglio 2023, il più alto da oltre vent’anni. 

La persistenza dell’alto costo del denaro sta mettendo in difficoltà le imprese russe, stritolate dalla crescita costante dei costi di rimborso dei prestiti. Tutto questo mentre l’inflazione non smette di crescere, con il dato ufficiale tornato a sfiorare la doppia cifra e un tasso di crescita dei prezzi al consumo che alla fine del 2024 ha superato l’undici per cento, il più alto degli ultimi nove anni. Nel rapporto di gennaio la Banca centrale ha rilevato che a dicembre l’inflazione alimentare – dopo la conversione dei tassi mensili in tassi annuali – è salita al 22,9 per cento, superando di quasi tre volte i livelli di dicembre 2023. A soffrire sono anche le grandi imprese degli oligarchi vicini al Cremlino. 

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Nel loro studio gli analisti del Cemac indicano che a causa dell’aumento del costo dei prestiti le aziende fanno fatica a pagare i fornitori, mentre al contempo si riducono i margini di profitto, spingendo le società dotate di liquidità a spostarla sui normali conti di deposito a breve termine, che a queste condizioni risultano più profittevoli degli investimenti. Le aziende – comprese le grandi società statali come Gazprom (gas e petrolio), Rosneft (petrolio), Rzd (treni e ferrovie) e gli appaltatori della Difesa del conglomerato Rostec – stanno tagliando gli investimenti per il 2025 a causa dei i costi eccessivi di finanziamento. 

Ai tassi di prestito attuali la redditività di molte imprese è di fatto o paralizzata o inferiore ai rendimenti dei titoli di Stato russi, rendendo insensato fare costose operazioni finanziarie per aumentare la produzione. Secondo i calcoli del Cemac, nell’industria manifatturiera oltre il venti per cento delle imprese ha un livello di indebitamento giudicato rischioso, il che significa che stanno spendendo in rimborsi due terzi dei loro profitti (al lordo delle imposte sul debito). L’anno scorso il rapporto più alto tra rimborsi dei prestiti e profitti è stato registrato nei settori della costruzione di macchinari e di auto, nella lavorazione del legno, del cuoio e nella metallurgia. 

In alcuni settori, come l’edilizia e l’estrazione del carbone, il rendimento del capitale circolante – i profitti in proporzione al totale delle attività – è stato inferiore agli oneri finanziari. Non è la prima volta che il Cemac mette in guardia dai problemi potenziali sull’economia russa dovuti agli alti tassi di interesse. In un rapporto precedente aveva segnalato che il 2025 avrebbe potuto segnare in molti settori un nuovo record sull’onere del debito. Dopo quel primo avvertimento, diversi dati stanno confermando quella tesi. 

Il think tank dei fratelli Belousov è certamente di parte nel voler favorire la delle grandi imprese e degli appaltatori della difesa, ma è storicamente considerato un’ottima fonte di dati e analisi sul settore industriale russo. Le prospettive illustrate dal Cemac sono viste con allarme dai grandi oligarchi dell’industria e dal Ministro dello vviluppo economico Maxim Reshetnikov, che vorrebbero che la governatrice Nabiullina cambiasse radicalmente la sua politica monetaria cominciando a tagliare il costo del denaro abbassando il tasso d’interesse base. Due visioni opposte all’interno del cerchio stretto del regime putiniano, destinate a scontrarsi. 

Secondo gli esperti, allentare la politica monetaria della Banca centrale spingerebbe la Russia nel pericolosissimo territorio dell’iper-inflazione, visto che la radice di ogni problema dell’economia russa è la volontà di Putin di proseguire a tutti i costi il conflitto, un argomento che però non può essere nominato da nessuno (almeno pubblicamente), neanche da tecnocrati rispettati da tutti e di provata competenza come Belousov e Nabiullina. 

La prossima riunione della Banca centrale in cui fissare il tasso d’interesse si terrà il 14 febbraio. Nell’ultima riunione, quella di fine dicembre, Nabiullina ha in parte ceduto alle pressioni lasciando invariato il tasso al ventuno per cento. Probabilmente le sue decisioni saranno in gran parte determinate dai dati non ancora pubblicati relativi ai prestiti alle imprese a dicembre. Lo squilibrio macroeconomico dovuto all’inflazione e all’alto costo del denaro è uno degli aspetti chiave dell’economia russa e, di conseguenza, del destino della Russia e della guerra in Ucraina.



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