In Cile la riforma delle pensioni

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Era stata una delle rivendicazioni popolari più intense emerse dall’estallido social, l’ondata di proteste scoppiata nell’ottobre 2019, che causò una trentina di morti e migliaia di feriti. Per diventare, poi, una delle promesse della campagna elettorale di Gabriel Boric, nel 2022. Finalmente la riforma delle pensioni è stata approvata in Cile, accrescendo in qualche modo la credibilità dello schieramento progressista, in vista delle prossime elezioni presidenziali e legislative di novembre.

Approvata dal parlamento a larga maggioranza, con 110 voti favorevoli e 38 contrari, la riforma ha avuto l’appoggio determinante della Democrazia cristiana e di una parte consistente della destra moderata di Chile vamos, dal momento che lo schieramento progressista non disponeva dei voti necessari alla sua approvazione. Frutto di una lunga trattativa parlamentare, è una soluzione di compromesso rispetto alle iniziali aspettative di Boric, ma costituisce un indiscusso passo in avanti, che ha inflitto un colpo all’impostazione individualistica del sistema pensionistico finora in funzione.

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Il nuovo testo migliora le basse pensioni, cambiando significativamente il sistema creato nel 1981 da José Piñera, fratello del defunto ex presidente Sebastián Piñera, grazie al quale la dittatura aveva introdotto un meccanismo basato sulla capitalizzazione individuale, obbligando ogni lavoratore a contribuire con il 10% della sua retribuzione mensile a un conto personale di cui disporre al momento del pensionamento, sessant’anni per le donne e sessantacinque per gli uomini. Il fondo, costituito da ogni lavoratore, viene ancora oggi affidato a una delle sette Administradoras de fondos de pensiones (Afp) esistenti, le aziende private che gestiscono le pensioni, accusate di essere una delle prime cause di un sistema pensionistico da fame. Sebbene il testo originario, presentato dal governo nel novembre del 2022, abbia subito modifiche sostanziali, quella approvata è la più grande riforma del sistema privato di capitalizzazione individuale, dato che, in precedenza, nessuno dei progetti – proposti dai governi della socialista Michelle Bachelet e del conservatore Sebastián Piñera – avevano avuto un tale respiro, accontentandosi di puntare a obiettivi parziali, come la creazione di una pensione pubblica per i più vulnerabili nel 2008 e la sua estensione nel 2022.

La riforma porta la pensione garantita universale (Pgu) da 216 a 253 dollari; aumenta gradualmente il contributo a carico del datore di lavoro, fino al 17%; istituisce la sicurezza sociale; incorpora meccanismi di solidarietà e rafforza la regolamentazione del settore per renderla più competitiva. Entrerà in vigore gradualmente a marzo, dopo avere ottenuto il placet della Corte costituzionale. La nuova legge avvantaggia circa 2,8 milioni di pensionati, con aumenti tra il 14% e il 35%, ma non pone fine alle contestate Afp, come inizialmente voleva il governo. Attraverso l’associazione che le rappresenta, queste hanno denunciato diversi punti che potrebbero danneggiare le pensioni dei lavoratori in futuro. Costringendo il ministro delle Finanze, Mario Marcel, a dichiarare a Radio cooperativa che la posizione delle Afp dimostra che “non sono ancora in grado di voltare pagina”, dato che si sono opposte a ogni proposta di riforma fin dall’inizio, promuovendo campagne, pubblicando rapporti sempre con opinioni molto critiche. Alla fine, la politica non le ha ascoltate, “perché era troppo evidente che avevano un conflitto di interessi”.

Il testo approvato viene incontro a una delle maggiori preoccupazioni dei cileni circa il loro futuro pensionistico, e, con i meccanismi di solidarietà intergenerazionale introdotti, scardina il principio individualistico su cui era basato il sistema voluto da Pinochet. Secondo l’ultimo sondaggio Cadem, il 65% dei cileni è favorevole al disegno di legge presentato da La Moneda, mentre il 30% è contrario. Tra gli elettori, che si identificano con destra-centrodestra, il 50% è d’accordo e il 44% in disaccordo. Mentre, tra coloro che si identificano politicamente con la sinistra-centrosinistra, i favorevoli raggiungono l’84%. Allo stesso modo, il 52% ritiene che la riforma rappresenti tutti i settori in modo equo. Tra le persone d’accordo con l’approvazione, ci sono gli adulti di età superiore ai 55 anni (71%), e le persone provenienti da bassi segmenti socioeconomici (73%). I più contrari sono gli intervistati di livello socioeconomico medio (44%) e politicamente identificati con la destra (44%).

Non è un caso, quindi, che José Antonio Kast, il leader di estrema destra del Partido republicano, che ha perso contro Boric il ballottaggio presidenziale del 2021, abbia attaccato la riforma, accusandola di “togliere ai lavoratori uno dei loro beni più preziosi, il diritto alla proprietà sui loro risparmi”, e abbia promesso di abrogarla se riuscirà ad arrivare al potere nelle elezioni presidenziali di novembre. Opposta la valutazione del ministro del Lavoro e della Previdenza sociale, Jeanette Jara, secondo la quale “è stato possibile fare un passo molto importante (…). È una riforma che cambia il volto di ciò che la dittatura ha fatto in questo Paese. Siamo passati da una logica meramente individualista a integrarla con un’assicurazione sociale e ad avvicinarci a principi così ragionevoli e necessari, come la solidarietà”. Ma le critiche sono pervenute anche da parte dei settori più progressisti della società, che lamentano come la nuova legge non abbia posto fine completamente alle Afp, per lasciare il posto a un’assicurazione sociale universale in grado di amministrare le pensioni dei lavoratori cileni in modo equo.

Comunque, per quanto lontana dalla iniziale proposta del presidente Gabriel Boric – e frutto di una lunga trattativa con la destra moderata di Chile vamos, il partito che aveva espresso il presidente Sebastián Piñera –, la nuova legge rappresenta un successo politico per il fronte progressista, che finalmente realizza una delle sue promesse elettorali, mentre il progetto di riforma fiscale sembra impantanato. Non è un caso che anche il Partido comunista e il Frente amplio, cioè le parti più radicali della coalizione di governo, abbiano votato a favore, pur ritenendo che fossero state fatte troppe concessioni, e si fosse rinunciato a un sistema con maggiore peso statale. Ciò detto, l’ultimo sondaggio di Data Influye rivela come la nuova legge non abbia messo la parola fine al problema pensionistico, dato che per il 64% degli over 55 essa non risolverà “definitivamente” il problema delle pensioni, contro il 33% che ritiene che lo risolverà solo “in parte”, e a fronte dell’1% che è molto soddisfatto. Realistico appare, quindi, il giudizio espresso dall’economista Guillermo Larraín, secondo cui “i Paesi più avanzati hanno sistemi misti, ma questi sono più dominati dallo Stato, mentre in Cile la strada è stata al contrario, poiché si sta passando da un sistema molto privato a uno un po’ più pubblico”.

Sta di fatto che la legge appena approvata va ad aggiungersi ai risultati positivi della gestione di Gabriel Boric, tra i quali vanno annoverati la riduzione della giornata lavorativa a quaranta ore e l’aumento del salario minimo a 500.000 pesos (518 dollari americani), approvato nel luglio scorso. Secondo il centro di ricerca Rumbo Colectivo, peraltro non ostile a Boric, l’esecutivo vanta il 28,9% (203) di iniziative soddisfatte e il 22,8% (160) di promesse programmatiche parzialmente realizzate. Queste cifre portano il saldo positivo del suo governo al 51,7%.

La presidenza dell’ex leader della protesta studentesca era nata dalle proteste del 2019-2020 che avevano, tra i maggiori obiettivi, una nuova Costituzione che superasse quella approvata nel 1980, durante l’ultimo scorcio della dittatura. La storia è nota (vedi qui). L’elezione della Convenzione costituzionale, dominata dai movimenti popolari a scapito delle forze politiche tradizionali, che aveva il compito di redigere una nuova Carta fondamentale, aveva portato, nel luglio 2022, a una bozza considerata troppo avanzata sul piano sociale, e quindi bocciata da un referendum anche grazie a una vasta campagna a favore del “no”, caratterizzata da un ampio uso della disinformazione e di fake news. Ciononostante, il processo costituente era continuato, ma, a causa del cambiamento del clima politico intervenuto nel Paese, dove la destra ha aumentato il proprio peso, il testo alla fine approvato era orientato in un senso molto conservatore e liberista, in modo antitetico al precedente. Gabriel Boric ha così dovuto cercare di conciliare la gestione di un governo di minoranza con l’identità dei partiti che costituiscono il blocco Apruebo dignidad, che lo ha appoggiato, spostando sempre più il baricentro dell’esecutivo sui partiti tradizionali del suo schieramento.

Questo il clima politico in cui destra e sinistra cilene si avviano alla celebrazione delle primarie, che dovranno individuare i candidati alla presidenza. Nel centrosinistra, le principali carte sono Michelle Bachelet (Ps) e Carolina Tohá (Ppd), attuale ministra dell’Interno. Mentre, a destra, sono in vantaggio Evelyn Matthei (Udi) e José Antonio Kast (repubblicano). L’ultimo sondaggio di Pulso ciudadano, condotto a gennaio, indica che l’ex sindaca di Providencia, Evelyn Matthei, mantiene il primo posto nelle preferenze presidenziali dei cileni con il 27,4%, con un calo di 1,8 punti rispetto al mese precedente. L’ex presidente, Michelle Bachelet, ha il 12,2% delle preferenze, due punti in più, rispetto a dicembre, sul leader repubblicano, José Antonio Kast, che ha il 9,6%. Seguono il liberista ultraconservatore, populista, pinochettista, Johannes Kaiser con il 7,7%, che è cresciuto di 3,1 punti in un mese, e la ministra Carolina Tohá con il 3,2% (1,1 punti in più). Ancora secondo il citato sondaggio, i cittadini pensano che i principali problemi del Paese siano la delinquenza 47,6%, l’immigrazione 32%, il traffico di droga 22,9% e la salute 21,8%. In buona parte, argomenti in cui la destra sguazza. Nell’ultimo sondaggio Cadem, invece, Bachelet è al quarto posto, ma risulta come la più forte avversaria in un ipotetico secondo turno contro Matthei, cosa già successa nel 2013, quando entrambe si sono affrontate nel ballottaggio. La settantunenne esponente della destra tradizionale vincerebbe in tutti i casi, ma supera solo di quattro punti l’avversaria socialista (47% contro 43%). Il problema è che Bachelet ha dichiarato di non volere una terza candidatura, anche se potrebbe decidersi a scendere in lizza se risultasse essere la carta più competitiva in mano ai progressisti.

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In una intervista a “El País”di qualche giorno fa, Bachelet ha riportato una recente conversazione avuta con Luiz Inácio Lula da Silva, durante la quale il presidente brasiliano le ha suggerito di candidarsi a La Moneda per la terza volta, perché lui è felice di averlo fatto. Bachelet è già stata in carica nel 2006-2010 e nel 2014-2018, e, in attesa che si capisca cosa intende fare, il suo Partido socialista ha deciso di attendere la fine delle vacanze estive di febbraio. Il vantaggio rappresentato dalla settantatreenne Michelle, esclusa ogni possibilità di un profondo cambiamento in Cile nel prossimo futuro, è che la sua terza candidatura metterebbe d’accordo la sinistra, muovendosi nel solco dello stesso riformismo temperato cui è approdato il Boric del dopo fallimento del processo costituente, chiuso nel dicembre 2023. E – cosa di non poco conto data la situazione – potrebbe arrestare la spinta alla restaurazione presente nella tutto sommato moderata Evelyn Matthei.



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