Non solo Salva Milano: nel Lazio la nuova legge urbanistica è un catalogo degli orrori

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Si è finalmente aperto un dibattito su una proposta di legge nazionale battezzata “Salva Milano” che sanerebbe, diffondendola su tutto il territorio italiano, una pratica urbanistica della città lombarda che ha consentito di trasformare immobili di un piano o due in grattacieli di 85 metri di altezza, fuori da qualsiasi pianificazione pubblica. Ma intanto sta passando in sordina un provvedimento devastante della Regione Lazio che, con il sempiterno alibi della semplificazione normativa (e della rigenerazione e della limitazione del consumo di suolo!), prosegue sul solco della deregulation edilizia, moltiplicandone esponenzialmente le conseguenze che si abbatteranno sui territori, con danni irreversibili al paesaggio, all’ambiente e alla qualità della vita dei cittadini.

La Proposta di Legge 171 Semplificazioni e misure incentivanti il governo del territorio approvata dalla Giunta Rocca l’8 agosto 2024, che a breve arriverà al voto del Consiglio Regionale, è una sorta di catalogo degli orrori che rievoca la stagione della Presidente Polverini, con la moltiplicazione degli abbattimenti e ricostruzioni con aumento delle cubature, dei cambi di destinazione, la cancellazione o la drastica riduzione degli spazi culturali convertiti in strutture commerciali, l’abbassamento delle tutele paesaggistiche e molto altro.

Ventuno articoli che intervengono su decine di leggi regionali, a cominciare dalla legge della Rigenerazione Urbana del 2017. Per capirne il tenore basta leggere quanto riportato nella relazione illustrativa della Proposta: “… si aumentano gli incentivi volumetrici per gli interventi di demolizione e ricostruzione dell’art. 6 nonché per la ristrutturazione edilizia che nella normativa vigente non erano previsti”.

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L’art. 6 è quello della legge varata dall’allora maggioranza di centro sinistra guidata da Zingaretti dopo la fine della proroga del famigerato “Piano casa”, che abbiamo battezzato “demolisci villini” e che da anni chiediamo che sia cancellato o profondamente modificato. Una norma che consente “sempre” interventi di demolizione e ricostruzione incentivati dal premio di cubatura del 20% – un quinto del volume esistente – che sfuggono alle regole del Piano regolatore e alle decisioni degli uffici comunali, che quindi atterrano puntualmente solo nei luoghi più remunerativi dal punto di vista immobiliare, a Roma nella città storica: quartieri Parioli, Trieste, Prati, Nomentano, Monteverde, Città giardino e altri.

La Proposta della Giunta Rocca aumenta addirittura dal 20 al 30% la premialità delle demolizioni e ricostruzioni per le abitazioni e dal 10 al 20% quella per gli edifici produttivi. Queste le motivazioni fornite dalla Relazione: “Tali incentivi puntano a rendere i suddetti interventi maggiormente appetibili nonché consoni ad un mercato [immobiliare, nda] che ha visto una lievitazione importante dei costi di realizzazione”.

Ma la sequenza di modifiche va a ritoccare, peggiorandole, moltissime altre norme a tutela dei territori e dei cittadini che ci vivono: è cancellato l’obbligo di prevedere almeno il 20% di edilizia sociale nei programmi di rigenerazione urbana approvati dai comuni, aumentando per tali programmi ancora una volta gli incentivi volumetrici per i privati dal 35% al 60%. Sono ampliate le possibilità di cambio di destinazione d’uso, ad esempio consentendo la trasformazione in medie strutture di vendita laddove oggi sono vietate (le medie strutture di vendita nei comuni con più di 10.000 abitanti sono quelle con una superficie tra 250 mq e 2500 mq). In più articoli si cancella dal testo vigente l’obbligo che gli interventi siano consentiti solo su edifici legittimi o legittimati, aprendo di fatto a sanatorie mascherate.

Inoltre in più passaggi della proposta si introduce una sorta di “silenzio assenso” dei Comuni, ponendo un termine perentorio – e assai ristretto – per prevedere o escludere dagli strumenti urbanistici comunali l’ammissibilità di certi interventi, come la ristrutturazione edilizia e la demolizione e ricostruzione con mutamento della destinazione d’uso. Se i Comuni non escluderanno espressamente le zone in cui possono essere realizzati tali interventi entro il termine stabilito, i privati potranno ricorrere a un intervento diretto in qualsiasi zona.

Molte modifiche introdotte dalla PL riguardano il paesaggio, ponendosi perfettamente in linea con i ricorrenti tentativi di ridimensionarne la tutela, considerandola un inutile intralcio allo sviluppo economico e produttivo. Tentativi che da un lato puntano a invertire il dettato del Codice dei Beni culturali – della stessa Costituzione – che mette al primo posto il Paesaggio, subordinando alla sua tutela “piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico”, dall’altro intendono circoscrivere i beni paesaggistici in specifici oggetti di vincolo, trasformando il paesaggio in singoli edifici o luoghi puntuali, non inseriti in un contesto storico, culturale e ambientale da conservare nell’insieme. Ne è un esempio l’articolo che cancella l’esclusione degli insediamenti urbani storici dalla possibile trasformazione dei sottotetti in abitazioni, e che “salva” solo gli “edifici tutelati come beni storici o monumentali”, con le immaginabili conseguenze sullo skyline dei centri storici, dove si potranno operare modifiche alla conformazione dei tetti, aumenti di cubature, apertura di nuove finestre, per ricavare nuovi spazi per la rendita immobiliare.

E, in linea con un recente emendamento presentato dalla Lega e poi (provvisoriamente) ritirato, che intendeva trasformare il parere delle Soprintendenze da “obbligatorio e vincolante” a “obbligatorio ma non vincolante”, consegnando di fatto il potere decisionale nelle mani degli amministratori locali, un articolo della Proposta regionale prevede di delegare ai comuni l’autorizzazione paesaggistica che la normativa vigente limita agli interventi sottoposti a procedimento autorizzatorio semplificato: la Proposta allarga sia la casistica sia le dimensioni – e quindi gli impatti – affidando a Comuni, che spesso non hanno né il personale né le competenze necessari, le autorizzazioni di interventi che possono avere conseguenze irreversibili sul patrimonio collettivo da tutelare.

Infine ci sono le modifiche che intervengono pesantemente sulle sale cinematografiche e i centri culturali che Carteinregola segnala da tempo e che recentemente sono finalmente arrivate alla conoscenza dell’opinione pubblica.

Quelle descritte, e molte altre non citate, sono modifiche che nella stragrande maggioranza dei casi non rispondono a nessun interesse pubblico, ma solo a interessi privati. Ancora una volta la politica del centrodestra regionale dimostra di avere una visione del territorio come una mera risorsa economica da spremere a vantaggio dei singoli, dai piccoli proprietari alle grandi società finanziarie, senza alcuna preoccupazione per l’interesse generale e per le generazioni a venire.

Carteinregola insieme ad altre associazioni sta organizzando una serie di iniziative, compreso un presidio simbolico in Consiglio regionale quando la proposta arriverà all’Aula.

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