Blocchi, occupazioni e scioperi: la protesta degli studenti serbi non si ferma


Dopo oltre tre mesi e i primi risultati ottenuti, le proteste per il disastro della stazione ferroviaria di Novi Sad, in Serbia, non accennano a fermarsi. I manifestanti hanno già ottenuto le dimissioni del primo ministro Vučević e del sindaco della stessa cittadina, ma un gran numero di persone, guidate da giovani e studenti, continua a invadere le strade di tutta la nazione, paralizzando il Paese. Le proteste degli studenti hanno raggiunto tutte le fasce della popolazione, generando un movimento composito e variegato che sta colpendo dritto al bersaglio i punti più critici del Paese. Le richieste sono molteplici, ma muovono da alcuni punti fermi: la pubblicazione di tutti i documenti relativi ai lavori della stazione ferroviaria, l’archiviazione delle accuse contro i manifestanti arrestati nel corso degli ultimi mesi, un aumento dei finanziamenti pubblici all’istruzione, l’individuazione e l’incriminazione dei responsabili dell’incidente e la fine della corruzione.

Le rivolte popolari serbe hanno preso il via dopo che, lo scorso novembre, è crollata una tettoia nella stazione ferroviaria di Novi Sad, uccidendo 15 persone (tra cui un bambino di 6 anni) e ferendone gravemente altre due. Quella vicenda, considerata il simbolo più tangibile della corruzione e dell’incuria che permeerebbero le istituzioni serbe, ha acceso la miccia di una protesta popolare senza precedenti. Da allora, il movimento sociale del Paese non si è fermato. Una delle ultime e più significative manifestazioni si è tenuta tra sabato 1 e domenica 2 febbraio, a tre mesi dalla tragedia, nella stessa Novi Sad. In quell’occasione, decine di migliaia di manifestanti hanno marciato verso la cittadina dalla capitale Belgrado, occupando per 24 ore tre ponti sul Danubio e paralizzando la circolazione. In generale, quella del blocco drastico delle infrastrutture critiche sembra essere una delle azioni dimostrative che il movimento mette più spesso in pratica. Precedentemente, il 27 gennaio, c’era stata la più simbolica delle interruzioni stradali, che aveva colpito nel cuore un incrocio dello svincolo autostradale Autokomanda, a Belgrado. Il nodo attaccato funge da punto di intersezione tra le strade del centro della città e collega la capitale al resto del Paese.

Un’altra pratica portata avanti è quella dell’occupazione delle sedi universitarie, tanto che dall’inizio della protesta, ne sono state occupate più di sessanta. A prendere le redini della protesta, dopo tutto, sono stati proprio gli studenti, creando sin da subito un movimento dal basso che è al tempo stesso, sostengono i manifestanti, strutturato e privo di verticismi di sorta. Gli studenti, di preciso, sono organizzati in plenum, sorte di consigli di facoltà che decidono come organizzare le manifestazioni e, nel frattempo, portare avanti in maniera alternativa le lezioni universitarie, ferme da settimane. I manifestanti rivendicano la struttura orizzontale dei plenum, privi di rappresentanti e leader, e piuttosto organizzati in assemblee in cui tutti i partecipanti hanno il diritto di esprimere la propria opinione. Generalmente, durante le azioni dimostrative, viene messo in piedi un servizio d’ordine, e vengono individuate aree destinate alla preparazione del cibo, alle tende e ai servizi igienici. Proprio questa decentralizzazione, ritengono gli studenti, sarebbe alla base dell’ampia adesione alle manifestazioni da parte del resto della popolazione. In generale, il supporto che sta arrivando dai lavoratori è ampio e variegato: molti docenti si sono uniti alla causa, scioperando insieme agli studenti, e anche gli avvocati hanno lanciato una sospensione dei lavori per un mese; secondo alcune testimonianze, gli abitanti locali sembrano abitualmente unirsi alle proteste sia in forma attiva che fornendo supporto, ad esempio portando cibo nelle aree ristoro.

I manifestanti, di preciso, accusano il governo di corruzione e di mancata trasparenza e chiedono che vengano individuati e processati i responsabili del crollo della tettoia. A tal proposito, la facoltà di ingegneria ha contribuito a fornire alle autorità le richieste di rilascio della documentazione sull’incidente, avanzando richieste specifiche sui documenti tecnici che mancherebbero all’appello. Per ora, il presidente Vučić ha rilasciato solo parte della documentazione relativa alla stazione e all’incidente. Gli studenti, inoltre, chiedono un aumento della spesa per l’istruzione del 20%, le dimissioni del sindaco di Novi Sad e del primo ministro, e il rilascio dei manifestanti incarcerati. Di questi ultimi, i primi due obiettivi sono stati raggiunti; per quanto riguarda il rilascio dei manifestanti, Vučić ha effettivamente dato la grazia a 13 persone coinvolte nelle proteste novembrine, ma non è chiaro quante siano ancora detenute.

In generale, la risposta del governo alle manifestazioni è duplice: da una parte c’è un parziale accoglimento delle istanze degli studenti, dall’altro un tentativo di discredito del movimento e di lanciare contro-iniziative per dimostrare che il governo gode ancora di un solido sostegno. Vučić, di preciso, sta cercando di convincere la popolazione che le proteste sono orchestrate dall’estero: “Tutto ciò che stanno facendo è un tentativo di rivoluzione colorata. E su questo non ci sono dubbi. Le manifestazioni vengono portate avanti grazie a ingerenze straniere, provenienti da diversi Paesi occidentali”, ha dichiarato ospite presso l’emittente Happy TV. Vučić non è stato esplicito nei propri riferimenti e non ha puntato il dito contro nessuno di preciso. L’Unione Europea, tuttavia, sta venendo accusata dai manifestanti e dai loro sostenitori per quella che in molti ritengono una sua ingiustificata assenza. Per ora, infatti, l’UE pare essersi limitata a sollecitare le autorità serbe a condurre un’indagine sugli episodi di violenza contro i manifestanti, esortando a evitare qualsiasi forma di repressione. Il «silenzio» dell’UE è stato oggetto di critiche da parte di diverse personalità serbe, che hanno inviato una lettera alle istituzioni comunitarie in cui chiedono loro di riconoscere le ragioni delle manifestazioni.

[di Dario Lucisano]





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