Groenewald (Voice): “Per le comunità vulnerabili l’aiuto umanitario è questione di vita o morte”

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Parla la direttrice dell’alleanza europea delle ong: “La sospensione sia pur parziale degli aiuti americani rischia di avere implicazioni globali”

Pubblicato:07-02-2025 22:47

Ultimo aggiornamento:07-02-2025 23:15


ROMA – “Siamo preoccupati anzitutto per le comunità vulnerabili ostaggio di crisi e conflitti, poi per programmi di supporto adesso a rischio e non da ultimo per le organizzazioni locali dei Paesi fragili, che sono un ponte decisivo per l’assistenza”: Maria Groenewald, direttrice dell’alleanza delle ong europee Voice, parla con l’agenzia Dire della sospensione degli aiuti umanitari americani.

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Gli ordini esecutivi di Donald Trump stabiliscono un congelamento dei fondi per almeno 90 giorni, in attesa di verifiche e probabilmente di tagli. Il principio ispiratore, nella logica del presidente, sarebbe quello dell’efficienza. Con una postilla tutta politica: “l’allineamento” dei programmi di cooperazione alle priorità indicate da Washington, riassunte dallo slogan “America First”. Una delle domande che sembrano porsi alla Casa Bianca è se un programma di istruzione scolastica per i bambini del Mali o della Liberia finanziato dagli Stati Uniti abbia davvero un impatto positivo sulla vita di una famiglia del Michigan. Nel mirino è finita così l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (Usaid), prima colpita da licenziamenti e minacce di chiusura, poi posta sotto la guida del segretario di Stato Marco Rubio: di fatto, un commissariamento.

Di nazionalità tedesca, venti anni di esperienza con le ong, anche “sul campo” in Repubblica democratica del Congo o a Gibuti, Groenewald si è occupata di mobilitare risorse anche grazie alle direzioni specializzate della Commissione europea, in particolare Echo e Devco. Ora è a capo di un’alleanza di circa 90 organizzazioni che hanno base in 18 Paesi Ue e gestiscono progetti in cinque continenti.
Si comincia dai numeri anche nell’intervista. “Nel 2024”, calcola Groenewald, “gli Stati Uniti si sono confermati leader degli aiuti umanitari, contribuendo per il 42 per cento del totale mondiale, a fronte di un dato europeo di circa l’8 per cento”. La sospensione degli aiuti americani, sia pure mitigata da moratorie che escludono le forniture di “farmaci salvavita” e cibo, rischia di avere dunque implicazioni globali. “Tutti si stanno chiedendo cosa accadrà” evidenzia la direttrice. “E’ una situazione senza precedenti: da un giorno all’altro, si bloccano gli impegni per la fornitura di aiuti essenziali”. Non solo. “A pesare è l’incertezza su ciò che accadrà dopo la sospensione, prevista per ora per 90 giorni” denuncia Groenewald. “Per ora non si sono fatti avanti nuovi donatori e colmare il divario che si verrà a creare sarebbe quasi un miracolo”.

Ci sono timori nel medio periodo, così come necessità impellenti. “Cosa fare in situazioni di crisi, con comunità vulnerabili che dipendono da aiuti salvavita?” chiede Groenewald. Non si tratta infatti solo di medicine. “In aree colpite da crisi e conflitti è imperativo garantire protezione umanitaria” sottolinea la direttrice. “E c’è poi il supporto allo sviluppo, con il sostegno alle comunità dopo una fase di crisi, perché costruiscano resilienza e possano superare una sofferenza che altrimenti sarebbe senza fine”.

Non tutti i bisogni e non tutti i Paesi sono uguali. “I rischi maggiori riguardano le crisi ‘neglected’, non dimenticate bensì trascurate o ignorate sulla base di decisioni politiche” denuncia Groenewald. “Penso all’Africa, ad esempio a ciò che è accaduto nelle ultime settimane, quando le notizie sul conflitto nell’est della Repubblica democratica del Congo hanno avuto difficoltà a catturare l’attenzione dei media e della comunità internazionale”. Secondo la direttrice, ogni Paese e ogni regione del continente ha le proprie specificità. “Ci sono però bisogni diffusi” dice Groenewald: “Nell’Africa orientale e australe le persone colpite da crisi sono circa 85 milioni, mentre nel Nord Africa e in Medio Oriente le necessità di assistenza riguardano 59 milioni”.

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Le difficoltà non sono cominciate con gli ordini esecutivi di Trump. “In decenni di esperienza ho visto che la disponibilità finanziaria è sempre stata inferiore rispetto ai bisogni” dice Groenewald. “E oggi le necessità sono enormi: riguardano nel complesso 305 milioni di persone”. E le ong europee, come risponderanno? “Devono riorganizzarsi subito, per capire come fare a garantire la continuità dei programmi” risponde la direttrice: “Se devono chiuderli, se riusciranno a trovare altri finanziatori o se le cose cambieranno ancora ad aprile, allo scadere dei 90 giorni di sospensione dei fondi americani”.

Un timore specifico riguarda i “local responders”, le ong locali, decisive per il successo dei progetti ma spesso deboli sul piano economico e dunque più esposte al rischio di chiusura in caso di tagli. Nei loro confronti c’è una responsabilità aggiuntiva, anche dell’Europa. Groenewald lo sottolinea alludendo a opportunità da cogliere, quasi rovesciando quel “Make Europe Great Again”, slogan e provocazione di Elon Musk. “L’Ue è stato finora un donatore stabile e ora potrebbe diventare più flessibile”, la tesi della direttrice. “L’obiettivo, che presuppone però i contributi di tutti gli Stati membri, è fare capire ai popoli del mondo che possono contare sull’Europa”.

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