*Il lavoro è frutto della riflessione comune delle Autrici. Nondimeno, i paragrafi 1, 2 e 4 sono da attribuirsi a Maria Crippa, e i paragrafi 3, 4 e 5 a Lavinia Parsi.
**Contributo destinato alla pubblicazione nel fascicolo 2/2025.
1. Premessa. – Il presente contributo intende fornire un’analisi delle accuse contenute nel mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale (Cpi) nei confronti di Osama Elmasry Njeem, anche noto come Almasri[1]. Elmasry, capo della polizia giudiziaria libica, è stato arrestato dalla Digos di Torino il 19 gennaio 2025, in esecuzione di una red notice emessa dall’Interpol su segnalazione del Procuratore della Cpi a seguito dell’emissione del mandato di arresto[2]. Il 21 gennaio la Corte d’Appello di Roma, in accoglimento della richiesta del Procuratore Generale, ha dichiarato non luogo a provvedere sull’arresto di Elmasry in quanto eseguito in maniera ‘irrituale’, in assenza di previe interlocuzioni con il Ministro della Giustizia[3]. Ne è seguita l’immediata scarcerazione di Elmasry e il suo rimpatrio, asseritamente in quanto soggetto pericoloso proprio perché attinto da mandato di arresto della Cpi[4]. Numerosi contributi hanno evidenziato le questioni processuali sottese al caso, relative alla interpretazione degli artt. 3 e 11 della l. 237/2012, nonché le possibili violazioni ascrivibili all’Italia per la violazione degli obblighi di cooperazione con la Cpi imposti dagli artt. 86 e seguenti Statuto di Roma e del principio aut dedere aut iudicare di cui agli artt. 6 e 7 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984[5]. La vicenda Elmasry impone, altresì, alcune riflessioni circa l’ampiezza delle accuse e i profili di responsabilità a costui attribuiti, nel contesto delle indagini del Procuratore della Cpi sulla Situazione in Libia.
2. I crimini internazionali oggetto del mandato di arresto (par. 17-90). – Come anticipato, il 18 gennaio 2025 la Camera preliminare I della Cpi, a maggioranza, ha emesso nei confronti di Elmasry il mandato di arresto richiesto Procuratore il 2 ottobre 2024. Il collegio giudicante ha, infatti, concluso per la sussistenza di “ragionevoli motivi per ritenere”, secondo lo standard probatorio imposto dall’art. 58(1) Statuto di Roma per l’emisssione dei mandati di arresto, che Elmasry abbia commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità a partire dal 15 febbraio 2015 nel centro di detenzione di Mitiga, vicino a Tripoli, sotto il suo controllo all’epoca dei fatti (par. 14-16).
L’elemento contestuale dei crimini di guerra (par. 17-22)[6]
La Camera preliminare I ha, innanzitutto, ritenuto soddisfatto l’elemento di contesto dei crimini di guerra ai sensi dell’art. 8(2)(c) e (e) Statuto di Roma, in quanto i crimini ascritti a Elmasry risultavano commessi nel contesto e in connessione con il conflitto armato non internazionale in Libia, con conseguente applicazione del diritto internazionale umanitario a tutela delle vittime. Parte dei detenuti nella prigione di Mitiga erano, infatti, privati della libertà per motivi legati al conflitto in corso e, come tali, protetti dall’articolo 3 comune alle Convenzioni di Ginevra del 1949, indipendentemente dal loro status di combattenti, civili o membri delle forze armate. La Camera preliminare ha, inoltre, sottolineato il grado di intensità del conflitto, quanto meno a partire dal maggio 2014, tra l’Esercito Nazionale Libico (Libyan National Army, LNA) e l’esercito del Governo di Unità Nazionale (Government of National Accord, GNA), supportato dalle forze di deterrenza speciale (Special Deterrence Forces, SDF/RADA). Secondo la ricostruzione dei giudici, il carattere organizzato di quest’ultimo gruppo era desumibile proprio dal sostegno apprestato alle forze di natura governativa. La consapevolezza di Elmasry circa l’esistenza del conflitto armato è stata, infine, oggetto di valutazione nell’ambito della prova sulla mens rea (sui cui infra, par. 3).
L’elemento contestuale dei crimini contro l’umanità (par. 23-26)[7]
Per quanto riguarda i crimini contro l’umanità, la Camera preliminare ha riconosciuto l’esistenza di un attacco esteso e/o sistematico contro la popolazione civile detenuta a Mitiga tra febbraio 2015 e, quanto meno, marzo 2024. Le vittime erano individuate in ragione della loro presunta opposizione al GNA o alle forze SDF/RADA. Lo status civile delle vittime è stato desunto dai motivi posti a fondamento della loro detenzione, estranei al conflitto in corso. I detenuti per ragioni invece legate al conflitto erano civili che avevano partecipato direttamente alle ostilità e, come tali, una volta arrestati rientravano anch’essi nella definizione di civili ai sensi dell’art. 7(1) Statuto di Roma. Le forze SDF/RADA disponevano delle risorse necessarie per condurre l’attacco contro la popolazione civile, come dimostrato dal grado di organizzazione interna al gruppo e dalla capacità di gestione della prigione di Mitiga, la più grande struttura detentiva della Libia occidentale, che tra il 2015 e il 2024 aveva ospitato migliaia di detenuti (almeno 5.140, secondo quanto sostenuto dal Procuratore)[8]. L’attacco si era articolato in atti sistematici e ripetuti, caratterizzati da un modus operandi coerente nel corso degli anni, come tale indicativo di una politica organizzativa deliberata da parte delle forze SDF/RADA.
La Camera preliminare ha, quindi, ritenuto sussistenti ragionevoli motivi di ritenere la commissione dei seguenti crimini attribuibili a Elmasry.
Detenzione illegittima come crimine contro l’umanità (art. 7(1)(e) Statuto di Roma); tortura come crimine di guerra e come crimine contro l’umanità (artt. 8(2)(c)(i) e 7(1)(f) Statuto di Roma); trattamento crudele come crimine di guerra (art. 8(2)(c)(i) Statuto di Roma); oltraggio alla dignità personale come crimine di guerra (art. 8(2)(c)(ii) Statuto di Roma) (par. 30-52)
La Camera preliminare ha rilevato l’assenza di un fondamento giuridico per la detenzione e la privazione della libertà personale dei detenuti nella struttura di Mitiga, in violazione delle norme fondamentali del diritto internazionale. I detenuti erano trattenuti per ragioni di natura religiosa (in quanto cristiani o atei), per la mancata adesione all’ideologia del SDF/RADA (ad esempio, mediante comportamenti ritenuti “immorali” o a causa del proprio orientamento sessuale), per sospetti legami con l’LNA o l’ISIS, nonché per finalità punitive. Le modalità di arresto e detenzione risultavano gravemente lesive dei diritti fondamentali, caratterizzandosi per l’assenza di informazione circa i motivi dell’arresto e della successiva reclusione, per la conduzione delle operazioni da parte di individui mascherati e non riconoscibili, per forme di coercizione dei detenuti affinché rivelassero l’identità ovvero prendessero contatto con altri soggetti da arrestare, nonché per la negazione dell’accesso a tutela legale e assistenza medica. Le condizioni detentive erano particolarmente severe e caratterizzate da sovraffollamento, scarsa igiene, isolamento prolungato e uso sistematico della tortura, impiegata sia come mezzo di coercizione per ottenere informazioni o confessioni, sia come strumento punitivo e di sottomissione. I detenuti erano sottoposti a umiliazioni, minacce e violenze fisiche, tra cui percosse con tubi di plastica e manganelli, ferite da arma da fuoco, elettrocuzioni, posizioni di stress (denominate “balanco” e “falqa”) e reclusione in spazi angusti. La brutalità inflitta rispondeva non solo a finalità repressive, ma, talvolta, anche al mero compiacimento delle autorità carcerarie.
Violenza sessuale e stupro come crimine di guerra e crimine contro l’umanità (artt. 8(2)(e)(vi) e 7(1)(g) Statuto di Roma) (par. 56-66)
Il Procuratore ha sostenuto che almeno 22 persone, tra cui un minore di cinque anni, sono state vittime di violenza sessuale all’interno del carcere di Mitiga. Gli abusi, perpetrati sia dal personale dell’SDF/RADA, compreso Elmasry, sia da altri detenuti, comprendevano molestie sessuali, aggressioni fisiche a sfondo sessuale, senza distinzioni di genere, e abusi su minori. I detenuti erano oggetto di violenze, minacce e umiliazioni, ispezioni corporali degradanti e perquisizioni invasive percepite come sessualmente umilianti. Inoltre, almeno sei detenuti sarebbero stati vittime di stupro, perpetrato sia dalle forze dell’SDF/RADA che da altri prigionieri. La Camera ha desunto l’assenza di consenso in capo alle vittime dal contesto coercitivo nel quale tali violenze si verificavano, aggravato dalla privazione della libertà e dalla estrema vulnerabilità dei soggetti, tra i quali, come anticipato, anche un minore.
Omicidio come crimine di guerra e crimine contro l’umanità (artt. 8(2)(c)(i), 7(1)(a) e 25(3)(f) Statuto di Roma) (par. 67-73)
Secondo la Camera preliminare I, almeno 34 detenuti sono stati uccisi nella prigione di Mitiga nel periodo considerato. Dalla documentazione esaminata dal collegio giudicante è emerso, infatti, che almeno quattro detenuti sono deceduti a causa di ferite da arma da fuoco; almeno 12 in conseguenza di torture o altri gravi maltrattamenti; circa 16 a causa della mancanza di cure mediche adeguate; e almeno due per essere stati costretti a dormire all’aperto nel cortile del carcere nonostante le temperature rigide.
Persecuzione come crimine contro l’umanità (art. 7(1)(h) Statuto di Roma) (par. 86-90)
Da ultimo, i giudici hanno evidenziato che gli individui provenienti dall’Africa subsahariana sono stati oggetto di trattamenti particolarmente degradanti durante la detenzione nella prigione di Mitiga[9]. Essi erano, infatti, considerati come “schiavi”, e dunque assegnati a lavori forzati e impiegati per compiti di gestione della struttura detentiva, come il trasporto e le perquisizioni. Venivano, inoltre, sottoposti a gravi violenze fisiche, tra cui l’imposizione di posizioni di stress, la costrizione in casse verticali (le “bare”) e a percosse con il metodo della “falqa”. Come anticipato, i detenuti che non aderivano alla fede religiosa dell’SDF/RADA – compresi coloro che si professavano di confessioni minoritarie, pratiche religiose non conformi o atei – erano sottoposti a maltrattamenti e costretti all’indottrinamento. Le vittime erano, inoltre, arrestate e detenute sulla base di una presunta o effettiva non conformità alla linea politica e ideologica dell’SDF/RADA, con particolare riferimento all’orientamento sessuale. Alla luce di tali elementi, la maggioranza della Camera ha ritenuto sussistenti ragionevoli motivi per affermare che diversi gruppi di civili erano perseguitati all’interno della prigione di Mitiga, in connessione con gli altri crimini contro l’umanità descritti nel mandato di arresto, come richiesto dall’art. 7(1)(h) Statuto di Roma[10].
3. La responsabilità penale individuale di Elmasry: responsabilità per commissione diretta e indiretta ex art. 25(3) (par. 91-98) – Dal punto di vista della responsabilità individuale, il mandato di arresto si basa su diversi criteri di imputazione per i diversi crimini oggetto di indagine. Come noto, infatti, lo Statuto di Roma prevede diversi modelli di attribuzione della responsabilità penale, di tipo diretto (commissione diretta, individualmente o in concorso) e di tipo indiretto (ordine, istigazione, incoraggiamento; aiuto o assistenza; contributo nella realizzazione di un “piano condiviso” da parte di un gruppo).[11] Relativamente ai crimini di tortura, trattamenti crudeli, stupro, violenza sessuale ed omicidio, la Camera Preliminare I ha ritenuto che Elmasry potesse essere responsabile nella forma di commissione diretta ex art. 25(3)(a), Statuto di Roma. Emerge infatti che l’abuso fisico nei confronti dei detenuti era una pratica comunemente diffusa tra gli operatori del centro di Mitiga, che riportavano direttamente ad Elmasry. Questi, in alcune occasioni, avrebbe personalmente assistito a momenti in cui le guardie percuotevano o sparavano ai detenuti.
Alternativamente, i giudici hanno ritenuto che le stesse condotte potessero essere attribuite all’indagato nella forma della partecipazione accessoria nei crimini commessi da uno o più gruppi (art. 25(3)(d), Statuto di Roma), nella forma di avere ordinato la commissione del crimine (art. 25(3)(b), Statuto di Roma) o in quella di complicità ex art. 25(3)(c), Statuto di Roma. Tali conclusioni sarebbero supportate dal fatto che Elmasry era al momento dei fatti il direttore, de jure o de facto, del centro detentivo di Mitiga: in tale veste, era responsabile delle guardie, come dimostrato dal fatto che ne organizzava i turni e dava loro ordini. Esercitava inoltre un controllo amministrativo sui detenuti, dal momento che presenziava e decideva in merito al collocamento dei detenuti per scopi organizzativi, a fini punitivi, o per impedire comportamenti rivoltosi. Ad ulteriore conferma del ruolo “gestionale” dell’indagato, si rileva inoltre che questi avrebbe istruito le guardie affinché si assicurassero di non lasciare segni visibili sui corpi dei detenuti e avrebbe punito il personale che forniva assistenza ai detenuti nel contattare le proprie famiglie o nell’ottenere del cibo.
Rispetto all’elemento soggettivo, la Corte ha ritenuto che le prove presentate dal Procuratore rappresentino ragionevoli motivi per ritenere che Elmasry abbia agito con dolo, così come richiesto dall’art. 30 dello Statuto. Tale norma, che richiede che il reo agisca con “conoscenza ed intenzione”, rappresenta infatti lo standard di colpevolezza richiesto dallo Statuto, ove non specificato altrimenti. A tal proposito, i giudici hanno valorizzato il fatto che Elmasry avrebbe contribuito alle condotte in esame, commettendole direttamente, assistendovi o ordinandole. La Corte ha evidenziato che l’indagato non poteva non essere consapevole della natura criminale di tali condotte, che non potevano essere in alcun modo giustificato – il riferimento in particolare è ai crimini di tortura e violenza sessuale. Inoltre, nella sua qualità di direttore del centro di Mitiga, anche qualora determinati fatti si fossero verificati in sua assenza, egli ne era consapevole o era almeno consapevole del fatto che tali fatti si sarebbero verificati nell’ordinario corso degli eventi[12].
4. La Situazione in Libia di fronte alla Corte penale internazionale. – La rilevanza che avrebbe assunto la consegna di Elmasry alla Cpi deve essere letta nel contesto delle indagini dell’Ufficio del Procuratore della Cpi nella Situazione in Libia, relative a crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi sin dall’inizio della guerra civile nel 2011. Nonostante la Libia non sia uno Stato parte dello Statuto di Roma, la Cpi avviava le indagini ex art. 13(b) dello Statuto di Roma sulla base di un referral da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, nel quale venivano condannati “la violenza e l’uso della forza contro i civili, […] la grave e sistematica violazione dei diritti umani, compresa la repressione di manifestanti pacifici, […] l’uccisione di civili e […] l’incitamento all’ostilità e alla violenza contro la popolazione civile lanciato dai più alti livelli del governo libico”, allora sotto Muammar Gheddafi[13]. Inizialmente, l’attività della Corte si era pertanto concentrata sui crimini di guerra commessi nell’ambito del conflitto armato che aveva coinvolto il regime e diverse milizie e gruppi armati formatisi in quel contesto. Come ben ricostruito tramite testimonianze dirette delle vittime, raccolte da organizzazioni della società civile[14] e dalla Fact Finding Mission delle Nazioni Unite[15], per il proprio sostentamento ed ai fini di consolidare il proprio potere sul territorio tali milizie hanno concepito sistemi di sfruttamento basati sulla detenzione arbitraria a fini di estorsione, riduzione in schiavitù e ottenimento di informazioni tramite tortura. Oltre ad essere ormai univocamente qualificate come crimini contro l’umanità[16], il mandato d’arresto in esame conferma che tali condotte rappresentano altresì potenziali crimini di guerra in quanto derivanti da, e funzionali a, il proseguimento del conflitto armato originato nel 2011.
Alla luce di ciò, l’Ufficio della Procura aveva suddiviso le indagini nella Situazione in Libia in quattro distinti filoni di indagine tra loro connessi: (a) le violenze del 2011; (b) i crimini nelle strutture di detenzione; (c) i crimini legati alle operazioni 2014-2020; (d) i crimini contro i migranti[17]. Allo stato attuale, tuttavia, solo il primo filone aveva portato all’apertura di casi nei confronti di specifici indagati, casi che risultavano però da diversi anni inattivi[18]. I primi procedimenti venivano infatti estinti per la morte degli indagati (Muammar Gheddafi; Al-Tuhamy Mohamed Khaled; Mahmoud Mustafa Busayf Al-Werfalli)[19], altri per loro inammissibilità in forza del principio di complementarietà ex art. 17 Statuto di Roma, in quanto i medesimi fatti risultavano giudicati da un tribunale domestico (Abdullah Al-Senussi),[20] mentre rimane latitante Saif Al-Islam Gheddafi. Il filone d’indagine relativo alle operazioni 2014-2020, con particolare riferimento ai crimini commessi dalla milizia Al Kaniyat a Tarhunah, ha invece dato origine a sei mandati d’arresto desecretati a ottobre 2024[21].
Alla luce dei fatti contestati, il mandato d’arresto nei confronti di Elmasry si colloca presumibilmente all’intersezione tra i filoni d’indagine relativi rispettivamente ai crimini nelle strutture di detenzione e ai crimini contro i migranti. Rispetto a quest’ultimo, l’Ufficio della Procura aveva finora preferito un approccio orientato verso la c.d. complementarietà positiva, affidando l’indagine e la prosecuzione dei crimini principalmente alle giurisdizioni nazionali coinvolte: in attuazione della nuova policy del Procuratore in materia di complementarietà e cooperazione, la strategia perseguita è di sostenere gli “gli sforzi […] a livello nazionale, anche in relazione ai migranti in Libia”, al contempo mantenendo il proprio ruolo di coordinamento e supervisione delle iniziative nazionali e regionali[22]. Proprio a tale scopo, dal 2022 l’Ufficio della Procura si è unito alla Squadra comune Thalassa, composta dalle autorità giudiziarie di Italia, Paesi Bassi, Spagna e Regno Unito e istituita ai sensi dell’art. 19 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale[23]. La Squadra comune mira a facilitare, con il supporto di Europol e Interpol, la condivisione di materiale probatorio e l’esecuzione di atti d’indagine, mandati di arresto e procedure di estradizione sulle gravi violenze commesse contro i migranti in Libia. D’altro canto, la ambiguità e problematicità del ruolo dell’Italia nelle vicende di sfruttamento e violenza nei confronti dei migranti è da tempo stata messa in luce in una serie di esposti presentati da vittime ed organizzazioni della società civile, sia presso la Cpi che dinnanzi a corti nazionali[24].
5. Il mancato arresto di Elmasry da parte dell’Italia: conseguenze sul piano nazionale ed internazionale
Come esplicitamente sottolineato da una recente nota dell’ANM[25], e contrariamente a quanto asserito dal Presidente del Consiglio, il mancato trasferimento di Elmasry da parte dell’Italia rappresenta non una necessaria decisione dell’autorità giudiziaria, ma il frutto di una scelta politica del Governo, in piena violazione degli obblighi imposti da norme nazionali ed internazionali[26]. L’Italia è infatti vincolata da un obbligo di cooperazione con la Cpi, ex art. 86 Statuto di Roma, ratificato dall’Italia con l. 232 del 1999. Tale obbligo, nel caso di specie, si declinava nel dovere di arrestare e consegnare l’indagato in virtù dell’art. 89(1), Statuto di Roma[27], che impone agli Stati parte di rispondere ad ogni richiesta di arresto e di consegna secondo le disposizioni dello Statuto e le procedure previste dalla loro legislazione nazionale. Come già ampiamente analizzato altrove[28], le procedure sono chiaramente delineate dalla l. 237/2012, in virtù della quale la trasmissione degli atti è affidata al Ministro della Giustizia che, ex art. 2, comma 1 della l. 237/2012, cura in via esclusiva i rapporti con la Cpi, ad egli competendo di ricevere le richieste dalla Corte e darvi seguito. Ad un evidente inadempimento da parte del Ministro della Giustizia, si aggiungono le possibili responsabilità penali di diversi membri del Governo, oggetto, come è noto, di due diversi esposti presentati alla Procura di Roma[29]. Il primo, già comunicato ex art. 6 comma 1 della legge costituzionale n. 1/1989[30], sarebbe stato rivolto nei confronti del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, del Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, del Ministro della Giustizia Carlo Nordio e del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, titolare della delega ai servizi segreti, per i reati di cui agli artt. 314 e 378 c.p. Il secondo esposto, presentato direttamente da un testimone e vittima dei reati commessi da Elmasry, è rivolto contro gli stessi ministri per il reato di cui all’art. 314 c.p. Parallelamente, la Cpi ha avviato delle procedure di verifica rispetto alla (mancata) azione dell’Italia, sottolineando il dovere degli Stati parte di cooperare con la Corte[31]. Il 5 febbraio 2025 i difensori di una delle presunte vittime di Elmasry hanno inviato all’Ufficio del Procuratore una richiesta di procedere nei confronti di Meloni, Nordio e Piantedosi per reati contro l’amministrazione della giustizia, ai sensi dell’art. 70 Statuto di Roma.[32] In questa prospettiva assume, dunque, rilevanza la mancata consegna di Elmasry alla Cpi da parte dell’Italia, cui consegue non solo la frustrazione degli obblighi di cooperazione giudiziale assunti in sede internazionale, ma altresì la vanificazione dell’efficacia stessa del mandato di arresto nel futuro prossimo.
[1] Cpi, Camera preliminare I, Situazione in Libia, Secretato ex parte, disponibile solo per la Procura, Sotto segreto, ex parte, a disposizione solo dell’accusa, Mandato d’arresto per Osama Elmasry / Almasri Njeem, compresa l’opinione dissenziente del giudice Socorro Flores Liera, 18 gennaio 2025, ICC-01/11-152-US-Exp-Anx.
[3] Corte d’Appello di Roma, Sez. IV Penale, Ordinanza in materia di consegna ex lege 237/2012 Corte penale internazionale, 21 gennaio 2025, Proc.n. 11 /2025 R.G. AGI.
[5] In questa Rivista: M. CAIANIELLO e C. MELONI, Caso Almasri: una discutibile interpretazione della legge di cooperazione dell’Italia con la CPI ha portato alla scarcerazione del primo ricercato arrestato sul suolo europeo nell’ambito delle indagini in Libia, 24 gennaio 2025; G. VANACORE, La scarcerazione del generale libico Elmasry. Nota critica alla interpretazione resa dalla Corte di Appello di Roma sull’art. 11 della legge di cooperazione tra l’Italia e la Corte Penale Internazionale, 27 gennaio 2025; v. anche, in italiano: V. BOLICI e A. DI MARTINO, La pagliuzza e la trave: il caso «Almasri», Questione giustizia, 25 gennaio 2025; K. GAVRYSH, Un po’ di chiarezza sulla mancata consegna di Osama Elmasry Njeem alla Corte penale internazionale, SIDIBlog, 24 gennaio 2025; L. PARSI, La Corte di Appello di Roma ordina la scarcerazione di Al Masri: alcune riflessioni sull’esecuzione da parte delle autorità italiane dei mandati d’arresto emessi dalla Corte Penale Internazionale, Giustizia insieme, 25 gennaio 2025; in inglese: L. POLTRONIERI ROSSETTI, The failure to arrest and surrender Osama Elmasry Njeem: “That Awful Mess” in Rome, EJIL:Talk!, 27 gennaio 2025; C. MELONI, Italy, Libya, and the Failure of State Cooperation with the International Criminal Court in the Elmasry Arrest Case, Just Securiry, 30 gennaio 2025; M. COLORIO e M. CRIPPA, As Rome Mutinies, Justice for Libya Fades, Opinio Juris, 31 gennaio 2025.
[6] Com’è noto, i crimini internazionali assumono rilevanza in quanto commessi in un preciso contesto, che ne veicola la diversa offensività, in violazione di valori universalmente condivisi (pace, sicurezza e convivenza internazionale), rispetto ai reati ‘ordinari’. I crimini di guerra rilevano, dunque, in quanto commessi come parte di un piano o di un disegno politico, ovvero come parte di una serie di crimini analoghi commessi su larga scala (art. 8(1) Statuto di Roma).
[7] L’elemento contestuale dei crimini contro l’umanità si sostanzia in un attacco esteso e/o sistematico contro una popolazione civile, in attuazione o in esecuzione del disegno politico di uno Stato o di una organizzazione diretto a realizzare l’attacco (art. 7(1) e (2)(a) Statuto di Roma).
[8] Ufficio del Procuratore, Allegato 4 alla Richiesta del Procuratore ai sensi dell’art. 58 di mandato di arresto nei confronti di Osama Elmasry / Almasri Njeem (“Osama Njeem”), 2 ottobre 2024, ICC-01/11-140-US-Exp-Anx4, LBY-OTP-00020210.
[9] Appare particolarmente significativo in questo contesto il riconoscimento degli elementi idonei a integrare il crimine di persecuzione. Questo si sostanzia, infatti, in una grave e intenzionale privazione dei diritti fondamentali in violazione del diritto internazionale, per ragioni connesse all’identità del gruppo o della collettività (art. 7(2)(g) Statuto di Roma). Rilevano, in particolare, motivi di natura politica, razziale, nazionale, etnica, culturale, religiosa o di genere sessuale, ovvero da altre ragioni non permissibili ai sensi del diritto internazionale (art. 7(1)(h) Statuto di Roma).
[10] La Camera preliminare I ha ritenuto, invece, non sufficientemente sostanziate le accuse di altri atti inumani come crimine contro l’umanità (art. 7(1)(k) Statuto di Roma); tentato omicidio come crimine di guerra e crimine contro l’umanità (art. 8(2)(c)(i), 7(1)(a), e 25(3)(f) Statuto di Roma); emanazione di sentenze senza un preventivo giudizio avanti un tribunale regolarmente costituito e punizione sommaria come crimini di guerra (art. 8(2)(c)(iv) Statuto di Roma); schiavitù come crimine contro l’umanità (art. 7(1)(c) Statuto di Roma); schiavitù sessuale come crimine di guerra e crimine contro l’umanità (art. 8(2)(e)(vi) e 7(1)(g) Statuto di Roma).
[11] Il riferimento normativo è l’art. 25(3)(a-d) dello Statuto. A questi modelli di attribuzione della responsabilità, si aggiungono l’incitazione pubblica a commettere un genocidio (art. 25(3)(e)) e la responsabilità del superiore (art. 28).
[12] Quest’ultimo inciso pare particolarmente rilevante, poiché riconferma l’orientamento della Corte in tema di dolo eventuale e colpa cosciente. Come attestato a seguito del contrasto interpretativo emerso nella giurisprudenza della Cpi in merito allo standard di colpevolezza richiesto dall’art. 30 dello Statuto di Roma, la Camera di appello accoglieva lo standard definito nel mandato d’arresto in esame, osservando invece che l’adozione del termine “rischio” è fuorviante per via delle implicazioni incerte che comporta in tema di dolo eventuale e colpa cosciente e pertanto deve essere evitata (Cpi, Situazione nella Repubblica Democratica del Congo, Procuratore c. Thomas Lubanga Dyilo, ‘Judgment
on the appeal of Mr Thomas Lubanga Dyilo against his conviction’, 1 dicembre 2014, ICC-01/04-01/06 A 5, par. 449.
[15] In particolare, relativamente a Mitiga, si vedano: UNGA, Human Rights Council, Report of the Independent Fact Finding Mission on Libya, A/HRC/52/83 (20 marzo 2023), para. 57-58, 61-66, 84, 97; UNGA, Human Rights Council, Report of the Independent Fact Finding Mission on Libya, A/HRC/50/63 (22 giugno 2022), para. 36-39, 65-66, 92-93. La trasformazione di Mitiga in un centro di violazioni sistematiche nei confronti dei detenuti è attestata anche del report presentato dal Panel of Experts on Libya nel settembre 2023: Letter dated 14 September 2023 from the Panel of Experts on Libya established pursuant to resolution 1973 (2011) addressed to the President of the Security Council, 15 settembre 2023, S/2023/673, par. 44 e Appendix A to Annex 16, p. 86.
[16] Ex multis: F. PACELLA, Cooperazione Italia-Libia: Profili di responsabilità per crimini di diritto internazionale, in Dir. pen. cont. – Riv. Trim. 4/2018, pp. 5-23; C. COSTELLO – I. MANN, Border Justice: Migration and Accountability for Human Rights Violations, in German Law Journal, 2020, pp. 311-334; I. KALPOUZOS, International Criminal Law and the Violence against Migrants, in German Law Journal, 2020, pp. 571-597; D. TARANTINO, Politiche anti-migratorie e responsabilità dei vertici politico-istituzionali per crimini contro l’umanità, in Dir. pen. cont. – Riv. Trim., 1/2021, pp. 239-265; In questa Rivista: M. CRIPPA, Giustizia penale internazionale e crimini commessi nei confronti di migranti e rifugiati in Libia: una comunicazione ex art. 15 Statuto di Roma sollecita il Procuratore all’apertura di indagini per crimini contro l’umanità e crimini di guerra di fronte alla Corte penale internazionale, 23 dicembre 2021.
[18] Sia consentito il rinvio a: L. PARSI, La Camera preliminare dichiara estinto il procedimento a carico di Al-Werfalli. Cosa resta delle indagini della Cpi nella Situazione in Libia?, Ridpp 3/2022, 1391-1394.
[19] Cpi, Camera preliminare I, Situazione in Libia, Decisione di archiviazione del caso contro Muammar Mohammed Abu Minyar Gheddafi, 22 novembre 2021, ICC-01/11-01/11-28; Decisione di estinzione del procedimento nei confronti di Mahmoud Mustafa Busayf Al-Werfalli, 15 giugno 2022, ICC-01/11-01/17-24; Decisione di estinzione del procedimento nei confronti di Al-Tuhamy Mohamed Khaled, 7 settembre 2022, ICC-01/11-01/13-38 07-09-2022.
[20] Cpi, Camera preliminare I, Situazione in Libia, Decisione sull’ammissibilità del caso contro Abdullah Al-Senussi, 11 ottobre 2013, ICC-01/11-01/11-466-Red.
[21] Cpi, Camera preliminare I, Situazione in Libia, Versione pubblica redatta di Sotto segreto, ex parte, a disposizione solo dell’accusa, con gli allegati pubblici da 1 a 6 Decisione che accoglie la richiesta della Procura di togliere i sigilli a sei mandati d’arresto, 4 ottobre 2024, ICC-01/11-141-Red.
[24] Si veda: L. PARSI, F. VITARELLI, Attuazione delle politiche anti-migratorie e crimini contro l’umanità: emergenti parallelismi ed esigenze di coordinamento tra giustizia penale nazionale e internazionale, in Sist. Pen., 9/2023, p. 5 e ss.; M. CRIPPA, Prosecuting Crimes Against Migrants Before Italian Courts: The Challenge of Extraterritorial Justice, Journal of International Criminal Justice, in corso di pubblicazione (settembre 2025), ricerca condotta nell’ambito del Progetto Joined Up Justice dell’Università di Tilburg (Paesi Bassi).
[27] La norma in particolare recita: “La Corte può presentare a qualsiasi Stato nel cui territorio è suscettibile di trovarsi la persona ricercata una richiesta di arresto e consegna, unitamente alla documentazione giustificativa indicata all’articolo 91, e richiedere la cooperazione di questo Stato per l’arresto e la consegna di tale persona. Gli Stati Parti rispondono ad ogni richiesta di arresto e di consegna secondo le disposizioni del presente capitolo e le procedure previste dalla loro legislazione nazionale.”
[32] Vittima A/75000/23, Richiesta di procedere ai sensi dell’art. 70 Statuto di Roma nei confronti di Giorgia Meloni, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, 5 febbraio 2025, ICC-01/11.
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