solo esecuzioni e povertà, se il regime cade siamo pronti

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Migliaia di iraniani, provenienti dall’Europa e da tutto il mondo, in marcia a Parigi contro la teocrazia degli ayatollah e la dittatura, e per una repubblica democratica. Le sconfitte riportate da proxy e alleati di Teheran in Libano e Siria hanno indebolito come non mai il regime, che ora sta vivendo uno dei suoi momenti più difficili.



Tanto più che si teme anche un’azione militare di USA e Israele, contro la quale la guida spirituale Khamenei ha appena minacciato risposte adeguate.

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Un’occasione da sfruttare per il Consiglio Nazionale della Resistenza dell’Iran (NCRI), che chiama a raccolta oggi gli oppositori nella capitale francese in occasione del 46esimo anniversario della Rivoluzione, che spodestò lo Scià finendo però per insediare il fondamentalismo sciita di Khomeini.



I manifestanti, spiega Azar Karimi, portavoce dell’Associazione dei giovani iraniani in Italia, non vogliono ingerenze esterne o interferenze per abbattere il regime, ma chiedono alla comunità internazionale di chiudere le ambasciate iraniane nel mondo e di inserire i pasdaran nella lista delle organizzazioni terroristiche.

Qual è l’obiettivo della manifestazione di Parigi?

L’8 febbraio è l’anniversario della rivoluzione antimonarchica del 1979. Quest’anno, però, la manifestazione ha un significato diverso, perché siamo in un momento storico molto importante: il regime iraniano si è indebolito e, dopo la caduta di Assad, si trova in uno stato di isolamento e di paura, sente di essere agli sgoccioli.



Noi, come sostenitori della resistenza, sappiamo bene in che condizioni viva il popolo e conosciamo l’ondata di esecuzioni che si è verificata, in particolare, dal 2024 a oggi: sono stati uccisi 993 prigionieri politici, tra cui 20 donne.

Dopo l’arrivo del presidente “moderato” Pezeshkian ci sono state 700 esecuzioni, che hanno colpito anche minoranze etniche e minorenni. Per questo, nella manifestazione diciamo a gran voce no alla teocrazia e alla dittatura.

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Che cosa volete per l’Iran del futuro?

Vogliamo un Iran libero e democratico, secondo il piano di dieci punti di Maryam Radjavi, presidente del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, che chiede il rispetto della libertà personale, dei diritti, l’eguaglianza che deve essere riconosciuta alle minoranze etniche, ma anche la possibilità di esprimere ognuno la propria religione, senza, ad esempio, l’obbligo di mettere il velo.

Una libertà, insomma, che il popolo iraniano, passato sotto la dittatura di Khomeini ma anche dello Scià, non conosce da decenni.

L’Occidente come può sostenere la vostra battaglia?

All’Occidente, agli USA, chiediamo di isolare il regime iraniano, chiudendo le ambasciate del regime all’estero e inserendo le Guardie Rivoluzionarie nella lista delle organizzazioni terroristiche. Non vogliamo influenze esterne: il regime dovrà essere rovesciato per mano del popolo iraniano.

Come il regime mostra la propria debolezza?

Uccidendo persone. Proprio in questo momento due prigionieri politici, Behrouz Ehsani e Mehdi Hassani, si trovano nel braccio della morte. Per il momento, anche grazie a una grande campagna mondiale di Amnesty International e dell’ONU, siamo riusciti a fare in modo che non venga disposta la loro esecuzione.

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Ma com’è la vita quotidiana degli iraniani oggi? Che problemi devono affrontare? Si parla anche della carenza di servizi essenziali come la corrente elettrica. È così?

Proprio in questi giorni in Iran ci sono state delle proteste: c’è un tasso di disoccupazione altissimo e anche di analfabetismo, nonostante si tratti di un Paese con una grande tradizione storica e culturale.

Il regime preferisce che il popolo resti nella sua ignoranza, per fare in modo che la gente non rivendichi i propri diritti e non esprima pubblicamente il proprio pensiero.

Il problema sono i prezzi alle stelle dei beni come il cibo, i servizi primari, la sanità. Se qualcuno sta male e chiama un’ambulanza, prima deve pagare: è diventato un lusso comprare un pomodoro o un’insalata al mercato. Anche le donne vengono continuamente messe in disparte.

Cosa non possono fare?

Il regime è misogino: le donne valgono la metà di un uomo, non possono viaggiare senza il permesso del marito e devono comunque avere un’autorizzazione anche per lavorare o studiare. Anche in questo caso il regime punta sull’ignoranza.

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Nel Consiglio Nazionale della Resistenza chi è rappresentato?

Il Consiglio è un Parlamento in esilio, di cui è presidente Maryam Radjavi, composto da persone di diverse etnie e religioni, non da partiti.

Se il regime iraniano verrà rovesciato, dovrà esserci un periodo di transizione di sei mesi per dare tempo al popolo di esprimersi liberamente. L’unica cosa che la resistenza iraniana ha a cuore è il rovesciamento del regime e l’instaurazione di una democrazia.

Ma nel Paese c’è una struttura, un’organizzazione che è pronta a subentrare e a prendere in mano le redini del Paese se il regime dovesse cadere?

Ci sono le unità di resistenza, sparse in tutto il Paese. Già nel 2022 erano presenti e hanno coordinato le manifestazioni. Visto il clima che si è instaurato, c’è paura a scendere in piazza: il regime continua a impiccare, vuole far desistere il popolo dalle proteste.

Dopo l’uccisione di Mahsa Amini le proteste sono aumentate esponenzialmente: prima di scendere in piazza, i giovani scrivevano una sorta di testamento alle loro famiglie perché sapevano che, nel momento in cui avrebbero protestato, c’era il rischio dell’arresto e di essere impiccati. Ma preferiscono morire oggi per cercare di ottenere un futuro migliore piuttosto che restare nel Paese senza avere nulla.

Le sanzioni occidentali sull’economia hanno aiutato a indebolire il regime?

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È la popolazione a risentirne: sono dirette al Paese, ma alla fine è sempre il popolo che ci rimette, perché contribuiscono all’aumento dei prezzi, della benzina, per esempio, e questo nonostante all’Iran il petrolio non manchi.

La gente cerca di sopravvivere: molte persone vivono per strada o usano droga per stordirsi e non sentire la fame. La droga in Iran costa pochissimo. La nostra manifestazione vuole essere un segno di speranza per un popolo che vive da decenni nel terrore e sotto una dittatura.

(Paolo Rossetti)

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