È il nuovo ruolo della Corte penale che dà fastidio

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«Forse bisogna aprire un’inchiesta sulla Corte penale internazionale». Queste parole del ministro degli esteri della Repubblica italiana spiccano fra gli imbarazzanti guaiti emessi in questi giorni da esponenti del governo e della destra. Certo, oltre Atlantico si va dall’uso spavaldo del termine deportation alle minacce di annessione di Panama, Canada e Groenlandia.

All’oscena immagine di Gaza come «Riviera» con il trasferimento «volontario» dei palestinesi. C’è forse un aspetto caratteriale nell’impudenza con cui Donald Trump si fa beffe del diritto internazionale, un’incontinenza verbale che ci ricorda Silvio Berlusconi. Ma in questa incontinenza c’è del metodo.

Dalla richiesta di incriminazione formulata dal procuratore Khan il 20 maggio 2024 per Netanyahu e Gallant, che ha destato scandalo esattamente perché sono stati messi «sullo stesso piano» – uguali davanti alla legge – dei leader di Hamas, seguita dal mandato d’arresto del 21 novembre, la Corte penale internazionale sembra diventata il fuoco di una serie di attacchi concentrici: alle accuse scontate del governo israeliano e di quello americano hanno fatto eco governi europei, dichiarando o lasciando intendere che nei loro paesi il premier israeliano non sarà arrestato. E ci sono i fatti: il rifiuto del nostro esecutivo di arrestare il torturatore libico Almasri, riaccompagnato a Tripoli con un volo di Stato, e l’executive order con cui Trump minaccia al personale della Cpi «conseguenze tangibili e significative».

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Il comportamento del governo italiano certamente c’entra con i rapporti privilegiati con Israele e con la Libia. Ma sembra esserci qualcosa di più: proporsi come testa di ponte in Europa per l’attacco alla Cpi, evidente dalla mancata adesione al documento di protesta contro l’executive order sottoscritto da 79 paesi, compresi atlantisti inossidabili come il Regno unito e i baltici.

La Cpi eredita il progetto di «Pace attraverso il diritto» e ha superato alcuni dei gravi limiti che ne hanno segnato le prime realizzazioni. Dopo la Seconda guerra mondiale i tribunali di Norimberga e di Tokio hanno infatti violato i principi fondamentali dell’irretroattività dell’azione penale e della terzietà. Dopo la Guerra fredda i tribunali internazionali ad hoc – in particolare quello per la ex-Jugoslavia – non hanno scongiurato l’accusa di continuare a incarnare la «giustizia dei vincitori», secondo l’espressione di Danilo Zolo.

Lo stesso Statuto di Roma è esposto a critiche, a cominciare dalla subordinazione al Consiglio di sicurezza e dall’obbligo di rispettare accordi bilaterali che esentino Stati dalla giurisdizione. E a lungo la Cpi ha di fatto perseguito solo crimini commessi in paesi africani, asiatici e dell’America latina. Anche nel caso della Palestina il timore che si riproponessero i doppi standard era giustificato dalle esitazioni a intraprendere le indagini, dalla limitazione dei fondi, dalle espressioni usate da Khan all’indomani del 7 ottobre. Poi è arrivata la svolta.

Com’è noto, l’amministrazione Clinton aveva sottoscritto il Trattato di Roma del 1998 e forse la Cpi poteva essere vista come una sorta di interfaccia giuridica presentabile della globalizzazione neoliberale. Poi il progetto di New World Order – di egemonia imperale degli Usa – ha assunto caratteri più esplicitamente aggressivi con la guerra globale al terrorismo e l’attacco al diritto internazionale.

Oggi siamo in una fase differente, e l’arroccamento nella difesa di questo disegno fallito non ha dovuto attendere il Maga trumpiano. In questo fallimento hanno con tutta evidenza un ruolo decisivo Stati che non sono membri della Cpi, a cominciare dai due più popolosi della terra. E la speranza in un ordine internazionale pluralistico, che scongiuri una polarizzazione fra due fronti, una nuova guerra fredda sul punto di diventare calda, ha molto a che fare con i processi economici e gli equilibri geopolitici. Ma il diritto internazionale, e lo stesso diritto penale internazionale – la speranza di superare l’impunità per crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio, aggressione al di là dei doppi standard – svolgono una funzione rilevante. Il 21 novembre 2024 la Cpi ha forse assunto un nuovo ruolo, e sembra essersene accorto anche Tajani.



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