È scontro aperto tra il Governo Meloni e la magistratura: dopo le critiche alla riforma della giustizia, seguite dal cosiddetto ‘avviso di garanzia’ relativamente al caso Almasri e dal terzo rigetto da parte dei giudici della convalida del trattenimento dei migranti in Albania, inizia ad essere sempre più evidente l’attrito tra i rappresentanti dell’esecutivo e il terzo potere. Ma il conflitto in corso tra i due poteri dello Stato è soltanto un caso oppure un’abile strategia politica messa in campo dal centrodestra?
La riforma della Giustizia e la separazione delle carriere dei magistrati
A Napoli, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, mentre prendeva la parola il Ministro della Giustizia Carlo Nordio, i magistrati lì presenti hanno abbandonato l’aula con la Costituzione in mano in segno di protesta contro la riforma della giustizia proposta dal Governo. Vi sono state contestazioni analoghe in altre parti d’Italia; in questi ultimi casi le toghe hanno deciso di manifestare silenziosamente quando a prendere parola era un rappresentante dell’esecutivo.
Il Titolo IV della parte seconda della Costituzione, oggetto della riforma voluta dal Governo Meloni, definisce l’assetto del potere giudiziario nel nostro Stato; segue di qui la divisione dei magistrati in due categorie: i giudici, con funzione giudicante deputati a emettere sentenze, e i pubblici ministeri, magistrati requirenti con il compito di condurre le indagini e rappresentare l’accusa. Il passaggio di funzione tra una categoria e l’altra può avvenire solo una volta nella carriera di un magistrato, entro nove anni dall’entrata in servizio.
In caso di approvazione cosa cambierebbe?
Se la riforma dovesse essere approvata, il cambio di funzione non sarà più possibile. Inoltre, il Consiglio Superiore della Magistratura, organo di autogoverno che vigila sul corretto operato dei magistrati, verrebbe diviso in due consigli separati, i cui membri non sarebbero più eletti, ma estratti a sorte, questo per evitare che all’interno della magistratura si creino correnti politiche.
Giuseppe Santalucia, Presidente uscente dell’Associazione Nazionale Magistrati, ha affermato che la riforma, oltre a indebolire notevolmente la figura del magistrato con la separazione delle carriere, “darà mano libera al legislatore ordinario, poiché oggi le procure non rispondono a un vertice, per creare una gerarchizzazione che influenzerà principalmente il ruolo del Pubblico Ministero”, venendo così meno il principio di diffusività del potere.
Sul fronte delle riforme, il testo approvato dalla Camera è stato considerato dai magistrati come un attacco diretto al terzo potere, fondamentale all’interno di uno stato diritto, con una proposta blindata che non è stata oggetto di confronto con l’Associazione Nazionale Magistrati e che nemmeno lo potrà essere in Parlamento con un iter che, secondo le volontà del Governo, si preannuncia quanto più rapido possibile, fatto salvo per l’eventuale referendum qualora i numeri in Aula non fossero sufficienti per un’approvazione diretta senza il passaggio alle urne.
I centri in Albania “fun-zio-ne-ran-no”?
La sera di sabato 1 febbraio, i 43 migranti precedentemente inviati nei centri di accoglienza in Albania sono stati trasferiti al porto di Bari poiché la Corte d’Appello di Roma ha deciso di non convalidare il loro trattenimento nel centro di Gjader, in territorio albanese.
La motivazione alla base di questa decisione sarebbe il contrasto con le normative comunitarie. La Corte di Giustizia dell’Ue stabilisce che la definizione di ‘Paese sicuro’ debba valere per l’intero territorio di un Paese, senza eccezioni. Secondo la legge italiana, un Paese può essere considerato sicuro escludendo alcune aree o categorie di persone, come per esempio chi proviene da regioni che discriminano determinate religioni o orientamenti sessuali.
In caso di non conformità rilevata tra norme europee e leggi italiane, i magistrati hanno l’obbligo di rinviare la questione alla Corte di Lussemburgo, in questo caso non convalidando il trattenimento dei migranti nei centri di accoglienza. Nonostante tutto ciò sia un principio già noto alla base del nostro diritto, il Governo per la terza volta ha provato a inviare i migranti nel centro di Gjader in Albania, ottenendo da parte dei giudici un altro no alla convalida.
Eppure, il Ministro Carlo Nordio, intervistato da Floris, aveva affermato che, in caso di un secondo rigetto da parte dei magistrati, l’esecutivo non avrebbe riprovato a trattenere in Albania i migranti, ma avrebbe aspettato la sentenza della Corte di Giustizia Ue per scongiurare ogni dubbio. Alcuni critici sottolineano come i continui tentativi del Governo siano mirati a costruire una narrazione volta a delegittimare la figura del magistrato, facendo passare i giudici, ogni qualvolta respingano la convalida seppur per legittimi motivi, come dei meri oppositori politici, sabotatori dell’operato governativo, e non funzionari che lavorano nell’interesse pubblico.
Al grido di “pericolose toghe rosse”, non sono mancati attacchi diretti del Governo alla magistratura in merito alle decisioni sul caso Albania, sia del Tribunale che della Corte d’Appello di Roma. Il Ministro Salvini, in riferimento alla mancata convalida di novembre, ha parlato “dell’ennesima decisione dei giudici che impedisce di allontanare i clandestini dal territorio italiano, una scelta che mette in pericolo la sicurezza e il portafogli degli italiani”.
Il caso Almasri e lo scontro con il Procuratore Lo Voi
Il 18 gennaio, in seguito alla segnalazione della Germania della presenza di Almasri nel suo territorio, la Corte Penale Internazionale ha convalidato la richiesta di arresto per il torturatore libico a capo della polizia giudiziaria. Analogamente il mandato di cattura viene conferito a sei Paesi confinanti con la Germania, tra cui l’Italia. Così, nella notte, la Digos a Torino ha arrestato Almasri che, per un vizio procedurale dovuto alla mancata risposta al procuratore da parte del Ministro della Giustizia, sarà scarcerato per poi essere espulso dal Ministro dell’Interno Piantedosi perché considerato pericoloso per la sicurezza nazionale.
Il 28 gennaio, in seguito ai fatti del caso Almasri, il Presidente del Consiglio ha annunciato sui social di aver ricevuto un avviso di garanzia per i reati di favoreggiamento e peculato, inviato analogamente anche ai Ministri Nordio e Piantedosi, nonché al Sottosegretario Mantovano. Nel video in questione, oltre a sminuire l’operato del mittente Francesco Lo Voi, Giorgia Meloni afferma una cosa inesatta, poiché il documento che ha in mano non è un ‘avviso di garanzia’, ma una comunicazione di iscrizione nel registro delle notizie di reato. Il Procuratore Lo Voi non avrebbe potuto esimersi dal registrare la denuncia ricevuta perché, secondo quanto sancito dalla legge costituzionale numero 1 del 1989, avrebbe commesso un illecito.
La comunicazione, dunque, è un atto dovuto, non un ‘atto voluto’ come ha cercato di dipingere la maggioranza di centrodestra scagliandosi nuovamente contro la magistratura e gridando allo scandalo. Non è la prima volta che un Primo Ministro riceve un atto di questo tipo: per citare un altro caso, Giuseppe Conte, quando era a Palazzo Chigi, ricevette due comunicazioni analoghe dallo stesso procuratore Lo Voi, eppure non si è gridato a complotti organizzati nei confronti del suo Governo da parte delle cosiddette ‘toghe rosse’.
A proposito di ‘toghe rosse’, va sottolineato che il Procuratore Lo Voi fa parte della corrente più a destra della magistratura. Dunque, se la magistratura fosse davvero fortemente politicizzata come sostengono i fautori della riforma della giustizia, non si spiegherebbe come sia possibile che il Procuratore in questione abbia inviato una comunicazione di iscrizione nel registro delle notizie di reato per volontà politica più che per necessità dovuta da leggi di rango costituzionale che lo impongono.
Le contraddizioni del Governo sul caso Almasri e lo scontro con la Corte dell’Aja
Nell’informativa in Parlamento, per delegittimare la richiesta della Corte Penale dell’Aja, Nordio ha affermato che la sua funzione non sarebbe semplicemente quella di “passacarte”, ma di soggetto politico che dovrebbe valutare la richiesta nel merito. Tuttavia, l’articolo 4 della legge 237 del 2012 sottolinea che “il ministro della Giustizia dà corso alle richieste formulate dalla Corte penale internazionale, trasmettendole al procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma perché vi dia esecuzione”. La Corte Penale Internazionale, non disponendo di una sua forza di polizia, si avvale della cooperazione degli Stati che hanno sottoscritto il trattato di Roma, tra cui l’Italia, che sono obbligati a eseguire i mandati di arresto.
Il Ministro ha inoltre parlato di vizi nel mandato d’arresto a lui pervenuto, nonostante la Corte in un comunicato del 22 gennaio avesse sottolineato che “nel caso in cui avessero trovato qualsiasi problema che avesse potuto impedire o compromettere l’esecuzione della richiesta, avrebbero dovuto consultare la Corte senza indugio per risolvere la questione”, come previsto ai sensi dell’articolo 93 della Statuto della Corte, il quale afferma che “quando uno Stato parte, investito di una richiesta, constata che la stessa solleva difficoltà che potrebbero intralciarne o impedirne l’esecuzione, esso consulta senza indugio la Corte per risolvere il problema”.
Le dichiarazioni del Ministro in Parlamento entrano in contraddizione con quanto esposto da Giorgia Meloni nel video sui social già precedentemente citato, nel quale ha affermato che la decisione di scarcerare Almasri è stata presa dalla Corte d’appello di Roma, e “non su disposizione del Governo”, quando in realtà nell’ordinanza del 21 gennaio che ha portato alla scarcerazione, si legge che “il ministro interessato (n.d.r. Nordio) non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito” affinché il torturatore libico rimanesse in carcere.
Prima ancora che il Ministro finisse le sue valutazioni politiche, seppur non richieste dall’articolo 4 della legge 237 del 2012, Almasri è stato espulso dall’Italia con un volo di Stato dal Ministro dell’Interno Piantedosi, suscitando lo sdegno della Corte Penale Internazionale che successivamente chiederà chiarimenti al Governo italiano. Dopo la notizia della presunta indagine della Corte sul Governo, il Ministro Nordio commenta che “a questo mondo tutti indagano un po’ su tutto“; a questa dichiarazione si somma quella del vicepremier e Ministro degli esteri Antonio Tajani, che afferma di avere “molte riserve sul comportamento della Corte”, aggiungendo poi che “forse bisogna aprire un’inchiesta sulla Corte penale”.
Le opposizioni contro l’operato del Governo e il rapporto con i giudici
Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha deciso di non presentarsi durante l’informativa in Parlamento, in cui non sono mancate forti critiche da parte dell’opposizione, mettendo così in luce che il caso Almasri non è altro che l’ennesimo evento mediatico costruito ad hoc per colpire la magistratura.
Abbiamo intervistato l’Onorevole Claudio Stefanazzi del Partito Democratico, il quale afferma che il conflitto in corso tra il Governo Meloni e il terzo potere dello Stato “non è un caso ma non è nemmeno esclusivamente una strategia dei partiti di maggioranza” ma, per andare più a fondo, “il frutto di una cultura di Governo che non tollera il dissenso, la contrapposizione e il pluralismo”.
Secondo l’Onorevole Stefanazzi gli esponenti del centrodestra “essendo impossibilitati a superare i principi costituzionali e il diritto comunitario, fanno del giudice, interprete della stessa legge che contestano, un vero e proprio bersaglio mediatico. L’obiettivo è duplice: da un lato, delegittimare i magistrati, tacciarli di faziosità, anche per aumentare il consenso attorno alle riforme che portano avanti in tema di giustizia; dall’altro, spostare l’attenzione dalla gravità del loro operato, di modo che il problema non sia più che il Governo legifera e agisce contra constitutionem, ma che la magistratura si opponga illegittimamente al potere esecutivo”.
Una strategia per delegittimare i magistrati e spostare l’attenzione, dunque, stando a quanto dichiarato dall’Onorevole Stefanazzi. Ancora non sappiamo con certezza i motivi che si nascondono dietro lo scontro tra i due poteri dello Stato. Di certo c’è che il conflitto in questione non fa bene al Paese e, soprattutto, non giova al benessere della democrazia.
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