A vent’anni anni dall’entrata in vigore della direttiva europea sul rumore ambientale, i progressi nella riduzione dell’inquinamento acustico restano difficili da valutare, principalmente a causa di lacune e ritardi nella comunicazione dei dati da parte della maggioranza dei Paesi dell’Unione europea. Questa è la conclusione della Corte dei conti europea nella seconda Relazione speciale sull’inquinamento urbano nell’Ue, pubblicata il 15 gennaio. Il documento analizza l’attuazione delle principali direttive in materia ambientale e fornisce indicazioni alla Commissione europea per adottare misure più efficaci per il raggiungimento dell’obiettivo “inquinamento zero” entro il 2030.
L’impatto del rumore ambientale
“L’Oms ritiene che il rumore ambientale sia la seconda maggiore concausa ambientale del carico di malattia nell’Ue dopo l’inquinamento atmosferico”, si legge nella Relazione. Secondo le ultime stime dell’Agenzia europea dell’ambiente (Aea) più di un cittadino su cinque nell’Ue è esposto a livelli cronici nocivi di rumore ambientale, e il numero è più alto nelle aree urbane. La principale fonte è il trasporto stradale, seguito dal rumore ferroviario e aeroportuale.
L’esposizione prolungata contribuisce ogni anno a 48mila nuovi casi di malattie cardiache e a 12mila decessi prematuri in Europa. Inoltre, si stima che oltre 22 milioni di persone soffrano di forte fastidio cronico e 6,5 milioni presentino problemi di sonno. Il rumore ambientale è associato anche a disturbi cognitivi e mentali. Malgrado questi impatti significativi, appare “improbabile” che entro il 2030 venga raggiunto l’obiettivo di ridurre del 30% il numero di persone danneggiate dal rumore dei trasporti rispetto al 2017; le stime indicano una riduzione massima del 19% e, nel peggiore dei casi, il numero complessivo di persone affette da disturbi cronici potrebbe persino aumentare del 3%.
Oltre alla salute umana, il rumore ambientale ha impatti negativi anche sulla fauna selvatica, terrestre e acquatica, come sottolineato nella Relazione, causando disturbi del comportamento, difficoltà di comunicazione e nella capacità riproduttiva.
Le criticità nella direttiva europea sul rumore ambientale
La Corte dei conti ha preso in esame la direttiva End (Environmental Noise Directive) del 2002, la principale fonte normativa europea sull’inquinamento acustico, la quale impone ai Paesi di valutare l’esposizione al rumore ambientale, in aree urbane ed extraurbane, attraverso la realizzazione di mappe acustiche relative ad agglomerati, strade, ferrovie e aeroporti principali. E in base a tali mappe devono elaborare piani d’azione per evitare o ridurre il rumore laddove necessario o per preservare una buona qualità acustica. Le mappe e i piani devono essere aggiornati e comunicati alla Commissione europea ogni cinque anni.
Dalla relazione emerge che l’efficacia della direttiva è compromessa da lacune e ritardi nell’adozione e nell’aggiornamento dei piani. A maggio 2024 la maggior parte degli Stati, tra cui l’Italia, non avevano ancora trasmesso alla Commissione i dati relativi all’ultimo ciclo di segnalazione delle mappe acustiche, scaduto nel 2022.
Un altro punto critico riguarda l’assenza di valori limite o obiettivo di riduzione del rumore, a differenza di quanto previsto dalle direttive per l’inquinamento atmosferico e le emissioni, che hanno mostrato una maggior efficacia portando a un miglioramento complessivo della qualità dell’aria. In altre parole, lasciare agli Stati la libertà di definire i propri obiettivi può ridurre gli impegni nella lotta contro l’inquinamento acustico.
Inoltre, la direttiva prevede che i Paesi comunichino i dati a partire da livelli di rumore superiori a 55 decibel Lden (livello medio giornaliero) e 50 decibel Lnight (livello notturno). Queste soglie, meno rigorose rispetto alle linee guida dell’Oms, portano a una sottostima del numero di persone esposte a livelli dannosi di rumore.
Le raccomandazioni della Corte dei conti europea
Per affrontare queste criticità, la Corte ha raccomandato alla Commissione di valutare l’inserimento di valori limite o obiettivo di riduzione del rumore nella direttiva, e di allinearsi il più possibile alle soglie dell’Oms, entro il 2029. Raccomandazione che la Commissione ha pienamente accolto, come si evince dalle risposte alla relazione della Corte, sottolineando che è coerente con le conclusioni dell’ultimo rapporto sull’attuazione della direttiva End elaborato nel 2023. Dal Rapporto emerge che i livelli di inquinamento acustico sono rimasti sostanzialmente stabili negli ultimi venti anni e che 25 Stati avevano fino ad allora elaborato quasi tutte le mappe acustiche e adottato almeno un piano quinquennale.
Tornando alle raccomandazioni alla Commissione, la Corte dei conti europea sollecita di rafforzare il monitoraggio dei Paesi e di completare con maggior tempestività la procedura di infrazione alla legislazione europea per aumentare l’efficacia del processo. Attualmente, le violazioni del diritto ambientale rappresentano il maggior numero di casi trattati dalla Commissione, pari a circa il 20% del totale. In questo settore l’Italia detiene il primato di procedure di infrazione aperte (23 su 67 totali), e nell’ambito della direttiva sul rumore ambientale ne risulta una archiviata ad aprile 2023, relativa alla comunicazione delle mappe acustiche.
L’inquinamento acustico in Italia
I dati più recenti, aggiornati a dicembre 2023, forniti dall’Ispra, l’Istituto superiore per la Protezione e la ricerca ambientale, rivelano che una vasta porzione della popolazione italiana è esposta a livelli di rumore che superano i limiti raccomandati dall’Oms, sia per quanto riguarda l’indicatore Lden (livello di rumore diurno-serale-notturno) che per l’indicatore Ldnight (livello di rumore notturno). La principale fonte di inquinamento acustico risulta essere il traffico veicolare. Sebbene la quota di popolazione esposta diminuisca all’aumentare dei livelli di rumore, essa rimane comunque significativa. La maggior parte delle persone si concentra nella fascia di rumore compresa tra i 55 e i 59 decibel Lden e tra i 50 e i 54 decibel Ldnight, coinvolgendo oltre 4,5 milioni di cittadine e cittadini.
Sul fronte normativo, le regioni Molise, Basilicata, Campania, Sicilia e Sardegna non hanno ancora una legge specifica, come disposto dalla Legge quadro sull’inquinamento acustico emanata trent’anni fa (LQ 447/95). Questa è stata modificata nel 2017 con il decreto legislativo n. 42, tenuto conto della direttiva europea, che l’Italia ha recepito nel 2005 con il D. Lgs n.194.
A livello nazionale solo il 64,5% dei comuni (5.097) ha approvato il Piano di classificazione acustica, il principale strumento per la gestione dell’inquinamento acustico e lo sviluppo urbanistico a tutela della cittadinanza. Lo stato di applicazione da parte dei comuni registra notevoli differenze a livello regionale, le percentuali oscillano dal 100% della Valle d’Aosta all’1% del Molise. A livello nazionale ancora solo 66 comuni, di cui il 60% in Toscana, hanno approvato il Piano di risanamento acustico comunale, fondamentale per la risoluzione delle problematiche rilevate nel territorio. Questa carenza è attribuita, oltre alla incompleta attuazione del piano principale e alla mancanza di norme specifiche, anche alla carenza di fondi comunali per gli interventi di risanamento.
Leggi la Relazione della Corte dei conti europea
Di Antonella Zisa
Copertina: Pexels
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