WhatsApp è ammesso come prova documentale in cause civili? Si può dimostrare un fatto in tribunale producendo la chat?
È possibile che un messaggio inviato durante una pausa caffè o nel cuore della notte possa decidere l’esito di un processo? Nell’era digitale, WhatsApp ha travalicato i confini delle comunicazioni quotidiane per diventare protagonista anche nelle aule di tribunale. Ma che valore attribuiscono i giudici a tale messaggistica? La giurisprudenza, in questi ultimi anni, si è a lungo interrogata sulla possibilità che lo screenshot di una chat WhatsApp possa essere usato come prova civile in un giudizio per dimostrare un diritto o un illecito.
Ebbene, dopo le prime incertezze, si è ormai consolidato l’orientamento secondo cui gli screenshot di WhatsApp possono essere utilizzati in processo, proprio come le email. Tuttavia, trattandosi di documenti elettronici privi di “firma digitale”, essi non fanno piena prova. Potrebbero dunque essere contestati dalla controparte contro cui sono prodotti. Tuttavia, tale contestazione è in grado di togliere ogni valore alla chat solo se “circostanziata” e “specifica”, tale cioè da insinuare il dubbio sull’autenticità dello screenshot. Non basta quindi una generica opposizione alla produzione della stampa del display del cellulare.
Analizziamo meglio questi aspetti alla luce delle più recenti pronunce della Cassazione.
WhatsApp può essere considerato documento valido in giudizio?
Con l’ordinanza n. 1254/2025, la Cassazione ha detto che i messaggi di WhatsApp conservati nella memoria di un telefono cellulare sono utilizzabili quale prova documentale e, dunque, possono essere legittimamente acquisiti mediante la mera riproduzione fotografica: con la conseguente piena utilizzabilità dei messaggi estrapolati da una chat di WhatsApp mediante copia dei relativi screenshot, tenuto conto del riscontro della provenienza e attendibilità degli stessi.
I messaggi costituiscono infatti un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti e che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche.
L’art. 2712 cod. civ. stabilisce che tali documenti fanno piena prova dei fatti e delle cose rappresentate solo se colui contro il quale vengono prodotti non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime. Come anticipato sopra, la contestazione però non può essere generica, ma deve essere tale da suggerire le ragioni per cui lo screenshot non è attendibile.
Quali condizioni devono essere soddisfatte perché un messaggio WhatsApp sia ammesso come prova?
Per essere ammessi come prova, gli screenshot di WhatsApp devono essere presentati in modo che la controparte non ne contesti la conformità. Inoltre, è necessario che i messaggi siano chiaramente leggibili e che sia possibile verificare l’identità dei mittenti e dei destinatari.
Un esempio pratico di WhatsApp usato in tribunale?
Un caso concreto è quello di un decreto ingiuntivo confermato dalla Cassazione, dove un committente doveva pagare oltre 28 mila euro per lavori di installazione non concordati per iscritto, supportati però da un messaggio WhatsApp. Quest’ultimo ha confermato l’accordo verbale sul prezzo dei lavori, evidenziando come la chat possa integrare o confermare prove già esistenti.
Cosa succede se il contenuto di un messaggio WhatsApp è contestato?
Se il contenuto di un messaggio WhatsApp è contestato per la sua “natura artefatta”, ossia per manipolazioni o per essere stato estratto fuori contesto, il giudice valuterà la sua attendibilità nel complesso delle prove presentate. Non è sufficiente contestare l’utilizzo del documento in sé; la contestazione deve essere specificamente diretta alla sua integrità e rilevanza.
Conclusioni
I messaggi salvati sulla memoria di un telefono cellulare sono da considerarsi prove documentali e possono essere legittimamente acquisiti tramite riproduzione fotografica. Ciò significa che i messaggi estratti da una chat sono utilizzabili come prova digitale sempreché sia possibile verificarne la provenienza e l’affidabilità.
Il creditore può recuperare le somme con un decreto ingiuntivo basato sulle trascrizioni dei messaggi di WhatsApp che attestino il riconoscimento del debito. La copia stampata attraverso screenshot delle conversazioni contenute nelle chat è una «riproduzione meccanica». Per l’utilizzabilità in un giudizio si richiede, in caso di specifica e circostanziata contestazione, l’acquisizione del supporto telematico dove è avvenuta la comunicazione o una relazione tecnica che attesti la metodologia e la strumentazione utilizzata per la copia in quanto va dimostrata la provenienza dal suo autore.
Il messaggio inviato in una chat di WhatsApp con cui si afferma di avere un debito nei confronti del destinatario equivale al riconoscimento dello stesso: è una sorta di confessione, di ammissione di responsabilità. E quindi costituisce una vera e propria promessa di pagamento.
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