Ettore Rosato non è uno che usa le newsletter per girare intorno alle parole. Per la politica di ugola pop è un difetto grosso, per quella legata ai fatti quadrati è un pregio. Ognuno perciò scelga quando il vice segretario di Azione dice le sue cose. Cose come questa, roba di preambolo largo: “La minaccia dei dazi di Trump si sta concretizzando nei confronti di Cina, Canada e Messico. Nel mirino c’è anche l’Europa”.
E si tratta di una “vera guerra commerciale che si ripercuoterà sulle tasche dei consumatori perché le dazi altro non sono che ulteriori tasse sui prodotti. Con l’effetto però che alla fine non si arricchiranno nemmeno le casse fiscali, ma saremo solo tutti più poveri”.
Rileggiamo ed appoggiamo la bipenne delle polarizzazioni: “Tutti più poveri”. La figura cardinale per Rosato è The Donald. “A questa arroganza di Trump, l’Unione europea deve rispondere come un soggetto unico”. Ma soprattutto deve continuare “a stipulare e concludere accordi internazionali con altri mercati importanti, come è nel CETA o in quello Ue-Mercosur”.
La sponda tra Lazio e Campania
Questa è quella che potremmo definire, condivisibile o meno che sia, una “ricetta di contesto”. Saltiamo il fosso ed andiamo sulla sponda “avversa”, quella di Forza Italia che per certi versi è un po’ Azione ma con un occhio all’universo prog e senza le Olgettine. A Claudio Fazzone il nucleare garba.
Il coordinatore regionale del Lazio di Forza Italia e spina dorsale azzurra regionale con battage pontino non ne ha mai fatto mistero. Tanto che solo un annetto fa Fazzone aveva chiaramente perorato un ritorno al “nuke”. Ovviamente non senza polemiche, perché lui viene da una terra che al nucleare aveva prestato il fianco molto prima del referendum abrogativo.
Quello che dal 1987 aveva bannato l’energia atomica civile dai pensieri degli italiani. Erano tempi in cui maturare un’opinione serena era praticamente impossibile. Ad aprile del 1986 l’Europa si era svegliata con l’incubo brutalista di Chernobyl e, per restare sul pezzo in termini di areale, una certa vulgata alimentata da quel momento buio parlava di vitelli a due teste, peperoni parlanti e lucertole canterine trovare nei paraggi della centrale nucleare del Garigliano.
La cui immensa sfera occupava minacciosa lo skyline fino a Minturno, Sessa Aurunca e Scauri. E che metteva due province e due regioni direttamente in contatto visivo con il mostruoso incubo delle radiazioni letali. Altri tempi, altra tecnologia ed altre paure. Da allora la Sogin, la società di gestione degli impianti nucleari, aveva avviato il “decommissionig” della centrale mezza campana e mezza pontina. Per una laboriosa dismissione per il reset del nocciolo e delle scorie.
Storia e tecnologia
Claudio Fazzone però aveva fiutato l’aria da tempo e, con la nuova tecnologia di V generazione, con le ambasce energetiche di un Paese perennemente in credito di megawatt e con gli stimoli di una storia bellica europea riesumata, aveva calato la briscola. Questa: perché non tornare al nucleare? Il guaio è che se un pontino o un alto campano parla di “nuke” si schiudono praterie di diffidenza. Perché i moniti truci della storia resistono anche al fatto che la storia – e con essa la tecnologia – è andata avanti. Molto avanti.
Ma non abbastanza da convincere i nipoti allora e genitori-nonni di oggi che tutto potrebbe filare liscio stavolta. Anche perché nel Pontino ebbe sede la prima centrale nucleare d’Italia e quella del Garigliano è sì in provincia di Caserta, ma affaccia su un’ansa del fiume che è pontina. Proprio alla centrale in questione sono andati in visita, pochi giorni fa, Carlo Calenda ed Ettore Rosato.
Prima “a Napoli ad incontrare i nostri dirigenti di Azione”, poi “in provincia di Caserta in visita alla centrale nucleare di Garigliano”. Ed in queste ore il partito fondato dall’ex ministro ha ufficialmente depositato “la proposta di legge di iniziativa popolare che abbiamo promosso, assieme ad altri soggetti ed associazioni”. Su cosa? “Per un mix energetico che comprenda anche la tecnologia nucleare”.
Andiamo di recap: l’Ue è stretta in angolo tra Usa e Cina. L’Italia ha bisogno come mai prima di energia alternativa, il nucleare è spettro antico da esorcizzare e ci sono partiti e uomini che vogliono fortissimamente fare gli esorcisti. Rosato è andato di silloge stretta, ma concreta.
La proposta di Azione
“Chiediamo al Governo di adottare entro 6 mesi le iniziative legislative indicate nella proposta, in modo da consentire la diffusione in Italia di reattori nucleari delle migliori tecnologie già oggi disponibili e di quelle nuove. Sia a fissione che a fusione, quando lo saranno in futuro”.
Sì, ma com’è il nucleare oggi e quanta acqua è passata sotto i ponti del Garigliano dalle poca di Chernobyl e delle storielle sui vitellini bicefali? Prendiamo in esame gli stessi parametri che Rosato ha enunciato a correndo della sferzata legislativa che chiede Azione. E cominciamo dall’occupazione del suolo.
I parametri per capire
“E’ bassissima : a parità di energia prodotta, servirebbero per il nucleare 2 km2, per il fotovoltaico 500 km2, per l’eolico 2.000 km2”. Poi il range di produzione. “Costante e programmabile. In un sistema elettrico senza emissioni di CO2 una quota nucleare riduce sensibilmente i problemi legati alla variabilità, stagionalità e intermittenza”. E sull’impatto economico? Esso “ricadrebbe su Pil ed occupazione. Il ritorno del nucleare in Italia accrescerebbe il fatturato di molti settori ad alto valore aggiunto coinvolti nelle attività di progettazione, realizzazione ed esercizio degli impianti”.
C’è poi il tema della dipendenza strategica sulle materie prime. “Il nucleare espone l’Italia a un minor rischio legato alla dipendenza delle materie prime. Le riserve di uranio (necessario per il nucleare) si trovano principalmente in paesi stabili (es. Canada e Australia)”. Paesi “con cui l’Italia ha rapporti migliori rispetto ai paesi da cui importiamo il gas naturale (es. Russia, Algeria, Libia) o che ‘controllano’ la produzione dei materiali necessari per gli impianti rinnovabili (es. Cina)”.
Sicurezza, dipendenza e vantaggi
Senza proseguire in compendio si va sul tema cardinale, quello della sicurezza. L’energia nuke “ha emissioni di gas a effetto serra, considerando ogni fase del ciclo di vita (costruzione, esercizio, smantellamento), 7 volte inferiori a quelle del fotovoltaico al Silicio (la tecnologia più diffusa) e tra 2 e 3 volte inferiori a quelle dell’eolico”.
Poi “la tecnologia nucleare è la più sicura. Le analisi non hanno rivelato alcuna prova scientifica che il nucleare faccia più danni alla salute umana o all’ambiente rispetto ad altre tecnologie” – Centro Comune di Ricerca (JRC) della Commissione Europea“.
Dare i numeri: quelli veri
Lo scenario attuale è roba su cui riflettere, e Rosato come al solito ha dato i numeri senza “dare i numeri”. Così. “Soddisfare, ora per ora, la domanda elettrica attesa in Italia al 2050, pari a 650-700 TWh, rispetto agli attuali 320, puntando esclusivamente su fonti rinnovabili variabili (soprattutto fotovoltaico e quel che si può di eolico, essendo il vento in Italia modesto e concentrato in pochi spot) richiederebbe l’installazione di ingente potenza (con inevitabile eccesso di produzione in primavera/estate)”.
Di quella “e di enormi quantità di sistemi di accumulo di breve e lungo termine. Sarebbe perciò più insostenibile e costoso di un mix con una significativa quota nucleare”.
Date e luoghi: per capire
Ed un sunto finale? E’ condensabile in un solo concetto: ognuno dei lettori vada a dare una sbirciata alla propria bolletta dell’energia elettrica.
Poi digiti su Wikipedia “Chernobyl” e guardi la data ed il luogo. Sarebbe come dire che le onde elettromagnetiche fanno male.
E dirlo parlando al cellulare con la suocera. E magari dopo un’oretta a “scrollare” Facebook ed un’altra mezzora in chat con l’amica di pilates.
(Foto di copertina © DepositPhotos.com)
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