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Le Telco europee ed in maggior misura le telco italiane sono in un periodo di crisi economico-finanziaria, derivante dalle forti dinamiche concorrenziali, sia nel settore sia nel più largo ecosistema digitale.
In questo contesto attenzione particolare merita anche la legislazione per la tutela dei consumatori, composta da norme orizzontali e norme verticali specifiche al settore, che a volte non sembrano trovare una giustificazione ulteriore rispetto alle altre.
La necessità di ripensare le norme consumeristiche
Inoltre, le norme consumeristiche, di derivazione euro-unitaria, sono supplementare da norme nazionali, che oltre a creare una frammentazione del quadro regolatorio europeo, spesso pongono gli operatori nazionali su un piano di svantaggio. Si individua inoltre la necessità di passare da una tutela del consumatore fatta di standard normativi minimi di qualità, che si accompagna a una pura concorrenza sui prezzi, a un approccio di empowerment e responsabilizzazione dei consumatori a sostegno di una maggiore concorrenza sulla qualità.
Infine, sembra necessario concentrarsi sulla facilità di cambiare fornitore (piuttosto che sull’effettivo cambio di fornitore e sulla distribuzione delle quote di mercato), mentre, allo stesso tempo, i consumatori “non attivi” che non sono direttamente raggiunti dall’effetto positivo della concorrenza e della liberalizzazione dovrebbero essere ulteriormente sostenuti, ad esempio attraverso la definizione di alcuni meccanismi di “empowerment on-net” che consentano di aderire alle stesse offerte rivolte del loro fornitore a nuovi clienti.
In definitiva, un cruciale obiettivo da perseguire per le politiche dal lato della domanda è quello di incentivare e indirizzare il mercato a costruire la QoS come una variabile osservabile su cui i fornitori possono competere per gli utenti finali piuttosto che competere (solo) sul prezzo. Tale esito andrebbe certamente a garantire ai consumatori un miglior servizio, ma probabilmente andrebbe anche a rallentare o invertire il processo di completa trasformazione delle reti e dei servizi di telecomunicazioni in comodities, con le connesse dinamiche di redistribuzione del valore verso mercati attigui, in primis, quelli dei servizi digitali dominati dalle grandissime piattaforme.
Le norme europee di protezione ed empowerment dei consumatori di servizi di comunicazione elettronica
Le imprese europee di telecomunicazioni ed in maggior misura le telco italiane sono in un periodo di crisi economico-finanziaria, derivante dalle forti dinamiche concorrenziali, sia nel settore sia nel più largo ecosistema digitale. In questo contesto attenzione particolare merita anche la normativa sui consumatori, che ha due obiettivi fondamentali:
- proteggere direttamente i consumatori, agendo nel loro interesse e talvolta scegliendo (paternalisticamente) per loro conto;
- attuare un empowerment dei consumatori rimuovendo gli ostacoli che impediscono loro di scegliere in modo libero, razionale e informato, consentendo loro di svolgere un ruolo di disciplina dei comportamenti delle imprese sul mercato e rafforzando così la concorrenza.
Il primo obiettivo è guidato da considerazioni di carattere primariamente giuridico, identificando il consumatore come la parte più debole in una relazione negoziale e contrattuale. Quindi, alla luce dei principi di equità e giustizia sociale, si concretizza in azioni di protezione legale di diritti individuali che attenui lo squilibrio contrattuale impedendo alle parti più forti di appropriarsi della maggior parte dei benefici dello scambio.
Il secondo obiettivo è fondato invece nella teoria economica del benessere, in cui, come ben noto, i consumatori giocano un ruolo centrale nel buon funzionamento dei mercati in concorrenza, perché la loro libera scelta tra opzioni nel mercato è la forza ultima che disciplina il potere di mercato e introduce gli incentivi appropriati per decisioni efficienti delle imprese. Le disposizioni di empowerment integrano infatti le regole pro-concorrenziali attive sul lato dell’offerta (e.g., la regolazione economica dell’accesso), rafforzando così la pressione competitiva sulle imprese dal lato della domanda.
Gli effetti in termini di efficienza delle norme pro-consumatore
Tuttavia, la distinzione tra protezione ed empowerment dei consumatori non è sempre così fra le varie disposizioni pro-consumatore e la loro indistinzione all’interno di una stessa norma può comportare trade-off regolatori, che non sempre sono risolti in modo bilanciato, privilegiando, in genere, la più semplice (e populistica) strada della protezione legale.
Peraltro, come noto, gli effetti in termini di efficienza delle norme pro-consumatore sono complicate dal fatto che il consumer acquis europeo è composto sia da plessi normativi intersettoriali (orizzontali) sia da normative settoriali specifiche. Come noto, i principali atti orizzontali comprendono la direttiva sulle clausole contrattuali abusive (1993), la direttiva sulle pratiche commerciali sleali (2005), e la direttiva sui diritti dei consumatori (2011), come modificata dalla direttiva su una migliore applicazione e modernizzazione della protezione dei consumatori dell’UE (2019). Norme di settore pro-consumatore sono presenti in quasi tutti i “settori regolati”, a partire dai servizi di pubblica utilità.
In generale, qualsiasi norma settoriale dovrebbe essere legata a una questione specifica del settore che giustifichi un intervento differenziato. L’insieme delle differenziate discipline settoriali dal lato della domanda richiede, infatti, a ciascun consumatore una conoscenza e una comprensione approfondita di un insieme di norme diverse. Questo è “costoso” e potrebbe rivelarsi problematico, soprattutto per gli utenti finali meno sofisticati: solo un beneficio ulteriore specifico, derivante dalle problematiche specifiche non coperte dalle norme orizzontali, giustifica quindi una norma di settore. Lo stesso principio è affermato in maniera più consolidata dal lato dell’offerta (ad esempio nelle comunicazioni elettroniche) dove le regole pro-concorrenziali di settore si applicano solo se il diritto della concorrenza è ritenuto non sufficiente.
Peraltro, la specificità delle norme settoriali si riferisce anche a differenze tecnico-economiche dei mercati così come alla loro diversa struttura concorrenziale. Per questo, l’empowerment dei consumatori, sinergico alle norme pro-concorrenziali dal lato dell’offerta, è solitamente settoriale, in quanto in relazione biunivoca con le dinamiche concorrenziali effettivamente presenti sul mercato. Diversamente, in principio, le regole di tutela/protezione dei consumatori sono tendenzialmente agnostiche rispetto alla struttura concorrenziale del mercato, per cui tali regole possono essere applicate indifferentemente sia in una situazione di monopolio che in un mercato concorrenziale: ecco perché per la maggior parte dei mercati si applicano esclusivamente le stesse regole orizzontali di tutela.
Le norme settoriali nel mercato delle comunicazioni elettroniche
Nei mercati delle comunicazioni elettroniche, accanto alle norme orizzontali, le norme settoriali sono disciplinate dal codice europeo delle comunicazioni elettroniche (CECE) del 2018. Questo include disposizioni riguardanti: (i) trasparenza e informazioni sul contratto; (ii) condizioni e procedure per la risoluzione del contratto; (iii) cambio di operatore e portabilità del numero.
In questo contesto, nel dibattito di policy è molto discusso se sia necessario (ed efficiente) che tutti questi aspetti siano trattati da norme settoriali oppure se sarebbe sufficiente (ed efficiente) applicare in alcuni ambiti solo le norme orizzontali (che peraltro sempre sono applicabili creando sovente sovrapposizioni ed incertezza normativa).
Le disposizioni relative agli obblighi informativi sui contratti
A tal riguardo, le disposizioni relative agli obblighi informativi sui contratti [art 102 CECE] potrebbero probabilmente ben essere assorbite dalle norme orizzontali sui consumatori ed espunte dalla disciplina di settore, in quanto non sembrano evidenziare specificità settoriali ulteriori. Allo stesso modo potrebbero essere trattate tutte quelle norme consumeristiche, non basate sulla legislazione dell’UE e sviluppate a livello nazionale (con ampie differenze da Paese a Paese), riguardanti, ad esempio, la regolamentazione indiretta dei prezzi, l’assistenza clienti/helpdesk, il controllo parentale. Peraltro, queste disposizioni nazionali vanno esplicitamente in contrasto con gli obiettivi di consolidamento del mercato interno, che infatti richiederebbero un’applicazione efficacie dell’esistente approccio di armonizzazione massima, frammentando le regole dal lato della domanda e con esse il mercato “unico”.
Le disposizioni tecniche riguardanti il cambio di operatore e la portabilità del numero
Al contrario, le disposizioni tecniche riguardanti (iii) il cambio di operatore e la portabilità del numero [art 106 CECE] sono chiaramente basate su specificità del settore che riguardano il buon funzionamento sistemico dei mercati (come le disposizioni sull’interconnessione) ed eliminano i costi economici sostanziali di cambio di operatore, fungendo quindi da complemento delle regole pro-concorrenziali dal lato dell’offerta.
Le norme relative alla durata e la risoluzione del contratto
Diversamente, le norme relative alla (ii) durata e la risoluzione del contratto [art 105 CECE] sembrano cadere in una zona grigia. Queste disposizioni, da un lato, cercano di prevenire effetti di lock-in dei consumatori in relazione a pratiche commerciali che possono aumentare artificialmente i costi di cambio del fornitore. D’altro canto, una protezione in tal senso potrebbe essere parzialmente fornita dalle norme orizzontali e, in ragione del contesto altamente competitivo, la configurazione di tali pratiche potrebbe/dovrebbe rappresentare parametri di qualità del servizio (QoS) che gli utenti finali prendono in considerazione nella loro scelta.
Pertanto, la questione principale per definire la prevalenza di un obiettivo di empowerment settoriale rispetto a quello di protezione orizzontale (e quindi l’efficiente configurazione delle norme) è se gli operatori competono anche su questo tipo di parametri e se tale concorrenza offre effettivamente ai consumatori una scelta differenziata.
A questo riguardo, la “qualità” dei termini contrattuali potrebbe essere una scelta complessa per i consumatori, soprattutto per quelli meno sofisticati. In effetti, più variabili competitive ci sono sul piatto, più complessa diventa la scelta del consumatore.
Come migliorare e rendere efficaci i meccanismi di segnalazione ed informativi nel mercato
Pertanto, sembra necessario riflettere seriamente su come migliorare e rendere efficaci i meccanismi di segnalazione ed informativi nel mercato. A questo riguardo esiste una disposizione del Codice, la cui importanza è spesso sottovalutata, relativa alla disponibilità per i consumatori di almeno uno strumento di confronto indipendente “che consenta loro di comparare e valutare diversi servizi di accesso a internet e servizi di comunicazione interpersonale basati sul numero accessibili al pubblico e, se del caso, di servizi di comunicazione interpersonale indipendenti dal numero accessibili al pubblico” [art 103.2 CECE]. Gli strumenti di comparazione sono chiaramente meccanismi di empowerment del consumatore che mirano a diminuire l’asimmetria informativa e facilitarne l’engagement riducendo i costi di transazione/ricerca di informazioni. Questi possono aumentare la gamma di parametri valutati dagli utenti e quindi, da un lato, dare una spinta verso la concorrenza di qualità e, dall’altro, aumentare l’estensione (piuttosto che solo l’intensità) della concorrenza, rendendo eventualmente superflue alcune norme di protezione dei consumatori.
Secondo un recente benchmark [Cullen 2024], su 13 paesi europei esaminati, solo 5 hanno uno strumento di confronto supportato dal regolatore nazionale e un altro è basato sul mercato. Tuttavia, non esistono dati chiari sulla qualità e l’efficacia di tali strumenti, che dovrebbero essere valutati e che dovrebbero essere sempre più basati su tecnologie IA.
Di fatto, la legislazione attuale non impone una fornitura pubblica, ma prescrive alcune caratteristiche obbligatorie di indipendenza, trasparenza e apertura che almeno gli strumenti di confronto debbono avere [art 103.3]. Le norme, tuttavia, prescrivono anche l’accesso gratuito degli utenti al servizio di confronto, che necessariamente spinge verso una fornitura pubblica, non necessariamente più efficace ed efficiente rispetto a una soluzione regolamentata basata sul mercato e, di fatto, ne limita la diffusione. Questo è un chiaro esempio di ciò che spesso accade nella politica dei consumatori, per cui l’attuale legislazione sembra essere animata da un indistinto mix di diversi tipi di “obiettivi di protezione” che crea inefficienze. In questo caso lo svantaggio dei consumatori è l’asimmetria informativa e la difficile comparabilità e non l’incapacità/non volontà di pagare. Naturalmente, in uno scenario di offerta basata sul mercato, le caratteristiche di indipendenza, trasparenza e apertura dovrebbero essere ancora prescritte dalla legislazione e forse dovrebbero essere rese obbligatorie per tutti i fornitori (non solo ritenute necessarie per la certificazione pubblica). Tuttavia, il requisito della “fornitura gratuita” dovrebbe essere eliminato per lasciare ai fornitori la libertà commerciale di definire un modello di business efficace.
Facilità del cambio di operatore e benefici della concorrenza
Le disposizioni relative al cambio di operatore e alla portabilità del numero, come detto, mirano a rimuovere gli ostacoli che impediscono ai consumatori di compiere scelte informate e libere e dovrebbero rimanere norme specifiche del settore, nella misura in cui sono legate allo sviluppo della concorrenza.
L’attuazione di queste disposizioni di empowerment ha infatti progressivamente ridotto i costi di switch, conseguentemente aumentando la propensione e la tendenza dei consumatori a cambiare operatore. Secondo un’indagine della Commissione europea del 2021, circa il 60% dei consumatori europei ha cambiato almeno una volta fornitore di servizi di telecomunicazioni.
Tabella 1: cambio di fornitore (2021)
Se si considera come punto di partenza il monopolio legale ante liberalizzazione, questa cifra apparentemente non impressionante, indica in realtà una liberalizzazione ben riuscita e un’efficace regolazione pro-concorrenza e pro-consumatori. Inoltre, i dati indicano che circa il 13% dei consumatori dell’UE ha cambiato fornitore di servizi Internet nei 12 mesi precedenti. A prima vista, anche questo dato non è impressionante, poiché segnala tassi di churn non molto elevati. È tuttavia molto rilevante il fatto che il 74% di quell’87% di utenti che non hanno cambiato fornitore ha dichiarato che la loro “inerzia” non era realmente inerzia, ossia un a “non scelta”, ma una scelta consapevole di non cambiare perché erano soddisfatti dell’attuale fornitore di servizi (tabella 2).
In effetti, questo dato evidenzia che accanto ai dati relativi al passaggio e al churn, sarebbe ancora più importante valutare e concentrarsi sulla “facilità di cambiare” fornitore, ossia sull’assenza di costi monetari e non monetari di switch, che rappresenta il miglior indicatore di “concorrenza potenziale” dal lato della domanda, che appunto complementa la teoria economia dei “mercati contendibili”.
In effetti, l’effettivo cambio di fornitore e, di conseguenza, le dinamiche delle quote di mercato erano ovviamente cruciali negli anni successivi alla liberalizzazione, in quanto strettamente connesse all’ingresso di nuovi operatori e lo sviluppo di una concorrenza sostenibile. A decenni dalla liberalizzazione, un mercato regolamentato con consumatori empowered può tuttavia trovare un equilibrio competitivo con una distribuzione asimmetrica delle quote di mercato tra i diversi operatori, perché i consumatori di un operatore di maggiori dimensioni possono aver scelto di non cambiare (o tornare dopo essere passati a un altro fornitore).
Detto questo, tuttavia, dall’altro lato, la concorrenza di mercato può non offre benefici a tutti i consumatori allo stesso modo. Se infatti quasi tre quarti dei consumatori “non mobili” sembrano intraprendere una scelta consapevole, tuttavia un quarto potrebbe essere realmente “inerte” ossia unengaged nelle dinamiche concorrenziali di mercato in quanto bisognoso di una qualche forma di ulteriore empowerment. Naturalmente, anche una parte del 75% dei consumatori potrebbe essere influenzata da alcuni pregiudizi comportamentali e di c.d. razionalità limitata (ad esempio, un effetto endowment o status quo bias, per cui ogni cambiamento o abbandono di ciò che si ha è percepito di per sé come problematico/negativo).
Quindi, si deve riformulare e specificare l’affermazione precedente sotto questa luce: i bassi numeri di switching e le quote di mercato asimmetriche non sono un problema solo se l’impatto positivo della concorrenza (pressione al ribasso sui prezzi e al rialzo sulla qualità) riesce a raggiungere tutti i consumatori e utenti. In altre parole, questo diventa un problema se l’effetto positivo della concorrenza non è un bene pubblico, ma è un bene di club (non rivale ma escludibile), per cui la concorrenza fra imprese e l’interazione tra utenti attivi/sofisticati e imprese non esercita esternalitàpositive sugli utenti inerti.
A questo riguardo, si potrebbe considerare l’adozione di alcuni meccanismi volti a consentire /spingere gli utenti inerti a beneficiare degli effetti positivi della concorrenza, ossia delle offerte a prezzi più bassi che i propri provider rivolgono ai nuovi clienti, attualmente di altri operatori, che sono utenti più sofisticati ed attivi. In coerenza con quanto detto sopra, non si dovrebbe trattare di una spinta/incentivo dato ai consumatori a cambiare fornitore, ma di un empowerment che li metta in condizione e faciliti il passaggio ad un’offerta migliore tra quelle che lo stesso fornitore offre ai suoi nuovi utenti, rendendo ad esempio obbligatorio l’estensione di ogni offerta all’intera base di utenti.
Questi meccanismi potrebbero nel medio periodo attenuare la concorrenza di prezzi per gli “utenti attivi”, il che, in un contesto di forte concorrenza sui prezzi, non necessariamente è di per sé un effetto negativo. Soprattutto, però, tenderebbero ad evitare che gli utenti più sofisticati e attivi siano “sussidiati” indirettamente dagli utenti inerti (che peraltro, spesso potrebbero corrispondere a determinate categorie “vulnerabili”, come gli anziani, i non istruiti o i meno abbienti). Peraltro, tali meccanismi potrebbero incentivare le aziende a concentrarsi maggiormente sulla concorrenza qualitativa piuttosto che di solo prezzo.
Tutte queste sono motivazioni che hanno spinto Ofgem, il regolatore britannico dei mercati energetici, ad imporre dal marzo 2022 tale misura [Ban on acquisition-only tariffs], in modo temporaneo ma più volte prorogata ed ancora in vigore. Anche Ofcom, il regolatore britannico dei servizi di comunicazione, ha considerato tale situazione, con specifico riferimento ai servizi fissi solo voce.
Dalla concorrenza sui prezzi alla concorrenza sulla qualità
La qualità del servizio può essere distinta in tre grandi categorie: (i) le relazioni contrattuali (di cui abbiamo parlato in precedenza); (ii) l’assistenza al cliente; e, ovviamente, (iii) le prestazioni tecniche.
La QoS come prestazione tecnica è ovviamente (principalmente) il risultato di investimenti innovativi (a lungo termine) e di miglioramenti tecnologici. Per incentivare la concorrenza in tale ambito, aderendo agli obiettivi di politica industriale definiti dall’unione europea [Gigabit society e Digital Compass] i regolatori e i responsabili politici dovrebbero non solo considerare ed applicare le disposizioni specifiche dal lato dell’offerta contenute nel Codice. Essi dovrebbero ben considerare anche i trade-off esistenti dal lato della domanda tra interesse dei consumatori di breve periodo (in essenza derivante da un prezzo basso) e interesse dei consumatori di lungo termine (derivante principalmente da investimenti innovativi che siano remunerati dai prezzi).
Similarmente alla qualità in riferimento ai termini contrattuali, l’asimmetria informativa tra fornitori e utenti finali sulle prestazioni tecniche è solitamente elevata (e comunque molto più elevata rispetto alle informazioni sul prezzo). È importante peraltro ulteriormente chiarire che l’asimmetria informativa dei consumatori non è solo dannosa per i consumatori, ma può anche danneggiare i fornitori di alta qualità: se i consumatori non riescono a valutare la qualità dei prodotti e dei servizi (e i fornitori non riescono a segnalarla), i prodotti di alta qualità saranno “soppiantati” da prodotti più economici e di qualità inferiore (secondo il “classico” meccanismo economico della selezione avversa). Pertanto, l’asimmetria informativa tra consumatore e fornitore non è alla base (solo) dei problemi di equità, ma rappresenta anche, e soprattutto, un tradizionale fallimento del mercato.
La soluzione tipica ai problemi di asimmetria informativa è una corretta divulgazione (segnalazione) delle informazioni di cui i consumatori hanno bisogno per fare scelte consapevoli. Quindi, ancora una volta, strumenti indipendenti ed efficaci (possibilmente potenziati dall’intelligenza artificiale) per la valutazione e il confronto della qualità sono ancora più importanti dei meccanismi per il confronto dei prezzi.
Oltre agli strumenti di comparazione, alcuni strumenti specifici di segnalazione della performance tecnica sono stati già sviluppati o supervisionati dai regolatori. Questi sono, ad esempio: sondaggi dell’ANR basato sulle misurazioni dell’ANR o di terzi delegati; sondaggi dell’ANR basato sull’esperienza dell’utente finale (crowdsourcing); app di test di velocità o strumenti online per gli utenti finali; mappa di copertura (con diverse velocità) per gli utenti finali; classifiche di qualità degli operatori. Secondo un recente benchmark [Cullen 2024] su 14 Paesi dell’UE esaminati: (i) 10 ANR hanno sviluppato strumenti di test di velocità, sia per la telefonia fissa che per quella mobile; (ii) 10 ANR hanno costruito mappe di copertura, sia per la telefonia fissa che per quella mobile; (iii) 8 ANR hanno svolto indagini sulla QoS della telefonia fissa e 9 sulla QoS della telefonia mobile; (iv) 4 ANR hanno elaborato classifiche di operatori fissi e 5 di operatori mobili. Tuttavia, non ci sono dati chiari sulla qualità e l’efficacia di questi strumenti, che dovrebbero essere valutati e che dovrebbero essere sempre più basati su strumenti di intelligenza artificiale.
In definitiva, la questione di fondo comune a molte questioni esaminate è quanto le attuali politiche dal lato della domanda stiano incentivando e indirizzando il mercato a costruire la QoS come una variabile osservabile su cui i fornitori possono competere per gli utenti finali piuttosto che competere (solo) sul prezzo.
Tale obiettivo è molto complesso e altamente sfidante, ma la direzione verso cui fare il primo passo è sicuramente quella che allontana la regolazione pro-consumatore di settore da una protezione legalistica e paternalistica di definizione di qualità minima, che in dinamiche di concorrenza di prezzo diviene inevitabilmente un punto focale. Questo è purtroppo spesso l’esito nel mercato delle attuali politiche dal lato della domanda, contenute sia nel codice [art 103, paragrafo 2, lettera b), e art 104 CECE] sia nel regolamento Open Internet [art. 4(1) (d) ed (e) OIR].
Tale approccio, ignorando completamente le dinamiche competitive fra gli operatori, non incentiva i consumatori a svolgere il loro fondamentale ruolo nel mercato, “sanzionando” con la loro scelta una riduzione della qualità, o, d’altra parte, premiando un suo miglioramento. Al contrario, le norme in vigore sono concepite come una tipica regolazione di qualità in regime di monopolio, volta a proteggere utenti che non hanno scelte alternative se non quella di subire un degrado della qualità, come se decenni di regolazione pro-concorrenziale dal lato dell’offerta non avessero avuto alcun impatto sul mercato.
La sfida attuale delle politiche dal lato della domanda
La sfida attuale delle politiche dal lato della domanda dovrebbe invece essere quella di creare un empowerment del consumatore, che non lo tuteli in modo paternalistico, di fatto limitando eccessivamente la sua libertà di scelta, ma incentivi le imprese ad una differenziazione e concorrenza sulla qualità. Tale esito andrebbe certamente a garantire ai consumatori un miglior servizio, ma probabilmente andrebbe anche a rallentare o invertire il processo di completa trasformazione delle reti e dei servizi di telecomunicazioni in comodities, con le connesse dinamiche di redistribuzione del valore verso mercati attigui, in primis, quelli dei servizi digitali dominati dalle grandissime piattaforme.
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